L’età estrema, diciamola brutta: la vecchiaia, è il serbatoio dell’umanità dove il coronavirus Covid 19 ha bruciato finora più destini. I vecchi – tutto un mondo! – hanno subito la falcidie più dura e, comunque, i sopravvissuti hanno portato e portano addosso il fardello di un cupo dolore avvolti da una nuvola di ricordi e di rimpianti. Ma ascoltiamo, a questo proposito, la voce di un grande scrittore, il russo Vasilij Grossman (autore del capolavoro Vita e destino, Adelphi editore). Ci parla del dolore “che poi non è nemmeno un fardello, ma la vita stessa; e il dolore, per una persona anziana, è naturale come respirare, come maggio viene dopo aprile”. Il dolore, dunque, come viene spontaneo aggiungere, è nel vivere portato all’estremo…


E ascoltiamo anche James White, un famoso autore americano di fantascienza: ”Temeva di trasformarsi [invecchiando] in una specie di registratore vivente che ripetesse meccanicamente brani della sua vita, quando per caso venisse premuto il bottone giusto” (Vortice di rottami, Urania 1964).
Il dolore, viene da dire, è nelle giornate sclerotiche, nel tictac dell’orologio biologico che è il cuore, nel grigio uniformarsi dei giorni che si aprono e si chiudono velocemente. E lo incontriamo, ancora, in quell’”universo di sofferenze croniche” di cui ha parlato, qualche tempo fa, Ferruccio de Bortoli recensendo il libro dell’arcivescovo Vincenzo Paglia che ha definito la vecchiaia L’età da inventare (Piemme edizioni).
Le zucche con il pieno


Diceva la vecchia (ai miei occhi di bambino) ma amata maestra, parlando ai soliti discoli perché tutti capissero il messaggio: “State attenti! In certe zucche vuote ci puoi mettere di tutto, anche la segatura. Ma io vi dico: meglio che quel che le riempie sia vivo e buono”. Erano anni di passaggio, c’erano intorno a noi le cicatrici della guerra e della dittatura che l’aveva scatenata: qualcuno oggi scrive che “era stata una pandemia con le bombe e i rastrellamenti”. E quelle zucche infantili – il paragone era corretto, si viveva in campagna – erano le nostre menti, aperte come corolle di fiori oppure come zaini da portare sulle spalle lungo le strade della vita.


Oggi, quelle zucche “leggere” si ribellano al virus semplicemente negandone la realtà mentre si riempiono di bassa cultura raccogliticcia, di soluzioni magiche, di irrazionalità e, soprattutto, si armano di violenza fine a sé stessa, priva di bersaglio. Per loro, infatti, due parole bastano: “Abbasso tutto!” E così le persone vengono ridotte a vere “unità di odio” (cito Veltroni) che, moltiplicate dal tam tam dei social, diventano truppa di manovra… Esisteranno ancora le vecchie, materne e sagge maestre di un tempo andato che infondevano buon senso in quelle “zucche vuote”?
Dal “mondo roverso”


Dice il saggio, davanti allo squallore di certi attacchi alle istituzioni: “È come se il pensiero logico galleggiasse su uno strato di magma buio per sua natura turbolento, informe e indocile, che viene a galla in certe situazioni: è tossico, e fa impazzire la ragione. Non proviene da un fantastico universo alieno, ma è l’interfaccia del nostro essere… Ciò avviene – suggerisce ancora il nostro mentore – perché quella melma psichica riesce talvolta ad eliminare il controllo sui bassi istinti, che esplodono. Non accade a tutti e non sempre, ma quando succede, diciamo che è il mondo roverso a prendersi lo spazio solitamente occupato da pensieri positivi e propositivi improntati a seguire virtute e canoscenza. Ma quello che esce da certe bocche è un delirio di visioni oscure e catastrofiche, irreali quanto fortemente propugnate e sbandierate fino a sconfinare in volgarità e violenza cieca.”
Ascoltiamo, gente, ascoltiamo e meditiamo. Del resto, per molti che sono credenti, questo è il tempo di Avvento al Natale: periodo di attesa, di luce che porta alla speranza.
Creature


(poesia)
Come gli alberi
che la neve fa più neri
e il vento più irti,
così noi siamo: perché il nostro
tempo è pietra e il nostro cuore
lontano e gli occhi abbiamo freddi
di lacrime asciutte.
Perché siamo soli, noi
creature di Dio.
Alda Cortella (1924-1954)
Bellissimo articolo!
Ivo Prandin un grande del giornalismo e della letteratura veneziani!!