Come Coco Chanel, Franca Polacco non sapeva tagliare né cucire. Eppure ebbe il genio e la capacità imprenditoriale per rivoluzionare la moda veneziana nel secondo dopoguerra, comprendendo dove tirava il vento, quali fossero le necessità di donne che lavoravano fuori casa, spesso dalla mattina alla sera. La chiamavano Madame Jersey, perché aveva fatto di quel tessuto duttile e portabile in ogni occasione una bandiera di modernità.
La sua è una storia da raccontare, rivoluzionaria quanto basta, avventurosa, ma concreta


Ci ha pensato la ricercatrice Irina Inguanotto, autrice di saggi sulla moda del Novecento e collaboratrice del Centro Studi di Storia del Tessuto, del Costume e del Profumo: il suo Madame Jersey. L’impresa “Franca Polacco” a Venezia tra moda boutique e prêt-à-porter è un saggio documentato e ricco d’illustrazioni sul lavoro della stilista, pubblicato per i tipi de LA TOLETTA edizioni. Una vicenda che s’intreccia con la storia della città, le variazioni del gusto e del sistema imprenditoriale.
La storia di Madame Jersey


Franca Polacco nasce a Venezia nel 1930, in Ghetto Vecchio, quinta di sei fratelli, di cui tre moriranno prematuramente. Il padre, Galliano Polacco, lavora come fruttivendolo nel negozio di famiglia e, in seguito, aprirà una saccheria a San Simeone Grande, dove si trasferirà la famiglia. La loro vicenda assomiglia a quella di tanti altri ebrei veneziani: dopo la promulgazione nel 1938 delle leggi razziali fasciste, i Polacco con la famiglia dei nonni materni di Franca, gli Jarach, saranno costretti alla fuga all’estero.
Di ritorno dalla Svizzera, la giovane riprende gli studi, ma si rende ben presto conto che desidera fare altro. Per contribuire alle esigenze familiari, inizia a realizzare a cottimo sacchetti per alimenti, ma ciò che le interessa di più è creare oggetti originali: scialli con applicazioni e ricami, borse, pantofole, gonne per bambine. Con i soldi prestati da una zia, acquista una macchina elettrica per cucire Elna. Sfruttando la propria abilità nel ricamo, s’inventa orecchini, monili, decorazioni in pannolenci.
L’incontro che cambiò la vita di Madame Jersey
Franca è giovane e intraprendente: propone le sue gonne ad un negozio di moda per bambini in Frezzeria, “Il Bimbo Elegante”; saranno gli scialli, però, a darle l’occasione di entrare nel mondo della moda. L’idea è di tre cugine veneziane emigrate a New York nel 1936, che hanno occasione di vedere le sue originali creazioni e la incoraggiano; sarà Ivette Sereni, la proprietaria di una famosa boutique sotto l’Ala Napoleonica, “La Piavola de Franza”, la prima committente, cui seguirà l’ordine per un altro negozio elegante in Bocca di Piazza, “Brik”.
Una collaborazione, quest’ultima, destinata a durare fino al 1964, con la chiusura dell’esercizio. Sarà l’unico caso di fornitura diretta a negozi veneziani: nel frattempo, la clientela si è allargata, e Franca assume la prima lavorante, che porta il suo stesso nome.
La nascita dell’azienda


