Il Presidente Mattarella aveva fatto il punto, proprio per evitare qualsiasi speculazione sui fatti di Pisa. Era intervenuto, come garante della Costituzione e un po’ anche come un saggio padre degli italiani: i giovani non si correggono con i manganelli, l’autorità si impone con l’autorevolezza e non con la forza. Il dialogo può sempre evitare lo scontro, il peccato di eccesso. Bastava prenderne atto, interrogarsi sugli errori fatti, correggere con consapevolezza e andare avanti. Invece, si è persa una grande occasione per riflettere su un mondo complicato, quello delle forze dell’ordine. Si è scelta la strada peggiore, la politicizzazione che porta alla strumentalizzazione, che esaspera le tensioni e non risolve i problemi. Anzi, li cancrenizza e non cerca la cura. Si è sbagliato a destra come a sinistra, al governo come all’opposizione.
Il peccato di Pisa

Pisa è stato un errore, lo si è visto subito: una manifestazione pacifica affrontata nel modo peggiore, il personale collocato nella maniera sbagliata e nel posto sbagliato, le due entrate sotto la scuola sbarrate assurdamente, i colpi calati con forza, i ragazzi spinti faccia a terra come nei peggiori telefilm americani. Né ha aiutato l’assurda scusa di tutelare obiettivi sensibili, come la sinagoga, distanti qualche chilometro. E quella che la manifestazione non era autorizzata, si tratta infatti di manifestazioni che vanno semplicemente comunicate agli uffici competenti. Invece, si è insistito fino a dare un’immagine distorta della polizia italiana che è sempre stata molto meglio di quello che si è visto a Pisa. Si doveva riflettere sull’accaduto, assumersi le responsabilità, intervenire e correggere. Lo si è detto subito, ma non accadrà perché la politicizzazione porterà lontano, rinvierà, farà un favore a chi ha sbagliato. Si farà la solita propaganda che funziona bene perché siamo un Paese che ogni mese va alle urne per eleggere qualcuno.
Mattarella aveva cercato di evitare tutto questo, ma il dialogo non serve a chi cerca ogni volta l’alibi ai propri errori o alle proprie sconfitte, a chi sistematicamente indica un capro espiatorio sul quale scaricare colpe e sospetti.
Troppa pressione

Il problema, invece, è più semplice. Il clima all’interno delle forze dell’ordine non è il migliore, sono da tempo indietro nei contratti, non ottengono dai governi l’attenzione che viene sbandierata, c’è forte pressione nei confronti di chi sbaglia. Si nota una frattura verticale tra le categorie che non fa bene. Gente che da quarant’anni fa questo lavoro non ricorda un periodo più complicato di questo. Persino il trasferimento della funzionaria di Ps di Firenze è stato sbagliato nei tempi e nei modi: se il provvedimento era deciso da tempo, questo era il momento peggiore per attuarlo; è come se si fosse scaricata su una sola persona la responsabilità di tutti gli errori commessi. Tra l’altro si tratta di una funzionaria di grande esperienza che va in pensione tra pochi mesi.
Il peccato di eccesso colpisce anche chi è stato un buon prefetto

Forse il problema riguarda la selezione della classe dirigente, le regole per far carriera, l’attribuzione del merito. Più è difficile far carriera, più è oscuro il modo in cui si fa carriera. Fino ai vertici. Basta osservare le piroette del ministro dell’Interno Piantedosi in questi giorni, costretto a fare mille distinzioni, a dire e non dire. Non basta essere stato un buon prefetto, proiettato al ruolo di capo di gabinetto dell’allora ministro Salvini, per essere automaticamente un buon ministro, specie se si rischia di essere più realista del re. Con episodi simili si finisce per fare un’opera di delegittimazione e per di più insistendo sul fatto che le forze dell’ordine stanno a cuore. Si crea un senso di disaffezione e di abbandono che si avverte.
Attorno anche molto pressapochismo da parte del personale politico

Si parla di manifestazioni che devono per forza essere autorizzate anche quando non è necessario, si confonde nei dibattiti politici la squadra mobile, che è l’ufficio che fa le indagini, col reparto mobile, che è addetto all’ordine pubblico. Più che test psicoattitudinali al personale politico è consigliabile un serio ripasso di Costituzione, leggi e circolari varie.
Attenzione al peccato di eccesso nell’ordine pubblico

L’ordine pubblico è un settore di enorme difficoltà, quasi deve inventarsi ogni giorno quello che deve fare. La situazione è sempre più complessa, la tecnologia è spaventosa nel progresso, il clima sociale di non facile lettura. Le manifestazioni sono frequenti, hanno bisogno di mediazione, di confronto. Nella mia vita di cronista, di manifestazioni ne ho visto tantissime, quasi sempre lo scontro è stato evitato con il dialogo, con funzionari attenti a essere autorevoli e non autoritari, capaci di ascoltare e non soltanto di dare ordini. La gente che protesta non è necessariamente violenta, i sindacati si battono per i diritti dei lavoratori non per la rivoluzione, gli studenti per far sentire la loro voce non per rovesciare il mondo. C’è differenze, specie all’occhio esperto, tra uno studente medio a mani alzate e un black-block mascherato. C’è differenza, sempre all’occhio esperto, tra un disoccupato che protesta e un terrorista.
Sempre, sulla base della mia esperienza, posso dire che la polizia italiana è meglio delle altre viste in giro per il mondo. Nelle nostre strade la polizia e i carabinieri dimostrano la bellezza della democrazia e la sicurezza.
Ricordiamoci la lezione di Pasolini

Le forze dell’ordine non meritano di essere tirate per la divisa da destra o da sinistra. L’opposizione non deve solo fare polemica, ma parlare dell’universo della sicurezza, capire come funziona, dare voci ai lavoratori del settore. E chi governa non deve fare demagogia sulle forze dell’ordine ergendosi a paladino di chi difende la legge. A gridare troppo si rischia di sembrare più furbi che democratici. Non ha senso scomodare Pasolini e quello che scriveva quasi sessant’anni fa, Pasolini non è un supermarket nel quale ognuno prende quello che vuole. Lo scrittore sollecitava gli studenti a lasciarsi alle spalle la loro appartenenza borghese e ad avvicinarsi ai poliziotti-operai “figli di poveri”. Era un tempo diverso, i giovani non sono quelli di allora, nemmeno i poliziotti.
Mattarella invita a evitare il peccato di eccesso

L’intervento di Mattarella poteva essere l’occasione giusta per riflettere su un mondo complesso e necessario perché la democrazia è fatta di regole e di rispetto di queste regole. E ammettere di aver sbagliato è una delle regole da tutelare. Un’occasione perduta dai partiti, dai governanti e anche dalle stesse forze dell’ordine.
Forse sarebbe stato bene prestare attenzione ad un segnale, quando alla Scala agenti in divisa corsero a identificare un signore che dopo l’inno di Mameli aveva gridato “Viva l’Italia antifascista”. Chi diede quell’ordine sbagliò, non era stato commesso nessun reato. Ma chi avrebbe dovuto dirlo fece finta di niente.