Il 25 aprile ha fatto discutere, anche per l’avvertimento del governo di festeggiare la festa della Liberazione con sobrietà per la concomitanza con i giorni di lutto nazionale per la morte di Papa Francesco. Abbiamo scelto di celebrare la ricorrenza con un racconto di un nostro lettore speciale: Claudio de Carli, firma storica de Il Giornale, che all’ inizio della carriera ha collaborato alle pagine di cultura del quotidiano nazionale. La narrazione è autobiografica. E parla di Pippo…
Di Claudio de Carli
Mio babbo, che era un tipo che parlava poco e probabilmente era una delle sue tante qualità per le quali era così benvoluto, una sera mentre eravamo su una panchina, ricordo, con la mamma e la zia, mi ha raccontato delle notti durante la guerra, a Milano, con gran parte della famiglia ammassata in via Morazzone all’8, casa del nonno.
Pippo il bimotore

Bene, mi diceva di Pippo. Era un bimotore inglese, mi pare di ricordare, che tutte le notti, più o meno alla stessa ora, sorvolava sopra i nostri tetti e sganciava una bomba. Praticamente nessuno riusciva a chiudere occhio finché Pippo, così lo chiamavano, non avesse sganciato la bomba, e stavano con gli occhi spalancati finché non se ne ritornava dalle sue parti. Mentre lo raccontava mio babbo aveva gli occhi spalancati proprio come quelle notti gonfie di ansia e di preghiere. In una di quelle il boato fu talmente forte che tremarono i muri di quelle vecchie case di ringhiere e povera gente di Milano. Al mattino il nonno era andato in piazza Baiamonti a montare il suo banco di lingerie, mutande, calze e reggiseni e sotto maglie di lana . Appena girato l’angolo in Paolo Sarpi, 50 metri scarsi da casa, era tutto una maceria.
Pippo sgancia la bomba

La bomba era caduta proprio sull’edicola che adesso non c’era più e anche gli altri negozi vicini erano solo un ammasso ancora fumante di pezzi di cemento informi e rottami di ferro incandescenti. Il nonno, diceva mio babbo, tirò dritto e non raccontò la cosa subito al resto della famiglia, che però aveva visto perché la Paolo Sarpi era una delle vie più trafficate e ancora non c’era tutto quel via vai di cinesi che ci sono oggi. Solo cinquanta metri da casa e tutta la mia famiglia sarebbe finita molto male.
Non so quanti morti causò quella bomba, ma a quei tempi ci si conosceva tutti e quelle perdite erano di gente amica, e si piangevano come fratelli e sorelle. Ora, mi sembra incredibile come ci sia ancora gente, qui da noi, in Italia, ridotta a macerie, con le nostre città rase al suolo, ebbene che ci sia ancora chi inneggia a quando si stava meglio quando si stava peggio.
E un governo che non si è mai dichiarato apertamente antifascista, votato da noi, noi italiani

E ci sia chi ha le svastiche tatuate e si raduni per commemorare i martiri della vergognosa repubblica di Salò. La mia famiglia, profondamente di sinistra, sia da una parte, sia dall’altra, non ne è stata esente. Due mariti delle tre sorelle di mio nonno, erano fascisti, anche pezzi grossi come mi dicevano. Chiesero rifugio a casa del nonno dopo il 25 aprile, e il nonno non si fece pregare ad accoglierli, tutto dentro a un appartamento di tre locali, con il bagno sul ballatoio.
Questo non li salvò prima uno e poi l’altro, vennero riconosciuti dai partigiani e fucilati in strada, uno in via Giusti, l’altro in via Aleardi. In quella casa poi ci sono andato ad abitare, da solo, e ancora oggi la adoro anche se dentro ora c’è una famiglia di cinesi che fanno le borse e le cinture. Molte notti guardando verso le persiane che danno sul cortile mi sono chiesto cosa avrei fatto quando il rombo di quel bimotore mi passava sopra la testa con il suo carico di morte. Buon 25 aprile fratelli.