Barbara Pigazzi ritrae il riflesso dell’anima. Un dettaglio del cuore. Un volto che appare all’improvviso nel buio. Il bianco e nero dell’artista di Piove di Sacco è quello definitivo. Un’emozione che pervade la mente di chi viene catturato dal suo sguardo che sa vedere oltre l’apparenza delle cose. Pigazzi ha preso parte per la seconda volta al Mia (Milano Image Art Fair) di Milano. Per l’11° edizione della più importante fiera della fotografia nazionale e internazionale, ha portato un progetto indipendente “Animica”, curato da Angela Madesani, docente di Storia della fotografia allo Ied (Istituto Europeo di Design) di Milano e storica dell’arte con collaborazioni con l’Accademia di Brera. Incontrare Barbara Pigazzi significa entrare nel suo mondo, silenzioso, pervaso da una spiritualità assolutamente personale e discreta.
Pigazzi e l’anima

“Ho esposto a Milano un progetto indipendente – racconta l’artista – senza rappresentanza da parte di gallerie d’arte. Questo progetto è stato approvato dal comitato scientifico Mia Foto fair, selezionato e scelto per la sezione Progetti speciali. A Milano ho portato appunto ‘Animica’ significa sentire profondo, parte dell’anima, in cui l’anima è in connessione con l’universo e con noi stessi e l’arte ci aiuta a manifestare questa percezione. Un’anima in cui si possono identificare le persone che guardano le mie opere”.
E’ un lavoro sull’umano e sulla natura?
“Sì, certo la protagonista è la Laguna veneta, un luogo dell’anima per me, che ha un significato ancestrale e magico. A Milano ho portato 16 fotografie in bianco e nero che ritraggono l’interazione dell’umano con questo spazio quasi primordiale”.
L’introspezione, il silenzio, la luce sembrano essere il linguaggio di questo percorso

“Lo sono a tutti gli effetti. Le immagini raccolgono il rapporto personale con la natura. Ho anche presentato un portfolio di sette immagini stampate su fine art che possono avere uno sbocco internazionale per la fotografia d’autore. Del resto, le cose si muovono in una direzione che spesso noi non riusciamo a controllare”.
La sensibilità di Barbara Pigazzi è talmente sottile che rasenta la medianità. Le sue immagini destano aspetti lontani e metafisici che richiamano a un simbolismo esoterico

“Quello che è accaduto nel mio stand al Mia è davvero incredibile, ma evidenzia ancora una volta che il percorso che ho intrapreso è quello giusto. Una domenica nel mio stand è entrato un raggio di sole che ha illuminato la ‘Divina caligine’ un’opera che per me ha un significato mistico. Mi è stato detto che la luce serve solo per creare l’ombra, e quel dono che mi è giunto chissà da dove in quel momento era illuminato da un sole fulgido che attraeva le persone, le portava in quella Laguna da cui tutto era nato”.
Una coincidenza o come direbbe Jung una sincronicità

“Non saprei. Questa luce ha permesso alle persone che visitavano la mostra di sentire quanto fosse profondo il mio amore per l’arte, e quanto loro diventassero parte di quella Laguna che io avevo immortalato nei mie scatti. Hanno potuto misurare, con l’emozione, quanto fossi legata a quei luoghi in cui sono cresciuta. La Laguna veneta è un luogo meditativo, spirituale che ti costringe alla pazienza, a vivere la vita secondo ritmi naturali, quelli delle maree. E’ accogliente e gentile, di una gentilezza amorevole che cura le ferite”.
Sei ore sale, sei ore cala, questo è il segreto

“Un segreto che porta all’ascolto. La mia è una fotografia che aiuta a riflettere perché ti mette di fronte all’insondabile, alla natura. A Milano ho portato il mio pensiero, le mie emozioni e sono diventata la fotografa della Laguna, mi riconoscono per questo e a me sta bene. Sono immagini che vengono direttamente dalla mia anima e io l’ho messa a nudo”.
I simboli, il bianco e nero perfetto e rarefatto, la cura nella stampa rivelano il grande lavoro concettuale e fisico che esiste dietro gli scatti di Barbara Pigazzi

“C’è chi è andato anche oltre. Una signora brasiliana ha riconosciuto in una mia fotografia in cui sul pontile della Laguna avevo posto dei crisantemi bianchi, un rituale brasiliano della dea del mare. Inconsapevolmente le cose affiorano perché sono nel nostro immaginario, nella parte più celata che si rivela a noi stessi. Quei fiori bianchi brillano di una luce particolare. Un’altra foto in cui la Laguna appare tutta nera, al buio, suggeriva invece una visione diversa per ogni persona. Rimanevano con gli occhi sbarrati come se si trovassero dentro la Laguna come se avessi offerto loro un’esperienza d’ascolto attraverso la fotografia”.
Niente di più facile, l’anima è uguale per tutti ma diversa per ognuno. Il prossimo progetto di Barbara Pigazzi riguarderà i sensi, tutti i sensi e ancora una volta riuscirà a stupirci.