Gentile Direttore, vogliamo raccontare la nostra esperienza di figli di un anziano morto di Covid in un ospedale del Veneto. Dicono che dobbiamo elaborare la sofferenza per la perdita del nostro caro papà. Ma è molto difficile: tanti sono i dubbi, e ad essi desideriamo dare voce. Polmonite interstiziale allo stadio iniziale, parametri buoni, come affermato dalla dottoressa che l’ha visitato al Pronto Soccorso e come riscontrabile negli esami clinici riportati nella cartella, mancanza di febbre, lieve tosse, ma bisogno di tanto ossigeno: questa la diagnosi che ci convinse che il ricovero fosse opportuno. Il nostro congiunto “non era in fin di vita” e “di polmonite si guarisce”, ci rincuorò la dottoressa. Fiduciosi l’abbiamo quindi “affidato” all’ospedale. Nostro padre era sì un grande anziano, ma aveva ancora una straordinaria vitalità, fino a pochi giorni prima del contagio. Eravamo dunque pieni di speranza. Speranza infranta il giorno dopo il ricovero. Non si può morire così.
Morire senza una carezza

Eravamo in piena pandemia, il Veneto contava un numero molto alto di contagi e di decessi e non potevamo quindi pensare che, a causa delle festività, in quella drammatica situazione epidemiologica, ci fosse un problema di personale ridotto all’osso. Se è vero che eravamo (e siamo) in guerra non si lascia il fronte sguarnito. E invece questo è successo: toni sgarbati al telefono, l’appello alla privacy da parte del personale sanitario per giustificare il fatto di non poter dare informazioni (a noi figli!!), a cui è seguita la nostra vibrante protesta con il Primario del reparto e la telefonata, peraltro rassicurante dal punto di vista clinico, di un medico, la mattina del giorno dopo, 26 dicembre. Eppure in interviste che abbiamo visto e in articoli che abbiamo letto i medici di questi reparti affermano con convinzione che la comunicazione con i parenti è per loro di primaria importanza e altrettanto importante è mantenere un contatto tra paziente e familiari….
Mancanza di personale

Nonostante la telefonata rassicurante del 26.12 con un dottore (la visita, tuttavia, non risulta nel diario medico all’interno della cartella clinica) la preoccupazione rimaneva tutta: il nostro congiunto, vigile, ma aggressivo, agitato e confuso, tendeva a togliersi la maschera, il suo salvavita. Come potevamo non telefonare un’altra volta, nel corso di quella giornata, per sapere come stava, per chiedere di parlargli in video-chiamata? No, la video-chiamata in quei giorni non era possibile e ci venne detto in due distinte telefonate che non c’erano medici (era sabato, i medici li avremmo trovati 2 giorni dopo, lunedì 28) e che era inutile che chiamassimo. Questa risposta ci allarmò perché ci chiedemmo come papà si sarebbe potuto salvare se fosse rimasto senza ossigeno a lungo. E, sgomenti, quella sensazione abbiamo avuto quando siamo riusciti a telefonargli il 27.12, domenica.
L’ospedale era off limits. Regole ferree ed irremovibili. Eppure uno di noi era negativo al Covid e bardandosi come i medici e gli infermieri avrebbe potuto rimettere la mascherina a papà ogni volta che se la toglieva, assistendolo e rincuorandolo. Che cosa mai può legittimare la privazione di questo diritto fondamentale, del paziente e dei suoi cari, nel rispetto delle regole di sicurezza?
La cartella clinica

