Poco più di 35 anni fa il Verona vinceva il suo primo e per ora unico scudetto. Si tratta dell’unico scudetto di una squadra del nordest nel calcio e di una delle più grandi imprese nella storia dello sport più amato del nostro Paese. La vittoria degli scaligeri se paragonata ad altre vittorie simili come gli scudetti del Cagliari nel 1970 e della Sampdoria nel 1991 che hanno avuto più padri putativi, ha, senza offesa per gli altri pur grandi protagonisti delle citate imprese, un solo vero genitore: Osvaldo Bagnoli, il mago della Bovisa.
Il mago fa magie a NordEst dopo la Sardegna
Il Cagliari aveva il più forte attaccante del dopoguerra, Gigi Riva, uno dei più grandi portieri di sempre, Enrico Albertosi, quattro undicesimi della nazionale vicecampione del mondo a Messico 1970, un allenatore geniale, Manlio Scopigno, un altrettanto geniale dirigente, Andrea Arricca. La Sampdoria, invece, beneficiò dei pesanti investimenti del presidente Paolo Mantovani, della lungimiranza del direttore sportivo Borea, della saggezza dell’allenatore Boskov, di una serie di campioni come Vialli, Mancini, Cerezo, Pagliuca, Vierchowod.
Quel Verona

Il Verona in panchina, fidatevi, aveva un mago, anche se la parola al diretto interessato dava terribilmente fastidio, preferendo essere chiamato Schopenhauer, come l’aveva soprannominato il suo grande estimatore Gianni Brera. Il soprannome più popolare di Mago della Bovisa gli venne affidato perché era originario del quartiere operaio della Milano post bellica. Da ragazzo Bagnoli era proprio un operaio, dividendo le sue giornate tra una fabbrica di ceramiche e il pallone dove era così bravo da essere notato, mentre giocava nell’Ausonia, dagli osservatori del Milan. Al Milan non si poteva dire di no e poi pagavano più della fabbrica. Osvaldo, dopo il via libera dei genitori, provò per qualche mese che poi si trasformò in una vita divisa tra campo, era una mezzala dai buoni piedi, e panchina.
Gli esordi del mago
Nelle giovanili rossonere ebbe dei compagni di banco che, insieme a lui, avrebbero scritto un pezzo importante di storia del nostro calcio: Giovanni Trapattoni, il più conservatore e il più vincente, Luigi Radice, il più innovatore, Pippo Marchioro, il visionario che era troppo avanti nei tempi. Con loro Osvaldo, che diventerà il mago della Bovisa. Nel Milan esordì pure in Serie A e contribuì alla vittoria di uno scudetto, nel 1957, in una squadra che annoverava campionissimi: Liedholm, Nordhal e Schiaffino. Proprio l’uruguaiano sarà il massimo riferimento calcistico di Osvaldo.
Il giramondo

Dopo il Milan iniziò a girare la penisola, da Verona a Catanzaro, passando da Ferrara. Nella Spal giocò ottime stagioni in A, in un centrocampo di futuri mister. Lui, Capello e Reja. A Verona trovò l’amore e decise, una volta smesso di giocare, di stabilirsi anche perché aveva trovato un lavoro sicuro alla Mondadori. Cosa poteva sperare di più? Aveva messo da parte qualcosa, agli amici e ai nipoti poteva dire di aver giocato con Liedholm e Schiaffino e di aver vino uno scudetto. Non poteva sapere che un suo amico, Carlo Pedroli, il direttore sportivo del Verbania, sua ultima tappa da giocatore, l’aveva iscritto di nascosto al corso allenatori, perché aveva intravisto in lui delle doti uniche: “da giocatore capiva l’evolversi del gioco prima d tutti gli altri”.
Come nacque il mago allenatore. La nascita di Mister Bagnoli
Nacque così per caso il Bagnoli allenatore. Partenza dal basso con la Solbiatese, poi il Como, prima come secondo e poi da subentrante in A e poi un saliscendi emozionante: Rimini in B, Fano in C2 con vittoria del campionato, Cesena in B con la promozione in A. Solo che alla massima serie preferì la famiglia e accettò il Verona in B.
Un ridimensionamento?
Assolutamente no, un’altra promozione, e siamo a tre in quattro anni, e grandi stagioni in A. Nella prima duellò per i primi posti con la Roma per tutto il girone di andata. Poi continuò nella messa a punto, come un vero capo officina (definizione del compianto Gianni Mura), insieme a Ciccio Mascetti, direttore sportivo e suo grande amico di quello che sarà il Verona campione d’Italia.
Bagnoli, un mago nello scegliere i giocatori

