Fra i beni culturali che ogni cittadino italiano ha ereditato alla nascita, la nostra lingua nazionale, parlata e scritta, non gode della premurosa attenzione riservata per esempio al mondo dell’Arte. Forse perché non è un bene da contemplare ma di uso quotidiano? Ma è proprio l’uso che la logora e la espone a contaminazioni che la impoveriscono e direi l’abbruttiscono. I social, poi, ne fanno scempio. Italiano usa e getta…A volte, il degrado si nasconde nei particolari, come per esempio nel “bugiardino” di un integratore in bustine nel quale si suggerisce di “disperdere in acqua” il contenuto; scherzando, si potrebbe dire ai responsabili che non conoscono la … scioglievolezza delle polverine. Ma anche “sono caduti mediamente 0.5 mm di precipitazione” non è male. Mentre appare come frutto di un gergo intellettuale la frase: “il segreto repositorio della rimembranza”. E c’è, fresco di cronaca, il ciociolese che meriterebbe un pensiero a parte.

Mi consolo leggendo una breve meditazione di Andrea Zanzotto pubblicata da L’Unità nel lontano 1988 in cui il grande poeta e amico, intervistato da Luigi Amendola, così argomentava:
“La lingua [italiana] sta perdendo valore ovunque, anche in campo scientifico: non si può dire cosa sia esattamente software e hardware... La stessa lingua italiana ufficiale non è mai stata la lingua dell’uomo, ma del resto anche i dialetti stanno lentamente scomparendo.
“Io, ad esempio, penso certe cose in italiano: riflessioni, meditazioni, concetti. Un colore puro lo penso in italiano, ma il colore delle foglie lo penso in dialetto poiché è una cosa concreta, non è l’immagine astratta del colore. Generalizzando, potrei dire che l’irrazionalità e lo spirito sono la lingua italiana, ma la razionalità e la carne sono il dialetto”.
E, per chi ama le citazioni: “La superficie della lingua è un mare mosso dal vento: si increspa, ma poi le onde spariscono”. (Claudio Marazzini, accademico della Crusca).
Le guerre all’anima
La guerra, è stato detto, “deforma l’anima dei popoli, di chi la inizia e di chi la subisce”. Parola del professor Mario Giro dell’Università di Perugia, ma anche pensiero di tanti che, pur da lontano, soffrono moralmente gli esiti della bassa macelleria portata dai lupi russi, avanguardie dell’imperialismo di Putin, fra le popolazioni dell’Ucraina.

Viviamo in una fase storica in cui l’umanità “sempre più freddo ha il cuore”, come profeticamente lamentava padre David M. Turoldo, e ormai la parola guerra va declinata al plurale e il suo scenario è il vasto mondo. Dove le arpe bibliche (come si canta in Va’ pensiero…) non suonano più, imprigionate come anche le voci della pace.

Malinconica certezza; stiamo al centro di una terza guerra mondiale come l’ha definita, con dolore e realismo, il papa: questa guerra è diffusa a macchia di leopardo in tutto il pianeta dove sono attivi tanti – qualcuno ne ha contati cinquantanove – focolai di devastazioni materiali, morali, identitarie, che portano alla “deformazione dell’anima” di interi popoli.
Il tam tam domestico
Esiste una Rete poco appariscente, quasi intimidita dai colossi della comunicazione, eppure ci invischia tutti: è quel passaparola che si diffonde ogni giorno a partire dal confine della nostra casa. Pensiamoci: è quel modo di trasmetterci agli altri, sia di persona come facevano gli avi, sia maneggiando disinvoltamente le tecnologie che “fanno” già futuro.

Chiusi in noi stessi, cioè nelle bolle di relativa sicurezza del nostro isolamento (la pandemia ha rafforzato questa condizione), ci relazioniamo compulsivamente, come mai è avvenuto prima di oggi, e mai così intensamente.
Ogni mattina accade: dal silenzio del buio e dal deserto del sonno passiamo al brusio del risveglio, quando la città comincia a risuonare come un alveare. Siamo noi, è il nostro tam tam che comunica a cerchi concentrici sempre più larghi, di isola in isola, con richiami e risposte, un chiacchiericcio confidenziale, intenso e senza regole, che dura come la luce del giorno.

Dice il poeta: l’alba mette in moto le voci, accende quelle nostre e quelle di tutti dando vita a un concerto comunicativo, diffondendo una espressività che ci distingue come esseri umani. È così: siamo naturalmente comunicativi: le nostre voci non corrono più “sul filo”, ma non importa, è solo cambiato lo strumento. L’effetto è quello di liberarci dalla solitudine, di sciogliere grossi nodi notturni, di aprire finestre e varchi anche più larghi, ciascuno con un motivo, dai genitori ai figli lontani, dai nonni ai nipoti, dai vecchi soli agli studenti che preparano un esame, dalle vedove che chiamano le amiche di burraco, dal malato allettato e bisognoso di contatti rassicuranti, alle casalinghe in cerca di ricette, al turnista ecc. ecc. Voce polifonica di un mondo, rumore umano di fondo: l’affermazione della nostra Realtà.
Messaggi semplici, banali o necessari, che vanno con una voce sola, composta da migliaia di voci, più o meno di basso profilo o di bassa tensione emotiva. I messaggi più rari sono quelli delle persone che, attaccati al telefono, raccontano i propri sogni (sembra un titolo di Rodari…). Per condividerli con qualcuno, o per liberarsene.
Siamo nel vivo

(poesia)
Siamo nel vivo di una piaga
universale
con sangue e pianto.
Siamo nel buio d’un giorno
con cicatrici
dilavate dal tempo.
Siamo nel cuore d’una nube:
sa di pirite
e non porta pioggia.
Siamo in una bolla ingolfata
e mediocre,
nuovo canone di civiltà.
Siamo tutti figli di migratori
su strade
di polvere e di impronte.
Anonimo 2023