A Venezia, nella sede della Fabbrica del Vedere – la Fondazione Archivio di Carlo Montanaro, tutta dedicata ai temi dell’immagine in movimento, dal cinema sperimentale al video d’artista – ha preso casa un ippopotamo. Argenteo, affonda nel Quadrato Nero di Malevic, facendo emergere solo parte del muso e del dorso, che ha impresso un numero, 624. È un’opera dell’artista Vladislav Shabalin e ha un significato preciso.
Un ippopotamo?

Vent’anni fa, nella primavera del 2002, moriva improvvisamente il collezionista di arte non ufficiale Leonid Talochkin, uno dei grandi protagonisti della stagione del non conformismo sovietico. Dalla sua cospicua collezione – oltre duemila opere realizzate dagli anni Cinquanta agli anni Novanta che Talochkin non acquistò, ma gli furono regalate dagli artisti – è nato nel 2000 il Museo “Other Art”, ospitato presso L’Università Statale di Studi Umanistici di Mosca.
La mostra
Fino al 14 aprile la Fabbrica del Vedere offre al pubblico, nella mostra fotografica Leonid Talochkin, custode del non conformismo, un filmato inedito realizzato nel 2001 dal fotoreporter turco Ahmet Sel, probabilmente l’ultima testimonianza visiva di Talochkin. Il video è il cuore di un itinerario fantastico, che comprende anche una serie inedita di ritratti d’epoca, oltre all’ippopotamo.
Dal 1988 ad oggi

Curatore del progetto è proprio Vladislav Shabalin, che ha conosciuto il collezionista nel 1988: «Quando ho saputo della sua morte, mi sono ricordato del soprannome che gli era stato dato per la sua grande mole, “Iceberg”. – racconta – Io ho preferito ricordarlo com’era in realtà: grande sì, ma soprattutto vivo, dall’aspetto placido, eppure capace di combattere … un po’ come un ippopotamo, che non scompare definitivamente, ma si trasforma dentro spazi più profondi, per esempio nel Quadrato Nero di Malevic. Il numero sulla sua schiena, come si trattasse di un sottomarino, è invece il codice della porta d’accesso al condominio in cui abitava Leonid. Nonostante fosse stato derubato più volte, me lo diede il giorno del nostro primo incontro. Un atto di fiducia di cui gli sarò grato per sempre».
Shabalin, in un italiano corretto e fluido, rievoca un mondo che ora conosciamo stravolto dalla guerra

Lui è in Italia dal 1992, la prima volta su invito della Regione Veneto, per allestire una mostra con oltre duecento opere di artisti dell’ex Unione Sovietica (comprese le proprie). Dal 1997 si occupa di fossili presso il laboratorio paleontologico di Geoworld a Torreano di Cividale (Udine).
Un “ippopotamo” con le radici in Ucraina
Le sue radici però sono in Ucraina: «La mia città natale è Donetsk, nella regione del Donbass – mi spiega – una terra di cui Dziga Vertov ha rivelato al mondo l’esistenza nel suo film del 1930 Sinfonia del Donbass (Entusiasmo). Una terra di miniere, di fatica. Da subito, dopo la dissoluzione dell’URSS, una delle aree meno pacificate».
Come un “ippopotamo” può spiegare la guerra

Le ragioni, sostiene Shabalin, vengono da lontano: «Donbass vuol dire carbone, polo metallurgico e chimico, industria meccanica sia pesante che leggera. Petrolio, cantieri navali, manifattura vetraria. Senza contare che si tratta anche di un importante nodo ferroviario di collegamento fra la parte occidentale della Russia e il Caucaso.
Faccio un esempio pratico: – prosegue – alla New York Public Library è conservato un manifesto del 1921, che rappresenta una mappa dai Paesi Baltici al Mar Nero, dal Mar Caspio agli Urali … ebbene, tutte le città sono collegate tra loro da una rete di vasi sanguigni che convergono in un grande cuore posato sul bacino del Donbass. Non ci si riflette in questi giorni di guerra, ed è comprensibile, ma la popolazione del Donbass è da sempre multietnica, in larga parte russofona. Forse, se si fosse legittimato il bilinguismo e concessa una relativa autonomia, anziché soffocare le spinte indipendentiste, magari una parte di questo scempio si sarebbe potuto evitare. Invece, ci sono solo odio e morte».
Il racconto tragico
Vladislav ha ancora la famiglia a Donetsk, amici e parenti anche a Charkov, Kiev, Mariupol e Dnipro. Mi racconta di famiglie miste devastate dalla guerra, persone scomparse e distruzione: «È una situazione che covava dal 2014, – commenta sconsolato – nel silenzio assoluto dei media e della politica occidentali. Si sa, una miccia lasciata accesa finisce per provocare un’esplosione».
Un storia misteriosa

