L’Onu agisce direttamente o attraverso numerose agenzie specializzate che hanno il compito di realizzare gli interventi che possano contribuire indirettamente al mantenimento della pace, che è e rimane il compito principale delle nazioni unite. Una di queste agenzie è l’UNDP (United Nation Development Programme), che è attiva dal 1978 in medio oriente attraverso il PAPP (Programme of Assistance to the Palestinian People) con lo scopo di sostenere il popolo palestinese a realizzare una realtà amministrativa in grado di supportare il proprio sviluppo socio economico, nelle tre aree geografiche fondamentali della striscia di Gaza, Gerusalemme est e in CisGiordania.
Come si sviluppa il programma

Il programma viene sviluppato attraverso accordi con le autorità nazionali palestinesi e tutti i partner internazionali interessati, alla realizzazione dei suoi obiettivi, con un’ottica di approccio integrato ed adattivo che si fonda su tra pilastri fondamentali:
- Ripristino dei servizi pubblici essenziali
- Ripresa economica inclusiva
- Governance inclusiva
La ricostruzione di Gaza

Secondo questo approccio l’idea della ricostruzione post bellica di Gaza è stata sviluppata attraverso il lavoro congiunto tra autorità locali, organi dell’Onu ed in particolare l’ufficio per il coordinamento umanitario e la ricostruzione ed i partner e donatori internazionali.
Anche se parlare di ricostruzione discutendone in modo freddamente scientifico può attualmente apparire cinico e fuori contesto, l’elaborazione del progetto rappresenta una necessità ed uno stimolo.
Il rapporto sulla situazione a Gaza

Secondo il rapporto Gaza strip interim damage assessment elaborato dalla world bank e dall’Onu e pubblicato il 2 aprile scorso, (pertanto largamente superato dai fatti che si sono incaricati di aggravare profondamente i dati già enormemente pesanti del rapporto stesso), risultano esservi stati danneggiamenti ad edifici, pubblici e privati, per un valore pari al 97 % del Pil della strisci di Gaza; gli edifici residenziali risultano distrutti per almeno il 72% mentre quelli pubblici, in particolare ospedali e luoghi di cura, sono distrutti per il 19% e le strade sono inservibili per il 92%.
Per dare una misura dell’enormità dei danni materiali si ricorda che, al febbraio scorso, sono stati calcolati oltre 37 milioni di tonnellate di detriti, che necessitavano di oltre 620 milioni di dollari per la rimozione, secondo tempistiche del tutto imprevedibili data la pressoché totale distruzione delle vie di collegamento e l’impossibilità di trovare siti di smaltimento, al punto che si è ipotizzato di utilizzarli per la costruzione di insediamenti portuali costieri.
Il Gaza damage assessement stima inoltre che la riduzione delle capacità economiche, in larga parte solo potenziali in quanto attualmente non esercitate a causa del conflitto, è talmente grave da aver riportato il Pil della Striscia indietro di vent’anni.
Lo Iuav interviene nella questione Gaza

Questo è lo scenario nel quale interviene lo Iuav, oggetto della recente conferenza nella sede dei Tolentini che ha delineato i dettagli del memorandum of undertanding tra l’Università e Onu, con il quale è stato prodotto il documento, Undp’s support to Gaza Early Recovery, Recosruction and Resilience che in 90 pagine delinea necessità e strategie d’intervento.
Ricostruire Gaza con criteri di pacifica convivenza

Il fulcro dell’accordo è quello della ricostruzione di Gaza secondo criteri urbanistici che favoriscano atteggiamenti di pacifica convivenza, mirando a sostituire un luogo di armonia che possa costituire un esempio per l’intera area mediorientale; obbiettivo molto ambizioso e completamente irrealistico nelle attuali condizioni di guerra in cui non si può lontanamente immaginare la ricostruzione ma esercizio indispensabile per intravvedere un futuro che, inevitabilmente, sarà una sfida per il popolo di Gaza ma anche per la comunità internazionale
Iuav studia da molti anni il tema della ricostruzione delle realtà urbane colpite dalla guerra, compendiandolo in uno studio che è stato curato dal Rettore Benno Albrecht e dal Professor Jacopo Galli, Cities undere pressure. A design strategy for urban reconstruction.

Questo elaborato analizza ed illustra le varie tipologie di intervento e di ricostruzione nelle aree di conflitto nelle quali l’università veneziana ha già maturato importanti esperienze tanto in Siria che in Iraq, apprestandosi a farlo anche in Ucraina, al termine del conflitto.
Lo Iuav punta a far rinascere Gaza quartiere per quartiere

La formulazione degli interventi elaborati da Iuav consente di modulare l’operatività nelle diverse aree interessate, prevedendo una ricostruzione formulata sulla costellazione organica di cellule o quartieri, nella convinzione che partendo da un realtà distrutta si possa invertire completamente gli attuali meccanismi insediativi a favore di una città .. formata da una somma di cellule urbane in grado di dialogare tra loro, trasformando un agglomerato urbano composto dalla somma di diversi successivi insediamenti disordinati, in un ambiente urbano definito e caratterizzato, pensato per il suo abitante.
Una delle considerazioni fondamentali sottesa a questa idea è quella che tanto maggiore è la caratterizzazione identitaria della realtà umana insediata, tanto maggiore sarà la propria autonoma autorappresentazione e, pertanto, la coscienza di essere comunità integrata e coesa.
Al centro la comunità

