A Mestre continuano, attraverso le mostre organizzate e allestite dal MUVE (Fondazione Musei Civici di Venezia) nelle sale espositive del Centro Culturale Candiani, lo studio e la riflessione sull’arte del Novecento dedicata ai grandi Maestri. Dopo “Kandinsky e le avanguardie” (30 settembre 2022 – 10 aprile 2023), “Chagall e il colore dei sogni” (30 settembre 2023 – 13 febbraio 2024) e “Matisse e la luce del Mediterraneo” (28 settembre 2024 – 4 marzo 2025) a essere protagonista ora è l’artista norvegese Edvard Munch (1863 –1944).
La mostra su Munch


La mostra, intitolata “Munch. La rivoluzione espressionista”, curata da Elisabetta Barisoni, dirigente Area Musei del MUVE, e ospitata nelle sale espositive al terzo piano, è stata presentata alla stampa alla presenza di Mattia Agnetti, Maria Cristina Gribaudi, Simone Venturini e Giorgia Pea oltre alla curatrice. Resterà aperta al pubblico dal 30 ottobre 2025 al 1° marzo 2026 con ingresso gratuito previa registrazione (qui il link:
Raccontare Munch

L’approccio, simile alle precedenti esposizioni del progetto, è quello di raccontare l’uomo immerso nel suo tempo, un uomo che vive e lascia un segno nella società. Sicuramente introspettivo, ma anche partecipativo; inquieto e solo, ma non isolato. Nel percorso espositivo vengono sottolineati i tanti suoi legami con autori, artisti, letterati contemporanei – Ibsen fra tutti, di cui illustra le opere teatrali – che concorrono alla formazione del suo pensiero, alla sua rivoluzione grafica e iconografica, alla sua vita.
Elisabetta Barisoni ha voluto, con scelte molto calibrate, liberare Munch dal mito che lui stesso ha creato


Per comprendere la sua genialità e la carica rivoluzionaria della sua arte, era necessario andare oltre la narrazione che vuole identificarlo soltanto come l’autore del famosissimo dipinto L’urlo riprodotto ormai in ogni dove, dalle T-shirt alle tazze e altri oggetti di mercandising. Era anche necessario andare oltre la sua biografia, gli eccessi, le psicopatologie.
Una guida


Munch si trasforma dunque in una sorta di guida alla scoperta dell’arte del nostro tempo, in un viaggio attraverso le collezioni civiche della Galleria Internazionale d’Arte Moderna – dove sono conservate quattro opere grafiche Edvard Munch (Angoscia, L’urna, La fanciulla e la morte, Ceneri): va infatti ricordato che Munch in Italia venne conosciuto inizialmente soprattutto per le sue incisioni in bianco e nero. A esse sono accostate opere provenienti dai Musei Nazionali di Bologna, dal museo Prins Eugens Waldemarsudde di Stoccolma e dal Belvedere di Vienna, nel segno della rivoluzione espressionista. Il progetto si propone pertanto di riconnettere Munch sia con le correnti artistiche dalle quali è partito sia con quelle che a lui si sono ispirate nei decenni successivi, suggerendo una nuova lettura sia delle radici che dell’eredità dell’artista, uno dei Maestri dell’arte moderna la cui lezione artistica e umana ha segnato tutto il Novecento.
La mostra su Munch


Questa mostra segna l’ultimo capitolo di una rassegna iniziata tre anni fa che, partendo da capolavori delle collezioni di Ca’ Pesaro dei maestri dell’arte moderna e contemporanea, ha voluto raccontare le contaminazioni, le prossimità, il proprio tempo, le vicende artistiche e soprattutto, l’eredità contemporanea attraverso il Novecento, fino ai nostri giorni.
Sette le sezioni della mostra, sessantacinque le opere esposte.
Le sezioni


La prima sezione, intitolata semplicemente “Munch” mette a confronto l’artista con il connazionale, meno noto, Aksel Waldemar Johannessen (Kongsvinger, 1880 – Oslo, 1922): una vicenda artistica intensa e breve, che con Munch condivide la ricerca di mondo interiore tormentato, ma affronta la realtà con un realismo sociale che si carica di tensione espressiva, distante dall’estetica francese che domina l’arte norvegese del tempo. Qui, colpisce l’intensità dell’Autoritratto (litografia del 1895), che Munch usa come indagine su se stesso e sul rapporto fra individuo e mondo esterno.
La seconda e la terza sezione sono dedicate alle Secessioni, vale a dire le rotture artistiche dell’area tedesca: quella di Monaco (1892) – che poi proseguirà con Vienna (1897) – e quella di Berlino (1898). Il visitatore viene sorpreso dalla luce e dai colori del dipinto Due anziani (olio su tela del 1910).
Il simbolismo
La Secessione di Monaco include artisti come Franz von Stuck, interprete di un simbolismo visionario e sensuale ma anche molti artisti italiani, tra cui Arturo Martini e Alberto Martini, che qui trovarono stimoli decisivi per la loro arte. Della Secessione di Berlino, Munch è quasi il casus belli; nel novembre 1892 la critica tedesca tradizionalista stronca le opere di Edvard Munch esposte Verein Bildender Künstler di Berlino.
La mostra viene chiusa dopo appena una settimana, le polemiche però non faranno altro che rendere celebre il nome di Munch in tutta la Germania, acuendo la frattura tra gli ambienti accademici e i giovani artisti della città. Nel 1898 poi avviene la Secessione di Berlino, movimento che vedrà Munch protagonista. In questo periodo di forte fermento culturale, la ricerca di una nuova estetica si manifesta nei lavori di artisti come Liebermann, Klinger, Dettmann, Egger-Lienz, testimoni di una Berlino attiva, cosmopolita, protesa verso la modernità.
La quarta sezione è intitolata “Simbolismo belga”. Superando le premesse impressioniste, Munch dunque guarderà al Simbolismo, all’opera di Redon, Sérusier, Bonnard, alla produzione di Klinger e ai dipinti di Böcklin che lo avvicinano a un linguaggio simbolista, permeato di immagini allusive e visionarie, di sogni, interiorità e mistero. In Belgio, la corrente assume importanza grazie ad autori come Félicien Rops – legato agli ambienti letterari decadenti parigini e influenzato da Baudelaire, Mallarmé e Verlaine – e James Ensor, inventore di un mondo grottesco popolato da maschere, scheletri e figure mostruose, sviluppando un simbolismo fantastico e a tratti caricaturale, ricco di satira sociale.
Il percorso della mostra su Munch


