Rabbia, rancore, ed infine odio. Queste sono le parole chiave che descrivono l’esistenza di Angelo durante i primi anni trascorsi dentro una cella, all’interno di svariati istituti di pena italiani. La rabbia rivolta contro tutto e tutti. Contro chi gli era vicino e che lo ha portato alla condanna e contro il sistema che lo ha privato per sempre della libertà. Con un unico sfogo: scrivere.
Angelo e 30 anni fa
Angelo ora ha quasi 60 anni ed ha trascorso più di metà della propria vita in carcere, rabbioso, annoiato, chiuso, solo. È una notte di primavera di 30 anni fa. Lungo l’autostrada A4, nei pressi di un comune in provincia di Padova, dei rapinatori considerati vicini alla Mala del Brenta di Felice Maniero assaltano un portavalori diretto a Mestre e che trasportava svariati milioni di lire.

A bordo del furgone ci sono tre guardie giurate, di cui uno alla guida. Al momento dell’assalto da parte dei rapinatori, è proprio la guardia alla guida del furgone a perdere la vita. Freddato dai colpi di kalashnikov esplosi dai banditi, che poi sono costretti a scappare rinunciando al colpo e al bottino. La guardia alla guida del portavalori, poco più che trentenne, lascia una moglie e una figlia di appena 4 anni.
La condanna di Angelo
Vengono condannati all’ergastolo tre uomini, individuati grazie alle rivelazioni di alcuni pentiti della Mala del Brenta. Uno di questi uomini è Angelo. Il quale si è sempre proclamato innocente e che, da ormai 30 anni, sta scontando la pena in un carcere del territorio veneto.
Un detenuto modello e la passione per lo scrivere
Angelo viene descritto come un detenuto modello all’interno dell’istituto, partecipa a progetti di risocializzazione e reinserimento sociale. Si è iscritto a un corso di scrittura creativa, che gli ha consentito di scrivere, oltre che a poesie e racconti, anche un libro, che era stato invitato a presentare all’interno di un evento dedicato organizzato a Padova.
Il permesso premio da lui richiesto viene però negato dal Tribunale di Sorveglianza: Angelo non ha né mai ammesso le proprie responsabilità per la rapina mortale accaduta nei primi anni ’90, né attuato un reale processo e percorso di “revisione critica” del proprio passato deviante. Tali aspetti, secondo la Magistratura di Sorveglianza, contribuiscono a dimostrare una pericolosità sociale tuttora in essere.
Le domande che emergono dallo scrivere
In considerazione sia della condanna definitiva che della presunta innocenza proclamata da Angelo e dal suo legale, nonché dell’affiliazione o meno all’organizzazione mafiosa della Mala del Brenta, perché tutta quella rabbia, quel rancore e quell’odio? Da cosa derivano e come nascono questi sentimenti e stati d’animo, e perché Angelo si sente arrabbiato, stressato e annoiato da una vita passata all’interno di una cella?
La storia di Angelo
Durante l’infanzia Angelo passava la maggior parte delle giornate estive evitando la forte calura e rifugiandosi, con alcuni amici, a casa del nonno. Lì i ragazzini ascoltavano con attenzione, entusiasmo e coinvolgimento le “vecchie storie”, le storie degli anziani che hanno vissuto sulla loro pelle gli orrori della Seconda Guerra Mondiale e delle deportazioni nei campi di concentramento.
Angelo e lo scrivere
In quei racconti Angelo per la prima volta sente parlare di ergastolo, e viene a conoscenza del fatto che chi aveva commesso reati così gravi da aver subìto questa condanna era fortunato ad essere ancora vivo. Da quei racconti, da parte del nonno e degli altri anziani della zona, Angelo percepisce un certo attrito verso le forze dell’ordine.
Il nonno gli racconta, infatti, che molti di loro all’epoca entravano nelle case della povera gente in cerca di nemici, di qualsiasi tipo essi fossero. Ed alcuni talvolta non esitavano un solo istante ad ammutolire per sempre coloro che realmente non avevano nulla da dire.
Lettura e crimine. Un collegamento?
Forse influenzato anche da quelle storie, Angelo intraprende la strada verso il crimine, tingendo di rosso il proprio passato e trasformandolo in un passato criminale. Angelo è chiuso, riservato, una riservatezza tipica di chi lavora nelle campagne dell’entroterra veneto, in cui la terra e il silenzio accompagnano quotidianamente il lavoro e in cui ogni giorno si respira libertà, libertà di stare a contatto con la terra. E sono forse quella riservatezza e quella chiusura, nonché quella sensazione talmente radicata di libertà, ad aver contribuito ad una chiusura ancora più profonda, che non riguarda più il carattere o il temperamento, bensì la personalità di Angelo.
Angelo e la chiusura
Una chiusura dell’identità che non solo porta alla mancanza totale di dialogo e di confronto con l’altro, della parola e della comunicazione, ma che non percepisce nemmeno più la relazione come un arricchimento e una risorsa ma come ostacolo, e che avverte l’altro come diverso, sospetto, da scacciare e da schiacciare. Un nemico, proprio come quelli che le forze dell’ordine cercavano e ammutolivano nelle “vecchie storie” di suo nonno.

Rabbia, rancore e odio, sofferenza personale che si accompagna ad un’indifferenza verso il prossimo, da cui prendere le distanze e, nel caso di Angelo (egli continua comunque a proclamarsi innocente, ndr), di cui servirsi per un proprio fine personale, per acquisire un certo potere sulla propria vita, anche a discapito di quella altrui.
Soldi e potere
La Mala e quel senso di un “noi” non comunitario ma cristallizzato sulla disumanizzazione, sull’umiliazione e sulla sofferenza altrui. Un furgone portavalori e almeno tre vite spezzate, quella della guardia alla guida del blindato ma anche della moglie e della figlia. Tutto per il proprio tornaconto personale.
Angelo e la penna per scrivere
Angelo ora è in carcere, accompagnato dalla sua riservatezza e chiusura, ma inserito in un percorso di consapevolezza e responsabilizzazione che possa portarlo quantomeno ad aiutare gli altri, non essendo stato in grado di farlo per sé stesso. Nonostante il suo “fine pena mai”, conserva ancora il sorriso e la speranza di chi, forse poco abituato ad esprimersi a parole, ha trovato il modo di farlo attraverso lo scrivere, imprimendo dure e pesanti parole sul carcere e sui suoi vissuti su innumerevoli fogli di carta, fino a farle diventare poesie, racconti, un libro.
Forse è questo che serviva ad Angelo, un modo per riacquisire figurativamente e allo stesso tempo conservare la libertà perduta 30 anni orsono, ovvero attraverso le parole scritte, quelle parole che, seppur solo in parte e attraverso la fantasia e la creatività, liberano il cuore dal peso del tempo e dagli orrori del passato.