Ci sono le foto che lo possono testimoniare: quelle canzoni che abbiamo sentito e imparato come canti della Resistenza italiana i partigiani le hanno scritte e cantate davvero. Ci sono anche le testimonianze di chi le ha sentite per le strade della liberazione o in innumerevoli occasioni in cui le abbiamo cantate: in manifestazioni per la strada, in momenti di festa, nelle piazze del ricordo collettivo di libertà.
La lotta partigiana ha riscattato l’immagine di un paese che il fascismo aveva violato, distrutto e asservito alla violenza nazista. Quei canti ancor oggi ci aiutano a ricordare, a rivivere quei momenti, a vigilare perché non debbano ripetersi.
I canti di libertà
Sono canti che giustamente vanno collocati nel patrimonio popolare; spesso le stesse musiche sono “prestate” dalla nostra tradizione canora e affiorano arie e idiomi che testimoniano dell’ampia partecipazione di buona parte di un’Italia separata, ma unita, sofferente, ma decisa a riscattarsi, ricacciando oltralpe Hitler, cancellando definitivamente la sciagura fascista.
I canti sono testimonianza di quale era l’obiettivo che unificava il movimento di liberazione.
“Portiamo l’Italia nel cuore/ abbiamo il moschetto alla mano/ a morte il tedesco invasore, ché noi vogliamo la libertà”.
La musica di questo canto è tratta dall’inno a Guglielmo Oberdan, patriota triestino. Sfuggito alla leva imposta da Vienna, si rifugiò a Trieste dove fu imprigionato e successivamente condotto a morte per impiccagione il 20 dicembre del 1882.
A proposito di libertà e “ribelli”
Con la liberazione si liberano per l’aria i canti dei “ribelli”, di quei ragazzi e di quelle ragazze che tante volte li avevano cantati durante le soste al campo o prudentemente sussurrati nelle lunghe marce tra boschi e valli.
Oggi quei canti, a noi restituiti dal ricordo di testimoni, ci raccontano la convinzione, la forza, ma anche la prudenza che guidavano l’azione delle diverse squadre.
Le immagini e i canti, così come centinaia di pagine, ci trasmettono una visione autentica dell’epopea partigiana, delle paure e delle speranze che migliaia di italiani hanno covato nei loro cuori per interminabili anni.

L’inverno del 1944 è ricordato come tra i più freddi di sempre, ma non ridusse nuovi arrivi dalle valli, dai paesi, dalle case, dalle caserme.
Cantare di libertà in montagna
I rastrellamenti dei Tedeschi si facevano sempre più frequenti, più violenti. Nei villaggi si viveva nel terrore di ciò che poteva accadere se avessero deciso di controllare tutti gli spazi possibili rifugi di persone. Era nota la solidarietà che la popolazione montanara sottovoce manifestava ai volontari combattenti, ad essi talvolta si univano anche figli o mariti.
I partigiani nei loro canti nello stesso momento in cui dichiarano la volontà di portare la battaglia fino in fondo, di non temere il nemico o la morte, esprimevano anche le terribili assenze, la irresistibile voglia di poter tornare presto ai loro cari.
Canti di libertà che ricordano chi è stato lasciato a casa per combattere
L’affetto che più emerge nei canti è quello per la mamma. Lo abbiamo già detto, erano ragazze e ragazzi provenienti da ogni strato sociale. Molti di loro potevano non aver mai lasciato la casa, la scuola, la fidanzata o il fidanzato.

Testi e musiche spesso nascevano da contributi dei partecipanti alla cena o da gruppi raccolti in disparte. Le musiche quasi sempre erano mutuate da canzoni in voga o di origine popolare. Il cosiddetto repertorio di montagna era naturalmente a portata di mano, così come arie di ballate tradizionali o canzoni diffuse dalla radio, alle quali veniva affidato un testo ben diverso da quello “originale”.
Utilizzare arie già note facilita la coralità del canto e permette di giungere facilmente a esecuzioni condivise, elementi fondamentali per un’esecuzione corale soddisfacente soprattutto per gli esecutori.

Il costo di vite della guerra di liberazione è stato alto
Si è calcolato che i caduti in combattimento siano stati circa 44.700. Altri 21.200 rimasero mutilati o invalidi.
Alcide Cervi, contadino della provincia di Reggio Emilia, e la moglie dovettero subire la morte dei loro sette figli, fucilati nel poligono di tiro di Bologna.

La partecipazione alla lotta partigiana fu caratterizzata in Italia dall’impegno unitario di molti e talora opposti orientamenti politici: Partito Comunista Italiano, Partito d’Azione, Partito Socialista Italiano, Democrazia Cristiana, Partito Liberale Italiano, Partito Repubblicano Italiano, “Anarchia”.
In maggioranza queste forze politiche erano riunite nel Comitato di Liberazione Nazionale e avrebbero più tardi costituito insieme i primi governi del dopoguerra, assicurando al nostro paese una nuova forma di governo: la Repubblica e la Costituzione.
Il grande coinvolgimento nella Resistenza non poteva far dimenticare agli stessi militanti che ora lottavano sulle montagne che cosa era stato il fascismo e la monarchia che lo aveva portato al governo.
Tra i giovani piemontesi che si erano rifugiati sulle montagne c’erano anche delle persone di cui abbiamo successivamente sentito abbondantemente parlare: Nuto Revelli, Ivanoe Bellino, Nino Monaco, Alberto e Livio Bianco.
Un canto di libertà per ricordare le imprese della Resistenza
Durante una sosta sulle montagne di Cuneo, il 25 maggio del ‘44 decisero di “costruire” un canto che ricordasse le gloriose imprese del maresciallo Badoglio. Lo adagiarono sulla semplice melodia di un “lallero” d’ispirazione toscana e snocciolarono una biografia accurata, precisa e soprattutto graffiante dell’eroico generale.
E’ sorto così uno dei canti più noti ed eseguiti del nutrito repertorio resistenziale. L’ascoltiamo nell’interpretazione di Fausto Amodei e Michele L. Straniero. Vi consiglio di ascoltare anche quella di Margot per avere due interpretazioni belle e diverse. La trovate in internet.
C’è anche la Spagna
Un bellissimo canto della Resistenza Spagnola (in España a las flores) inizia con queste parole: in España las flores/che nacen en abril/ No nacen de alegria/ sí de dolores, sí….ecc….e hanno le loro buone ragioni per cantare così!
3 anni di guerra civile terminarono il 1° aprile del 1939. Ma incominciò la dittatura feroce di Francisco Franco (vedi un po’: un generale) che terminò trent’anni dopo con la sua morte.
Anche da noi la dittatura terminò in aprile, ma i fiori sono nati radiosi e allegri e da allora ci siamo accorti che “vuoi mettere i fiori che nascono in aprile!!…
Naturalmente auguriamo tutto il bene al popolo spagnolo e che in aprile i loro fiori tornino a portate gioia, allegria e libertà.