Segue, nella quinta sezione, il confronto con il Simbolismo in Italia che assume declinazioni diverse e originali, tra le sculture intense e drammatiche di Adolfo Wildt, gli scenari cupi di Cesare Laurenti e lo spirito ribelle di Ugo Valeri.
La sesta sezione è dedicata a “L’espressionismo tedesco” che espone opere grafiche di Munch che saranno fondamentali per il gruppo Die Brücke. Artisti come Erich Heckel riscoprono la xilografia e le tecniche incisorie come mezzo diretto, essenziale, primitivo, ispirandosi tanto alla tradizione di Dürer quanto alle tecniche innovative del maestro norvegese. Dopo la guerra, una seconda generazione – tra cui si distinguono Otto Dix, del quale sono esposte due incisioni di grande impatto, e Max Beckmann – traduce il trauma collettivo in immagini più crude e disilluse. Nella grafica, la figura umana è scavata fino all’osso: non più solo un grido individuale, ma il riflesso di una società lacerata.
La settima e ultima sezione è intitolata “L’urlo contemporaneo” dove la lezione di Munch si rinnova nella sensibilità degli autori del Novecento. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, le istanze dell’Espressionismo si rintracciano nelle testimonianze degli orrori vissuti in prima persona: Renato Guttuso racconta la brutalità della storia, mentre Zoran Music evoca l’esperienza indicibile dei campi di concentramento. L’urlo espressionista si ritrova nelle visioni deformate e mostruose della Maternità di Ennio Finzi o nelle Figure alterate di Emilio Vedova. Gli orrori dell’attualità sono nei teschi di Mike Nelson, e i mondi popolati da mostri e maschere di Brad Kahlhamer e Tony Oursler. Il grido di dolore risuona nella tragedia della guerra di Jugoslavia, di cui Marina Abramovic si fa interprete in una famosa performance, e si ritrova, infine, nella denuncia appassionata e drammatica di Shirin Neshat, incisa sulla pelle e sul destino del popolo iraniano.
Il catalogo è pubblicato dall’editore Lineadacqua.
Informazioni
Chi era Munch

EDVARD MUNCH nasce il 12 dicembre 1863 a Løten, in Norvegia, e cresce a Christiania, l’attuale Oslo. Figlio del medico militare Christian Munch e di Laura Bjølstad, vive con tre sorelle e un fratello. Molto presto subisce delle perdite che lasceranno il segno nella sua vita: la madre muore di tubercolosi nel 1868, l’identica sorte toccherà alla sorella Sophie qualche anno più tardi. Di salute cagionevole egli stesso, viene educato inizialmente in casa, dove può dedicarsi al disegno incoraggiato della zia Karen, subentrata nella cura dei nipoti. Inizialmente si iscrive a un istituto tecnico, che ben presto abbandona per frequentare la Scuola Reale di disegno di Christiania. Insieme ad altri sei artisti affitta uno studio nel centro della città, dove lavora sotto la guida di Christian Krohg, figura centrale dell’arte norvegese dell’epoca. Soffocato dall’educazione religiosa paterna, Munch trova libertà nell’ambiente bohémien di Christiania.
L’artista

Nel 1884 lascia per la prima volta la Norvegia grazie a una borsa di studio, che gli permette di visitare Parigi. Al ritorno espone alcune opere che destano scalpore per l’innovativo linguaggio pittorico. In questa occasione Munch presenta temi legati all’esperienza esistenziale che ricorreranno in tutta la sua produzione artistica. La malattia, la malinconia, l’amore e la morte, motivi che si legano alla sua storia individuale. Nel 1889 tiene la sua prima mostra personale a Oslo. Nello stesso anno torna a Parigi, dove si trattiene per tre anni. E ha la possibilità di conoscere le opere di Van Gogh, Gauguin e i postimpressionisti.
Nel 1892 viene invitato a esporre a Berlino; la mostra, chiusa dopo solo una settimana per lo scandalo suscitato dalle sue opere, gli permetterà di farsi conoscere in tutta la Germania. A Berlino realizza capolavori simbolisti ed espressionisti come L’urlo, Ceneri, Vampiro e Madonna. Negli anni successivi viaggia ed espone tra Francia, Germania e Norvegia. Nel 1908, colpito da una crisi nervosa, si ricovera in una clinica danese. Tornato in Norvegia si dedica alla decorazione dell’Aula Magna dell’Università di Oslo. Dal 1916 si stabilisce nella tenuta di Ekely, dove lavora fino alla morte, avvenuta il 23 gennaio 1944.

















































