Per consentire la maggiore partecipazione diretta della popolazione palestinese a questa opera di ricostruzione, si è cercato il confronto sul campo della realtà urbana di Gaza, l’utilizzo di approcci tecnici, di materiali e tecnologie innovative, che avessero il valore aggiunto di consentire una diversa vivibilità della nuova città.
Il modello mette al centro la comunità integrando gli elementi di sostenibilità e con criteri di sostenibilità ed adattabilità nel tempo anche in ragione delle attuali condizioni di estensione del conflitto e della sua distruttività fisica, oltre che umana, che pone la necessità di una ricostruzione pressochè totale
Alla ricostruzione di Gaza saranno dedicati il Conflict Recovery Framework, costituito dall’UN Interim Damage Assessment ed il supporto della Banca Mondiale, con un sistema adattivo e progressivo di assistenza umanitaria e di sostegno alla ricostruzione ed alla ripresa economica.
Prenderà avvio con la fase di ideazione inception phase, nel corso della quale si determinano le priorità sulla base di criteri che consentano la flessibilità necessaria per rispondere alle esigenze on the ground.
Si comincia costruendo piccoli quartieri autonomi

Si prevedono infatti una serie di pilot projects, ossia costruzione di piccoli quartieri autonomi con i quali verificare la realizzabilità e l’utilità effettiva degli interventi ma, soprattutto, consentire e stimolare la partecipazione bottom up della popolazione palestinese alla ricostruzione, per realizzarla quanto più possibile a misura di abitante.
Non verranno pertanto utilizzate grandi imprese e progetti roboanti. Che risultano sempre staccati dai bisogni e dai desiderata dei fruitori. E che spesso portano alla creazione di strutture e di servizi non adeguati e non necessari e, più ancora, non sentiti dai residenti.
Questo tipo di ricostruzione calata dall’alto, secondo gli studi più avanzati, non riesce peraltro a spezzare la catena della violenza perché non sopisce le tensioni ma spesso le acuisce.
Il bottom up approach consente invece di far partecipare la comunità locale autorganizzata, partendo dall’assunto che la città ricostruita deva essere diversa da quella che è stata scenario della violenza, anche per marcare la rinascita ideale della cittadinanza, che non è data solo dagli spazi fisici ma anche dal sistema sociale e culturale, dalle strutture economiche e dall’organizzazione amministrativa e di governance.
Da evitare le celle urbane

Secondo lo studio dello Iuav peraltro ridefinire e ridisegnare il design urbano comporta una rigenerazione che porta continui, complessi ed imprevedibili esiti di cambiamento, che sono dati dalla costruzione progressiva di diverse celle urbane che costituiscono un’alternativa concettuale al sistema della costruzione delle città per aree funzionali; produttive, commerciali, strutturali ecc.
Secondo il metodo della costruzione per funzioni la città è la risultante della somma, in parte involontaria ed imprevedibile, dell’interazione tra le diverse funzioni urbane ma, in questo modo, il senso dell’abitare si allontana e si svincola dal sentire del residente che deve adattarsi alla città in cui vive.
Il risultato finale è un ambiente urbano torbido ed incapace di una visione di sostenibilità integrata e certamente carente della qualità urbana necessaria per la migliore vivibilità.
Gaza con quartieri ben definiti

Sempre secondo l’early recovery recostruction and resilience, partendo dalla distruzione attuale si può ricostruire una città basata su una serie di quartieri urbani ben definiti. Assunti come elementi autonomi di una dimensione calibrata sul dialogo tra elementi ed in grado, ciascuno, di ospitare circa 10000 persone. Una dimensione gestibile che consente di creare una rete di punti autonomi ma interattivi tra loro, per la messa in comune di alcune funzioni specifiche.
Soluzione che ha inoltre il vantaggio di permettere risparmi di tempo, di risorse economiche ed infrastrutrurali. E comporta un risparmio di suolo ed una diminuzione degli sprechi perché si assume che le aree siano connesse tra loro da infrastrutture poco impattanti e sostenibili. Con piccole aree verdi e produttive intermedie. La dimensione dei quartieri consentirà alla comunità locale di diventare protagonista della ricostruzione per mezzo della progettazione degli interventi singoli e direttamente operati da loro.Anche con l’utilizzo di imprese locali.
Il sistema ipotizzato tende insomma ad uscire dalla logica della programmazione urbana preventiva e top down per rivolgersi verso una vivibilità cittadina quotidiana senza scopi predeterminati. Essendo invece il risultato delle successive e costanti interazioni tra gli spazi ed i suoi abitanti. In una sorta di equilibrio dinamico nel quale il risultato sarà la somma (e la differenza) tra tanti e diversi possibili approdi di vivibilità.
L’Urban Trigger

Questo metodo si chiama urban trigger . Ed è un innovativo sistema di design che consente di definire uno spazio urbano adattivo e mutevole che, nelle intenzioni, dovrebbe aiutare, o non impedire, la serena convivenza della popolazione di Gaza, certamente umanamente sconvolta. Che ha la necessità di ripensare faticosamente al proprio presente trovando la forza di immaginare il futuro.
L’adattamento ed il miglioramento dell’ambiente urbano è un processo di governance condivisa, costante e partecipativo. E può essere uno degli elementi di aiuto per intraprendere questo percorso.