La storia di Vladislav Shabalin è paradigmatica: classe 1963, quando nasce la sua città appartiene ancora all’Unione Sovietica. Lui, però, è un ragazzo fortunato: lo zio, che si occupa di radiofisica, decide di potenziare il loro vecchio apparecchio di ricezione. Di nascosto, piazza sul tetto di casa una grande antenna che consente di ascoltare le vietatissime stazioni straniere: Voce dell’America (Golos Ameriki), Radio Libertà (Radio Svoboda) e soprattutto Rock Posevi, un programma della BBC che fa appassionare Vladislav alla musica proibita, soprattutto ai Led Zeppelin.
Il rock, per lui che studia arte, diventa una musa ispiratrice: lo diffonde a scuola, in feste clandestine. La famiglia, invece di opporsi, lo aiuta anche economicamente ad acquistare dischi in vinile: incredibile, ricorda, se si pensa che i dischi dei Led Zeppelin, al mercato nero, si portavano via mezzo stipendio di un medico o di un ingegnere …
L’arte e “l’ippopotamo” per la libertà di espressione
La passione del giovane Shabalin, da Donetsk a Mosca, è caratterizzata dalla lotta per la libertà d’espressione, contro i limiti imposti dal regime anche in campo artistico. Di più: i suoi lavori di pittura e grafica, d’impianto surrealista, gli costano la reclusione in ospedale psichiatrico come schizofrenico, gli elettroshock, la discriminazione. Sarà riabilitato solo con l’arrivo della Perestrojka.
La strada è segnata e s’incrocia con il percorso del collezionista Leonid Talochkin

Uno strano personaggio, che non specula sugli artisti e – pur di proteggere quello sterminato giacimento culturale che via via si andava formando negli angusti spazi di casa sua – fa mille lavori. Uno che si fida poco, dicono, eppure con quel giovane del Donbass con il timbro “schizofrenico” sul passaporto stabilisce un rapporto profondo, di stima e collaborazione reciproche. «Nel 1988 si avvertiva il potere liberatorio del cambiamento, – ricorda Shabalin – un vento che presto avrebbe soffiato ovunque in Unione Sovietica. In quell’anno mi fu concesso a Donetsk uno spazio espositivo. In realtà era un sotterraneo, un ex rifugio antiaereo, ma ce lo siamo fatti andar bene. L’abbiamo chiamato Avantgarde e, nei tre anni in cui è esistito, ha ospitato mostre, proiezioni, sessioni di storia dell’arte. Arte non ufficiale, naturalmente, e arte occidentale, a cui si cominciava ad aver accesso».
Un anticonformista
Da allora in poi, Shabalin si fa conoscere anche per la sua instancabile opera di divulgazione dell’arte non conformista. Nel 2009 porta a Venezia, all’ex Spazio Mondadori, la mostra Back in the USSR – Gli eredi dell’arte non ufficiale e, più recentemente, nel 2017-18 ha curato l’esposizione Goodbye Perestrojka – 100 opere di artisti dell’ex Unione Sovietica alla Galleria d’Arte Contemporanea Luigi Spazzapan di Gradisca d’Isonzo (Gorizia).
Il video
Il video della mostra alla Fabbrica del Vedere è commovente: Iceberg Talochkin, in condizioni di vita e di salute già precarie, l’aspetto più anziano dei suoi sessantacinque anni, parla con tenerezza delle opere già sistemate al Museo “Other Art” e di quelle che ancora non ha potuto trasferire. Un destino che, a tutt’oggi, mi racconta Shabalin, è ancora incerto: i lavori trasferiti in deposito presso una grande Galleria d’arte moscovita, il Museo chiuso. Poche le possibilità, per il momento, di riportare quadri e sculture in Italia.
Il recupero

Eppure, con amore testardo, l’ippopotamo di Shabalin non affonda: l’artista ha recuperato il filmato esclusivo dall’autore e si è rivolto alla Cineteca del Friuli per un restauro che ha migliorato la qualità delle immagini. Al progetto hanno collaborato anche il fotografo russo Igor Palmin, Yulia Lebedeva (curatrice del Museo “Other Art”) e Stefano Piccini, presidente di Geoworld Italia-USA.
Un “ippopotamo” come lotta alla propaganda
Prima di lasciarci, chiedo a Vladislav Shabalin se la cultura, la conoscenza dei messaggi artistici possano essere utili anche oggi, se non a risolvere il conflitto, almeno a fornire strumenti per non soccombere alla propaganda. «Sì, ci credo nonostante tutto – risponde – anche se la propaganda e la censura sono ancora forti, da entrambe le parti. Per le persone semplici è molto difficile orientarsi, per questo l’educazione è così importante. Quello di Putin è un comportamento mostruoso, pieno di rabbia …

E che dire del revisionismo storico di Stato, in Ucraina? I casi più clamorosi sono l’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (nota con l’acronimo OUN) e l’Esercito Insurrezionale Ucraino (l’UPA), che hanno sostenuto i piani espansionistici dei nazisti e si sono distinti per pulizie etniche su larga scala contro le popolazioni polacca ed ebraica. Eppure, gli ex membri di OUN e UPA hanno ricevuto ufficialmente lo status di veterani, che li ha equiparati a coloro che hanno combattuto contro il nazifascismo. Ed è un fatto noto che molte formazioni militari dichiaratamente filonaziste sono state integrate nell’esercito nazionale».
La conclusione

«Sapendo che Zelensky è ebreo, tutto questo m’impressiona ancora di più. – aggiunge con tristezza – L’importante è che al più presto si fermino, perché bisogna porre fine alla sofferenza dei civili; poi, ognuno rifletta sulla propria storia, sulle sue contraddizioni…chissà che una nuova Perestrojka ci salvi tutti».
Leonid Talochkin, custode del non conformismo
La Fabbrica del Vedere, calle del Forno, Cannaregio 3857, Venezia
dal 26 marzo al 14 aprile 2022
chiuso il martedì
dalle 17:00 alle 19:00
ingresso libero