Dopo dodici anni di stop forzato dovuti alla seconda guerra mondiale la dodicesima edizione dei Giochi olimpici andò in scena nel 1948 a Londra (la precedente disputata a Berlino nel 1936). In quell’edizione londinese l’indiscussa grande protagonista fu l’olandese Fanny Blankers-Koen capace di vincere ben quattro medaglie d’oro e precisamente i 100 metri, 200, 80 ostacoli e staffetta 4X100. La “mammina volante” così era affettuosamente definita, poteva addirittura aggiudicarsi sei medaglie d’oro in quanto all’epoca era anche detentrice dei record mondiali di salto in alto e in lungo. Però il regolamento dei giochi olimpici vietava la partecipazione di ogni singolo atleta a non più di tre gare individuali. Tra questi spicca però Adolfo Consolini. I re del disco.
Con Adolfo Zatopek
Con la Blankers-Koen si mise in luce anche il cecoslovacco Emil Zatopek detto “la locomotiva umana”. Il grande mezzofondista vinse i diecimila metri e l’argento dei cinquemila. Quattro anni dopo a Helsinki vinse tutto: diecimila, cinquemila e maratona.
Adolfo e l’Italia
Però anche l’Italia ebbe il suo super eroe capace di vincere una strepitosa medaglia d’oro. Parliamo di Adolfo Consolini, detto “Dolfo”, il gigante buono che veniva dalla campagna veronese, nato nel 1917 a Costermano sul Garda. A Londra arrivò a 31 anni suonati con un “bagaglio” alle spalle che parlava di tre volte primatista mondiale e un titolo europeo conquistato nel 1946 (ne conquisterà altri due nel 1950 e addirittura nel 1954 all’età di trentasette anni). In gara c’era anche il suo rivale storico Giuseppe Tosi detto “Beppone”, nativo della provincia di Novara e corazziere al Quirinale.
L’impresa
Una giornata tremenda dettata da una fitta pioggia che rendeva particolarmente scivolosa la pedana di lancio. Dopo la prima tornata Tosi andò in vantaggio, ma al secondo lancio ecco la bordata che portò Consolini in testa alla gara. Un momento di panico dopo il lancio di un atleta inglese che andò vicinissimo ai 53 metri (Consolini aveva in quel momento 52,78 metri) scavalcando entrambi gli azzurri. All’improvviso dichiarato nullo il lancio dell’inglese e la medaglia d’oro va sul collo di Consolini e l’argento a Beppone Tosi. Una storica doppietta per l’Italia mai più ripetuta (va detto che se si fossero disputate le Olimpiadi anche nel 1940 e 1944 con molta probabilità Consolini di medaglie d’oro ne avrebbe vinte tre).
La cosa simpatica arrivò quando salirono assieme sul podio e il disco con l’Inno di Mameli non partì. Consolini e Tosi si misero ad intonare “O sole mio”, seguiti da tutti gli spettatori italiani seduti in tribuna.
Chi era Adolfo
Consolini, alto 1,83 per 100 chilogrammi dopo le scuole elementari iniziò subito a lavorare nei campi per l’azienda di famiglia e così forgiò il suo fisico statuario. Si avvicinò all’atletica grazie alla società Istituzione Comunale Bentegodi, la quale per tesserarlo assicurò alla sua famiglia un altro bracciante. Iniziò col getto del peso ma ben presto passò alla sua specialità preferita quella del disco. Poi a Milano tesserato per la storica società Pro Patria e di conseguenza nel Gruppo Sportivo Pirelli. Nel 1938 quinto agli europei di Parigi. E i titoli italiani arrivavano a raffica (a fine carriera ne conterà diciassette gareggiando in Italia fino a 45 anni), fino al tesseramento per una società svizzera di Lugano. In quanto il limite per poter gareggiare in Italia imposto dalla Fidal era appunto di 45 anni. Partecipò anche ai giochi di Helsinki nel 1952 e conquistò l’argento. Poi fu sesto nel 1956 a Melbourne e nel 1960 a Roma aveva già compiuto 43 anni fu capitano della squadra ed ebbe il compito di leggere il discorso d’apertura proprio lui che nonostante la stazza fisica aveva un voce molto fragile.
Dall’atletica al cinema
Indossò anche i panni dell’attore nel famoso film “Cronache di poveri amanti” di Carlo Lizzani con Marcello Mastroianni e Antonella Lualdi e fu protagonista di un spot pubblicitario per la Lambretta assieme al grande pugile Duilio Loi.
Nel 1967 all’età di 50 anni assistette in tribuna all’Arena di Milano assieme al figlio Sergio al nuovo record italiano stabilito dall’astro nascente Silvano Simeon. Il quale però non riuscì mai a salire sul podio olimpico. Il gigante veronese chiuse la sua carriera agonistica due anni dopo nel 1969, l’anno stesso in cui a Milano venne a mancare improvvisamente.