Agli inizi degli anni Cinquanta, la famiglia Polacco si sposta dall’abitazione in campo San Simeone Piccolo a Piazzale Roma, nel nuovo Palazzo Jarach, costruito assieme all’attiguo Garage San Marco al posto del sacchificio del nonno materno. Franca vi abiterà fino alla sua scomparsa, l’11 novembre 2020. Nella soffitta dell’appartamento, due stanze in tutto al sesto piano dell’edificio, la stilista sistema il suo laboratorio e compra due macchine da cucire. È l’inizio del marchio “Creazioni Franca”, che opererà sul mercato come ditta di confezioni e non come sartoria. Per la realizzazione dei suoi modelli, Franca si affida a delle première, giovani veloci e intelligenti che sapevano tradurre gli schizzi in modelli in tela, per stabilire quale tessuto fosse preferibile e come concretizzare l’idea di partenza. Serie limitate di abiti eleganti, con rifiniture artigianali, i cui clienti sono le boutique e alcuni selezionati magazzini inglesi e americani.
Via via che l’azienda cresce, la sede si espande, occupando altre porzioni del Palazzo Jarach: «Franca, da stilista, collaborò nel corso dei trent’anni della sua attività in particolare con altre due donne, – racconta l’autrice del saggio Irina Inguanotto – Elsa Marconi, singolare creatrice di ricami per l’alta moda ed Elda Cecchele, titolare di un laboratorio di tessitura a mano, che creava stoffe originali che hanno lasciato traccia nelle produzioni di diverse ditte di moda».
La femminilità di Madame Jersey
Tratti distintivi del lavoro di Franca e delle sue collaboratrici, oltre al valore artigianale, una sensibilità rivolta al mercato internazionale e alle nuove esigenze femminili: portabilità, trasformabilità dei vestiti per adattarsi a situazioni molteplici, dall’ufficio ad un’occasione pubblica. Soprattutto tanta cura al processo produttivo, attenzione ai dettagli e all’unicità delle proposte.
«I numerosissimi incontri con Franca – prosegue Inguanotto – protrattisi per quasi vent’anni, rappresentano la principale fonte orale cui ho attinto per “costruire” la storia della ditta, ma era opportuno riferirsi anche ad altre testimonianze, interviste con dipendenti anche del laboratorio Marconi. Nelle piccole imprese ci si imbatte sempre nella carenza delle fonti scritte, di rado si trovano documenti contabili, corrispondenza, cataloghi di prodotti … questo è avvenuto, fortunatamente solo in parte, anche per la ditta di Franca Polacco».
Madame Jersey e l’estero


L’impresa in quei decenni vende soprattutto all’estero, ha clienti dagli Stati Uniti al Sudafrica, dai Paesi Arabi all’Europa; solo il trenta per cento della produzione riguarda il mercato italiano. Nel corso degli anni, l’organizzazione del lavoro cambia: se all’inizio la produzione avveniva tutta all’interno del laboratorio (all’inizio degli anni Sessanta, conta una ventina di lavoranti, dal Centro Storico e dalla terraferma), Franca decide in seguito di esternalizzare la produzione, conservando all’interno la progettazione dei capi, il taglio, la stiratura, l’inscatolamento, spedizione ed amministrazione. Un’altra svolta radicale avviene verso il 1975, quando la stilista affida la commercializzazione ad un agente e inizia a pubblicizzare le sue collezioni su Vogue e Harper’s Bazaar. Ormai è Madame Jersey, creatrice di abiti originali e contraddistinti da una cifra personalissima, da uno stile preciso.
Tuttavia, nel 1981, dopo trent’anni di lavoro intenso e costruttivo, Franca Polacco decide di ritirarsi, all’apice del successo
Bisogno di libertà, probabilmente, dopo responsabilità costanti; desiderio di trasformazione, per uno spirito indipendente e creativo. Programma per tempo la chiusura, quando una vecchia cliente londinese le ordina un abito ricamato da sera: alla principessa Margaret non si può dire di no, e l’ultima commessa sarà realizzata.
A noi resta, oltre che un formidabile affresco del costume di quei decenni, visto attraverso la trasformazione dall’alta moda al prêt-à-porter, l’incredibile spirito di staff che questa stilista ha saputo porre in essere: «Franca fu sempre consapevole del debito nei confronti delle altre artigiane che con lei collaborarono – commenta Irina Inguanotto – e ne valorizzò l’apporto esplicitandolo, con orgoglio, ai suoi clienti …».
Il valore aggiunto di ogni intuizione artistica, di ogni progetto collettivo: la fiducia.
Articolo magnifico della sempre bravissina Francesca Brandes. Ci restituisce, anche grazie al lavoro di Irina Inguanotto, la figura imprenditoriale di questa donna di successo, Franca Polacco, suscitando la nostra ammirazione.
Un articolo intenso a tutto tondo, si percepisce la personalità, la professionalità e la passione di Franca. Soprattutto però emerge nell’articolo il valore, l’attenzione e l’importanza di un lavoro di squadra in una atmosfera di fiducia e rispetto reciproco. Grazie Francesca