Non tutte le mascherine contro il rischio covid sono di qualità: nel mirino sono i materiali di fabbricazione, ma anche chi certifica e dà i codici. Alcuni enti che certificano secondo regole europee sono situati fuori dalla UE e accusati di avvallare capacità di filtrazione dichiarata superiore a quella reale. Si parla delle due tipologie classiche: le mascherine chirurgiche e le mascherine professionali. Le prime si dividono in livelli I.II e IIR, mentre le seconde sono classificate in Ffp1, Ffp2, Ffp3. Ricordo che le mascherine Ffp1 filtrano in media l’80% dei patogeni, le Ffp2 il 94%, le Ffp3 il 99%. E come farmacista da decenni posso affermarlo con sicurezza. Parola di Dott. Lucio Zanetti

Pandemia e mascherine
Nella prima ondata, di fronte alla grave emergenza, è stato permesso l’uso di mascherine prive del marchio CE purchè avessero il benestare dell’Istituto superiore di Sanità. Si sono viste mascherine fatte di tessuto ripiegato o con gomma piuma in mezzo ed altre ancora che avevano esternamente uno strato di plastica e per consentire la respirazione il produttore aveva praticato dei buchi. Tutto questo non ha aiutato a combattere le diffusione della malattia.

Protezione carente per le mascherine
Sul fronte qualità, nel complesso, il panorama è più o meno desolante. Una pubblicazione di ingegneri analizza oltre 100 mascherine chirurgiche e Ffp2 in commercio in relazione al tipo di tessuto che le compongono. L’articolo mostra che solo il 40% rispetta i parametri di filtrazione, un 20% è sulla linea di sufficienza ed un altro 40% non li rispetta. Io aggiungo che il test avviene sulla capacità di filtrare i batteri: come diametro i virus come il covid 19 sono 20/30 volte più piccoli.
Normativa internazionale

E veniamo al punto centrale. “Che l’organismo di notifica sia italiano o meno le regole per misurare sono vecchie”. Malgrado il Covid 19 abbia un diametro 0,08 e 0,12 micron le mascherine per contrastarlo sono testate con il bacterial filtration index, tarato su batteri come lo stafilococco aureo che ha un diametro di 3 micron. Per filtrare virus così piccoli ci vorrebbero mascherine con maglie molto fitte e molto piccole o dotate di altre proprietà filtranti. Le mascherine Ffp3 migliori hanno spesso fibre molto sottili (1-2 micron), mentre alcune Ffp2 hanno fibre grossolane con fori da 15 micron. Ma purtroppo sia le autorità regolatorie sia la ricerca non hanno spinto per rivedere una normativa vecchia e nata o per le sale chirurgiche o le industrie, come ad esempio la siderurgia, dove gli operai sono esposti anche a polveri ultrafini, grandi come virus. Insomma: le mascherine nelle fabbriche in giro per il mondo tendono a proteggere in teoria dai virus ben più di quanto non risultino protettive quelle usate in alcuni dei nostri ospedali.
I limiti dei test
C’è un’ulteriore variabile. Anche buoni laboratori possono rilasciare, in buona fede, certificazioni positiva per mascherine idonee contro il virus, in quanto la qualità della filtrazione si misura quantificando particelle in uscita dal tessuto in percentuale su quelle sparate in entrata, ma tra quelle particelle ce ne sono di tutti i diametri, “la taglia del virus”, e i detector sono sensibili al totale delle particelle che passano, non alla misura delle particella in uscita, salvo ad utilizzare apparecchi più complessi e costosi.

Le mascherine più “taroccate”
Imbattersi in prodotti inadeguati è più probabile quando ci si rifornisce di mascherine Ffp2 – Ffp3. Il costo del tessuto filtrante e di produzione della mascherina chirurgica è inferiore rispetto a quello delle Ffp2 – Ffp3 con i vari strati. In conclusione importante è però non solo avere buone mascherine, ma anche saperle indossare.
