Per nostra fortuna, qualche volta ritornano. Autori che hanno saputo inquadrare la propria epoca in testi eleganti e consapevoli; penne straordinarie troppo spesso trascurate da un mercato capriccioso ed ondivago. Per questo non si può che essere che grati a Felice Accame, curatore di collana per le edizioni Colibrì, per aver fortemente voluto la ristampa (in una veste di pregio, arricchita dalla colta prefazione di Dario Agazzi) di due testi in prosa di Ugo Facco De Lagarda: la novella Le fauste nozze ed il racconto Il concerto di Varsavia.
La personalità di Ugo Facco De Lagarda

L’intervento acquisisce una valenza duplice: favorisce la riscoperta di una personalità umana e letteraria, quella di Ugo Facco De Lagarda, che molto ha significato per il mondo culturale veneziano del Novecento e ci regala, inoltre, la grazia di una prosa limpida, pungente, ma senza perdere mai di vista il ritmo descrittivo.
Già si aveva avuto modo di comprendere, con la riproposizione al pubblico della sua raccolta Morte dell’impiraperle (per iniziativa dell’editore Supernova, nel 2019), quanto significasse questo autore per la nostra memoria collettiva: la Venezia minore, i mestieri quasi dimenticati, i profumi e le abitudini di un mondo che si va ormai perdendo, inghiottito dall’invasione volgare di un turismo senza qualità, dal mercimonio inaccettabile delle sue bellezze.
Ricordare Ugo Facco De Lagarda

Occuparsi ancora di Ugo Facco De Lagarda, oggi più che mai, non è solo doveroso, è decisamente salvifico. Per riconoscergli la misura dei grandi autori italiani del Novecento, con cui peraltro intrattenne contatti importanti (basta pensare al rapporto epistolare con Italo Calvino, alla pubblicazione con Einaudi di quello che è forse il suo romanzo più conosciuto, La grande Olga, nel 1958). Una valenza non esclusivamente letteraria, molto legata agli ambienti antifascisti del dopoguerra: attivo nella Resistenza, amico di autori come Diego Valeri, Aldo Palazzeschi, Gian Battista Angioletti, Aldo Camerino. Lelio Basso lo definiva «un uomo probo», e mai espressione lo potrebbe definire meglio. È sua la firma del primo numero libero del Gazzettino per il 25 Aprile 1945, suo il primo editoriale a nome del CLN che annunciava l’insurrezione di Venezia e la liberazione della città
Chi era

Classe 1896 (il nonno paterno, a sua volta storico e letterato, era stato patriota nei moti rivoluzionari del 1848), Facco fu indirizzato dal padre a studi di ragioneria. Lavorerà dapprima in una compagnia di navigazione, poi – per trent’anni – sarà impiegato e poi direttore di banca. La professione non gli impedirà di collaborare fin da giovanissimo a quotidiani e riviste letterarie, per poi esordire nel 1919 – dopo aver partecipato alla prima guerra mondiale come allievo ufficiale – con la prima raccolta di poesie, Amaritudo. La sua rettitudine, il rigetto nei confronti del Regime, lo metteranno ben presto in rotta di collisione con le gerarchie fasciste, che gli sequestreranno due opere, Aguardiente e La parabola del semidio. Nel 1944 verrà arrestato dai nazifascisti per propaganda e attivismo ostile alla Repubblica di Salò.

Nel secondo dopoguerra, Ugo Facco De Lagarda scrive, oltre a La grande Olga, romanzi e racconti d’incredibile bellezza, intriganti per lo stile e la lucidissima analisi di una società, quella dell’Italia post-fascista, ancora in bilico tra perbenismo, ipocrisie e slanci liberatori. La provincia de Il commissario Pepe, con i suoi scandali celati (che avrà anche una versione cinematografica, con la regia di Ettore Scola, protagonista Ugo Tognazzi); le storie appena tratteggiate, ambientate al Lido di Venezia; le Cronache cattive, che cattive non sono affatto, ma esemplari sì, perché raccontano mondi veritieri, e lo fanno con disincanto, ma anche con comprensione delle umane sorti.
In contemporanea, e non poteva essere altrimenti, Facco De Lagarda di quei mondi è partecipe e commentatore, collaborando a riviste come Il Mondo di Mario Pannunzio o Il Ponte, senza trascurare la stampa locale.
Ugo Facco De Lagarda trascurato



Resta un enigma perché un personaggio simile, grande intellettuale e fine romanziere, sia stato trascurato nei decenni successivi (se si eccettua il fondamentale convegno a cura di Alessandro Scarsella, tenutosi a Venezia nel novembre 1997). Per certi versi, senza la sovrabbondanza retorica che anima il Pasticciaccio, in Facco De Lagarda c’è lo spirito analitico di Gadda; l’eleganza tagliente, che si ravvisa in Fenoglio, la narrazione dispiegata di Mario Soldati. In verità, c’è anche di più.
Forse in nessuno degli autori del Novecento italiano (neppure nelle opere giovanili di Arbasino), c’è una vena ironica, e autoironica, tanto sottile. Non per nulla l’autore, in alcune liriche, amava firmarsi con lo pseudonimo “Ugo Sardonico”. Così, a rileggere Le fauste nozze e Il concerto di Varsavia – appena riedite per Edizioni Colibrì, con un commosso ricordo del nipote Michele Dalla Costa – la caratterizzazione dei personaggi si espleta attraverso una tipizzazione estrema, di stampo teatrale: audaci (almeno per l’epoca) le vicende narrate; puntuta, senza ipocrisie, la narrazione.
Relazioni morbose per puro istinto animale, matrimoni destinati a finire in tragedia; l’inesorabile solitudine di chi taglia fuori il mondo con le sue efferatezze e poi ne è ugualmente sopraffatto. Può darsi che, a tratti, vi spiri un alito di Belle Époque, quasi una nostalgia, un pensiero fugace: peccato che le vicende umane prevedano tanta lucidità, una briciola d’irrisione. A sfumare l’atmosfera, tuttavia, nelle opere di Facco De Lagarda, ci pensa sempre l’aria di laguna, il profilo del Casin degli Spiriti, con tutti i suoi misteri. La sua irresistibile, tenace venezianità.
Ottima recensione , complimenti a Francesca Brandes