La cartella clinica riporta ripetutamente che papà, i primi quattro giorni, era “vigile ed aggressivo”, oltre che “confuso”. Così è stato fino a quando è stato trasferito, “grave e DISIDRATO” in un altro reparto dello stesso ospedale, perché, come ci venne detto, aveva bisogno di flussi di ossigeno più potenti. In un incontro successivo al decesso abbiamo chiesto al primario del pronto soccorso perché papà fosse stato collocato in un reparto in cui gli alti flussi non c’erano, visto che quello era stato il motivo del ricovero. Come si poteva sperare che si salvasse con una mascherina fastidiosa e facile da togliere in giorni in cui, a causa delle festività natalizie, il personale era estremamente ridotto? Solo il 29.12, dopo 5 giorni, quando, ahimè, non era più cosciente (nella cartella leggiamo che gli era stata somministrata della morfina), siamo riusciti a vederlo in video chiamata….Per quanto attiene alla cartella clinica ci sono diverse parti lacunose. Si parla di un sedativo “non meglio specificato”; ci sono 4 giorni consecutivi nei quali nel diario medico non risulta alcuna annotazione. Tornando allo stato di non coscienza in cui versava nostro padre, dopo essere stato agitato, confuso, finanche aggressivo, fino al giorno prima, restano molti dubbi, che ci attanagliano, e che si accompagnano allo strazio di saperlo solo, prima, quando era vigile, e poi, nel momento del trapasso. Più i giorni passano più ci chiediamo se sia etico e giusto quello che abbiamo vissuto, che rende molta ardua l’elaborazione del lutto. Noi pensiamo che non lo sia. Il pensiero che la morte del nostro congiunto sia legata alla nostra impossibilità ad essere lì, vigili, attraversa sovente la nostra mente. Convinti di non essere i soli a nutrire questi dolorosi dubbi, ringraziamo per l‘attenzione.
LETTERA FIRMATA
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Esiste un diritto alla verità che non può essere in nessuna maniera eluso. I parenti del paziente devono conoscere la verità. Si possono capire le difficoltà, il clima di particolare tensione nel momento di maggiore diffusione della pandemia; si può anche capire il nervosismo di persone costrette a turni stressanti. Ma tutto questo non può impedire il rispetto per il paziente e per la sua famiglia. Non è un problema di età del paziente, anche se qualcuno in quei giorni ha fatto una certa confusione, quasi che morire fosse un dovere generazionale. L’assistenza al malato non può conoscere limiti di età, la vita non ha meno valore solo perché si è andati in pensione.
Morire senza spiegazioni

Questa famiglia ha scritto alla Regione e ai direttori delle Ausl competenti e non ha avuto risposta. Ha cercato di capire e ha raccolto la documentazione necessaria. Non vuole inchieste o indagini, vuole semplicemente che venga riconosciuto il diritto alla verità. Da poco un primario di rianimazione, di quelli in prima linea nella lotta alla pandemia, ha raccontato di aver purtroppo visto tanti morire, ma di non essere riuscito a cancellare dalla sua mente il dolore di andarsene senza nemmeno la carezza di una mano amica, il ricordo di un volto amato. E’ stato, ha detto, quasi come morire due volte. C’è dell’abnorme in questo morire forzatamente da soli; c’è quasi la disperazione nell’arrendersi alla pandemia, la paura di non farcela. C’è la negazione della più umana delle pietà. E’ questo che i nostri lettori vogliono farci capire, il non aver potuto vedere il loro caro per l’ultima volta, il non averlo potuto salutare.
In silenzio

