In parole povere o patrimoniali è un cespite. E non potrebbe essere buttato giù, pena reazioni non indolori di Corte dei conti, tribunali, procure, burocrazie ordinarie. Ma il dibattito è interessante. L’ex Emeroteca di Piazza Ferretto a Mestre, ovvero ex Banca cattolica di S.Liberale, ovvero ex Banca cattolica del Veneto, può essere demolita?

La storia dell’Emeroteca
È lì dal 1927, quasi centenaria. Ma ha un piccolo peccato originale. I permessi sono stati chiesti al comune di Mestre nel 1925, al sindaco fascista Paolino Piovesana. Poi persa la millenaria autonomia, hanno cominciato a costruirla sotto il comune di Venezia, due anni dopo, con il sindaco fascistissimo Pietro Orsi. Nel mezzo un decreto che abolì in un solo botto, i comuni di Favaro, Chirignago, Zelarino e Mestre per creare la “Grande Venezia”, nel 1926 appunto.
Cosa c’è di strano?

Ha aperto il fuoco delle polemiche lo storico Sergio Barizza. Nel 1994 scrisse il libro fondamentale “La storia di Mestre”. Idea condivisa anche dall’arciprete di Mestre, mons. Gianni Bernardi. Un amministratore comunale di antica data, Gianfranco Bettin, tra abbandono o concessione ai privati, propendeva per l’abbattimento. Ma ora ha cambiato idea: meglio un uso culturale e civico. Nel 2019 il sindaco Brugnaro, visto che l’edificio era vuoto da troppi anni, chiedeva il trasferimento temporaneo dei libri antichi del fondo Correr, oggi difficilmente consultabile alle Procuratie Nuove di Piazza San Marco, per questioni logistiche e di spazio. Solo pochi e fortunati studiosi hanno accesso alle consultazioni. Sono piovute critiche di ogni sorta. A Mestre i libri antichi mai! Il benefattore Teodoro Correr, che regalò la sua collezione al Comune nel 1830, si rigirerebbe nella tomba, è stato scritto.
Il bando e la possibilità di abbattere l’ex Emeroteca

L’ex Emeroteca di Piazza Ferretto, proprietà comunale, abbandonata dal 2014, andrebbe dunque demolita? Apriti cielo. Il dibattito si fa incandescente. Le associazioni culturali mestrine sono agitate. Demolire perché? Per fare più spazio visivo in via Poerio al fiume Marzenego, dare maggiore dignità alla trecentesca Scoletta, e risaltare il settecentesco Duomo di San Lorenzo? In termini aridamente numerici, l’abbattimento costerebbe sui 300 mila euro, la ristrutturazione sul mezzo milione, valore di mercato dell’immobile 3 milioni circa. Il Comune con l’intenzione di affidarlo ai privati ha già sprecato due bandi, andati deserti. Nel primo si chiedevano 150 mila euro di pigione annuale, nel secondo 68.000. Si poteva fare ristorante e uno spazio per mostre e incontri. Ora difficilmente ci sarà un terzo bando, al ribasso.

Ma torniamo al 1925
Mestre faceva ancora parte della Diocesi di Treviso. Il conte Enrico Matteo Passi, presidente della Banca cattolica di San Liberale, decide di aprire la succursale di Mestre. Porto Marghera e il polo della chimica sono partiti da poco e gli affari aumenteranno. La finanza cattolica è ancora preponderante nel Veneto Bianco. Il soprintendente alle opere d’arte, Gino Focolari, concede il permesso per l’abbattimento delle due case coloniche ad un piano, a ridosso del Duomo, con il vincolo di non “adombrare” la Scoletta trecentesca e la sua scalinata, nonché lo stesso Duomo di San Lorenzo. I nuovi costruttori però non rispettano i vincoli, tanto che diversi anni dopo, dovranno riconoscere all’arciprete del Duomo, mons. Da Villa, 500 mila lire, per non aver onorato i limiti stabiliti. Le stesse critiche le farà, qualche anno dopo, anche Ferdinando Forlati, il mitico soprintendente negli anni Cinquanta. Ma tant’è. La nuova e unificata Banca Cattolica del Veneto è diventata una delle più potenti banche italiane.
L’Emeroteca e gli anni ’70

Nel 1973 fu il sindaco Giorgio Longo, il primo, in un documento pubblico a ipotizzare un possibile abbattimento dell’edificio “perché Mestre non sia più un dormitorio…”. Mentre cinque anni più tardi, nel 1978, l’amministrazione comunale diretta dal sindaco Mario Rigo, nel Piano Programma, esortava apertamente all’abbattimento per una Piazza Ferretto più bella e originaria, ovvero un ritorno alla “piazza mazor”, il cuore di Mestre antica, rurale e incrocio fluviale.
l dibattito ora è aperto, tanto che l’assessore comunale Renato Boraso, parla di un possibile referendum tra mestrini. Buttare un edificio quasi centenario, per dare più spazio al fiume Marzenego, al Duomo e all’antica Scoletta, può essere una valutazione congrua? Molti mestrini però insistono per continuare un uso pubblico, magari un centro comunale informatico o multimediale. Da sei anni, troppi, l’edificio è abbandonato a se stesso. Basterà un referendum?