Bagnoli non cercò solo giocatori, voleva soprattutto uomini. Fece desistere Volpati, ora stimato dentista in Trentino, dal chiudere anzitempo la carriera per dedicarsi alla laurea in Medicina. Gli altri erano tutti giocatori da “ricondizionare” dopo un inizio carriera promettente che sembrava svanire nel nulla. Arrivarono Fanna e Galderisi, promesse della Juventus, Bruni, Di Gennaro e Sacchetti, un terzetto di ex virgulti della primavera della Fiorentina, Tricella, che nell’Inter era chiuso, poi Garella, reduce da esperienze traumatiche alla Lazio. A questi si aggiunsero gli esperti Ferroni e Fontolan, due mastini difensivi, e il terzino fluidificante (termine meraviglioso e un po’ desueto) che già aveva fatto vedere ottime cose nel Real Vicenza di GB Fabbri e Paolo Rossi. Ciliegine sulla torta i due stranieri: il tedesco Briegel e il danese Elhjar Larsen.
Il Verona del mago
Il Verona di Bagnoli aveva un gioco moderno, un misto di uomo-zona con una difesa a tre, fu uno dei primi a farla insieme a De Sisti ma nessuno dei due se ne appropriò la primogenitura. Le sue squadre giocavano in verticale, trovando la via del gol con una velocità impressionante. Difesa accorta e contropiede rapidissimo. Del possesso palla, per stessa ammissione di Osvaldo, gli importava il giusto. Bagnoli era un teorico dello schiaffo: “se tiro io il primo schiaffo all’avversario prendo un bel vantaggio”. Ma la frase che l’accompagnò per sempre fu “el tersin faccia el tersin…”. Nel pieno rispetto dei ruoli che dovevano essere ben definiti. Ma Bagnoli tendeva a minimizzare il suo calcio, essendo un timido che odiava apparire o andare in tv.
Il no di Berlusconi
Per questo Berlusconi quando iniziava a costruire il suo Milan non accolse il consiglio di Brera che gli caldeggiava l’assunzione di Bagnoli. Per il cavaliere, poi, Osvaldo aveva l’aggravante di essere comunista, cosa non vera. Bagnoli, al massimo, era socialista, quando i socialisti, però, erano una cosa seria e non i protagonisti della Milano da bere. Bagnoli del resto era ed è una persona serissima, amato dai suoi giocatori. La sua serietà lo portò a rifiutare offerte più ricche nel rispetto del Verona.
L’amore di una città
Rimase l’anno seguente allo scudetto, giocando la Coppa dei Campioni e venendo buttato fuori dalla Juventus dopo un arbitraggio più schifoso che scandaloso. Nell’occasione, lui che era sempre calmo, tirò fuori nel post partita una delle frasi più belle quando un carabiniere di servizio allo stadio gli chiese cosa fosse successo, un suo giocatore per la rabbia aveva rotto uno specchio, e lui gli rispose: “se cercate i ladri sono di là”, indicando lo spogliatoio della Juventus.
Fino alla fine
Rimase al Verona fino al quasi fallimento, come un vero comandante che non abbandona la nave e questo lo renderà ancora più grande e immortale per i tifosi scaligeri. Andò poi al Genoa arrivando quarto, miglior piazzamenti del Grifone nel dopoguerra, e raggiungendo le semifinali di Coppa Uefa, dopo aver eliminato il Liverpool ed espugnato Anfield Road.
Il Mago all’Inter. Un triste addio

Arrivò così la chiamata dell’Inter. Nel primo anno contese, con una super rimonta, lo scudetto ad un Milan ricchissimo. Nel secondo non gli fecero mettere bocca nel mercato, comprandogli giocatori non graditi. Fu esonerato in modo immeritato. Ma poi fu lui ad esonerare il calcio. Si ritirò ancora giovane, rifiutando soldi e panchine interessanti. Anche questa volta, con largo anticipo, aveva previsto dove sarebbe andato il calcio: in un posto che non gli piaceva e dove non voleva andare.