Ciclismo, 20 anni senza Marco Pantani. Gli errori dei genitori e degli amici. Cosa avrebbe fatto se non si fosse levato la vita. Era un sabato notte, direi, di san Valentino, controllo per lavoro le notizie in Ansa. Quando leggi Pantani è morto resti di sale. Non credo di avere scritto per qualcuno, quella sera, ho preparato un pezzo chiuso per radio Bruno, ovvero un commento, un necrologio. Marco era il campione preferito da mia moglie, Silvia Gilioli che allora lavorava con contratto a termine a un’azienda di spedizioni, a Sesso, a meno di 10 chilometri da dove abitiamo. Aveva uno scooter, rosso Ferrari, fuoco. Una mattina scivolò sull’asfalto bagnato e si ruppe il ginocchio sinistro. L’operazione, il gesso, la fine del contratto a termine, anzichè la malattia pagata. Costretta a letto seguiva il ciclismo in tv e come milioni nel mondo si entusiasmava per il pirata. “Forza tani, forza tani, forza tani”, cantava simpaticamente.
Ecco che scatta Pantani

“Scatta Pantani”, strepitava Adriano de Zan, il re del ciclismo Rai, che ha insegnato la cultura, agli italiani, come avrebbe poi fatto con l’atletica e lo sci di fondo Franco Bragagna, studi a Padova, moglie pordenonese. “Com’è sfor, che bino sfor”. Che ragazzino sfortunato, diceva Silvia, Pantani. Lui, intanto, inanellava successi, trionfi, una fidanzata straniera. Era in famiglia con mamma Tonina, che all’epoca ho intervistato, con papà Fernando detto Paolo.
Il mio ricordo

Dopo il nostro insuccesso al concorso Rai, nel 2020, ero in Romagna per una tappa del Giro, c’era freddo, raccontai la piadineria con Manola, la sorella. La ricordo provata, purtroppo, dal dolore. Perdere un fratello così è tragico, quando poi è uno dei personaggi sportivi più puliti al mondo. Marco vinse tanto e cadde, si rialzò sino a Madonna di Campiglio 1999. Ematocrito appena oltre i limiti consentiti, probabilmente per una dna naturalmente così concentrato. Ricordo Candido Cannavò, direttore de La Gazzetta dello sport, organizzatrice del Giro, gli chiese di ammettere qualcosa che non aveva fatto, anzi. Si parlò perfino di un Marco vittima di mafia, di scommettitori. La realtà è che a 28 anni non trovò più la forza di maramaldeggiare, neanche in salita, con quel suo corpicino agilissimo.
Marco iniziò il tunnel della depressione, soprattutto cedette alla tentazione di drogarsi

Marco entra nel tunnel, come Maradona. Anni più tardi io mi sarei pure beccato una querela per diffamazione da uno dei suoi spacciatori. Naturalmente sono stato assolto. Gli spacciatori alla fine sono stati condannati, mi pare fossero quattro, in ogni caso quel giorno la notizia era completa e verificata. Guardavo Sky, mercoledì, appunto, sport24, lo tengo giorno e notte, da 15 anni almeno. Il gregario Marco Velo, l’ex capitano azzurro Davide Cassani spiegano che nell’inverno del 2004 il campione era perentorio, con gli ex compagni come con gli amici. “Se ho bisogno, mi faccio vivo io”. Mi domando: i compagni di squadra, gli ex, i tecnici, gli sponsor, i patron del ciclismo, i tecnici azzurri, i compagni di nazionale di Pantani come possono non avere capito che Marco rischiava di far del male a se stesso?
Si poteva salvare Pantani

Pantani, dunque, mi chiedo perchè mamma Tonina e papà Paolo non abbiano fermato Marco. Viveva da solo, in quel periodo era in hotel. Andava fatto ricoverare, il famoso tso. Continuo a citarmi, intervistai il professor Francesco Conconi per l’anniversario del record del mondo di Francesco Moser, e mi spiegò che Marco era come senza difese, trasparente, sensibilità allo stato puro. Mi chiedo, come sarebbe stata la vita di Marco se non avesse ingerito il cocktail letale di psicofarmaci e di droga? Temo ci avrebbe riprovato. Anzi, se l’allarme fosse partito in tempo, l’avrebbero salvato e tenuto in ospedale, controllato sino a quando non sarebbe stato meglio.
Marco Pantani era il ciclismo, cosa avrebbe fatto se fosse sopravvissuto?

Gianluca Pessotto, friulano di Latisana, 53 anni, passò dal Torino alla Juventus e fu titolare nel ciclo di Marcello Lippi, il primo. Disputò da titolare il mondiale del ’98, in Francia, con il giuliano Cesare Maldini ct, ed Euro 2000, in Belgio e Olanda, con Dino Zoff. Uscì dal campo nel 2006, a 36 anni, iniziava a fare il dirigente della Juventus, una mattina si gettò dall’abbaino della sede bianconera, forse per una crisi familiare. Si salvò e resta responsabile del settore giovanile.
Sono convinto che Pantani sarebbe rimasto nel ciclismo, come tecnico giovanile o come team manager, magari anche da direttore sportivo. Anni fa Alessandra de Stefano, corrispondente Rai da Parigi, salvò dal tentativo di suicidio, annunciato, un corridore. L’aveva conosciuto fra giri d’Italia e Tour, poi sarebbe diventata direttrice di Raisport.
Il mio occhio che cade sempre sul monumento a Pantani

Ogni volta che dall’Emilia passo alla Romagna, in autostrada, l’occhio va sul monumento a Marco Pantani, una grande biglia in vetro, di quando era in maglia Mercatone uno. Un giorno cercherò la tomba. In tanti hanno scritti libri, su Marco. I familiari ma soprattutto la fidanzata in quei giorni non avrebbero dovuto lasciarlo solo, bisognava fermarlo, ricoverarlo, i giornalisti non l’avrebbero saputo e Marco a 53 anni sarebbe ancora fra noi. Il Tour de France in partenza dalla Toscana, per la Romagna, l’Emilia e il Piemonte, ricorderà naturalmente Pantani. Le leggende non si dimenticano.