Tra le immagini più drammatiche di questo anno passato c’è quella dei camion militari che di notte portano via da Bergamo decine e decine di bare di persone morte di Covid in assoluta solitudine, senza aver potuto salutare una moglie o un padre o un figlio. Era come precipitare in una notte senza fine senza sapere se mai ci potesse essere una luce del giorno. I vaccini hanno cambiato molte cose, hanno segnato l’inizio dell’alba. Anche se la pandemia non è finita, sono certo che ce la faremo. Ma prima si dovrà applicare appieno il diritto alla verità. Non possono esserci alibi nemmeno nel caos, nella paura. La famiglia di questo anziano paziente deve sapere per risolvere le sue angosce, per dare risposte alle sue domande. Per avere fiducia nel domani. Per elaborare la sofferenza nella più umana delle maniere. Rispetto per chi è morto è anche rispettare le regole, usare tutti i mezzi a disposizione, mettere al riparo se stessi e gli altri.
mariella.puppi@gmail.com
Leggere questa lettera fa venire i brividi e grande commozione anche a distanza di parecchio tempo, penso che chi ha perso un familiare in questo frangente abbia diritti ad ottenere risposte chiare.
Purtroppo mi sembra di ripercorrere la stessa storia di mio padre…”paziente, confuso, agitato e confuso trattato con morfina “,morto in due giorni in assoluta solitudine …
Storia che si è ripetuta solo venti giorni dopo con mia madre, abbandonata e arresa alla propria disperazione…non già morta di covid o per covid, perché ormai negativa al virus, ma di crepacuore perché in una domenica di novembre, in piena emergenza, in reparto non vi era un medico e gli infermieri non hanno avuto un minimo di pietas verso una donna che stremata chiedeva di vedere una persona cara…
Dalle 14 alle 22 queste persone non hanno ritenuto opportuno chiamare un medico nonostante le urla disperate della paziente ormai in preda al delirio…
È inutile evidenziare l’epilogo…mia madre muore(forse se non subito ma non lo sapremo mai) la mattina seguente alle 6, come un numero Covid, nell’indifferenza di un reparto di Medicina generale di un ospedale tra medici ed infermieri eroi…
Per loro un numero in più da aggiungere ad una già lunga lista…per noi la morte nel cuore…
Angeli falsi. Sono diavoli .
IO NE so qualcosa.
Sono duri e senza empatia
Uno su cento è buono. E sono cattive soprattutto le donne. Devono pagarla per quello che hanno fatto ai nostri cari.
NON POSSO DIRE MOLTO
IL DOLORE È TROPPO FORTE E NON MI FA RESPIRARE, COME NON HANNO FATTO RESPIRARE LA MIA MAMMA.
DUE MESI SEMPRE VIGILE E COLLABORATIVA E POI….. BUIO NON SO ANCORA PERCHÉ SIA MORTA E IN CHE MODO
SANITARI AL TELEFONO, SCONTROSI E SENZA EMPATIA
SANITARI CHE CON ASSOLUTA MANCANZA DI TATTO MI HANNO COMUNICATO LA SUA MORTE E IL SUO IMMINENTE TRASFERIMENTO IN OBITORIO ( IN SACCO NERO)
VOGLIO SORVOLARE PER NON STARE MALE ADESSO
VIVO QUOTIDIANAMENTE NELLA DISPERAZIONE A 5 MESI DALLA SUA MORTE. E 2 MESI DI ANGUSTIA E FORTI STATI DI AGITAZIONE DURANTE IL SUO E NOSTRO DRAMMA, DURANTE IL RICOVERO .
IO VORREI TANTO ESPORRE UNA COSA CHE RITENGO SIA DA CHIEDERE COME GRAVE OMISSIONE DELLA SANITÀ E GESTIONE DELLA MORTE DEU NOSTRI CARI, LA MANCATA POSSIBILITÀ, DI AVERE LA PROVA DELLA MORTE DEL NOSTRO CARO CON UN RICONOSCIMENTO FACCIALE. LO FANNO IN AMBITO MEDICO LEGALE QUANDO LA SALMA NON PUÒ ESSERE RIDATA NELLE MANI DEI PROPRI FAMILIARI!
NOI NN SAPPIAMO CHI ERA IN QUELLA BARA.
MA PRIMA DI QUESTO, ALTRA GRAVE OMISSIONE : CHIUDERE ENTRO UNA SOLA ORA DAL DECESSO, LA PERSONA IN UN SACCO CHIUSO. ANCHE PER I DECESSI IN PEROODO COVID, NON CREDO AFFATTO, E CREDO SI DEBBA ANDARE A FONDO SULLA REGOLA DELLE 24 ORE DURANTE LE QUALI, QUALSIASI MORTO, E SOPRATTUTTO CHI NON POTEVA NEANCHE AVERE ACCANTO UN PROPRIO CARO, DICEVO LE 24 ORE CHE SPETTANO ALLA PERSONA MORTA DI RIMANERE APERTA…. SENTITO MAI PARLARE DI MORTE APPARENTE?
E SE MIA MAMMA, NON ERA MORTA? L’HANNO SOFFOCATA? DOBBIAMO FARE EMERGERE QUESTE COSE ORRENDE CHE , PUR DI TOGLIERSI DI TORNO IL MORTO DI TURNO, HANNO FATTO.
SCUSATE MA STO MALE
Sono mesi che vivo nella disperazione piu assoluta. La mia vita è diventata un vero incubo
La tristezza di non aver più rivisto ne sentito mio marito.è uscito di casa con le sue gambe…e dopo 20 giorni senza mai averlo potuto ne vedere ne sentire mi è ritornato a casa in una cassa avvolto in un sacco nero spoglio di ogni dignita umana