Nell’eterna sfida su chi sia stato il più grande calciatore di sempre tra Pelè e Maradona lui è il terzo incomodo, quello che, per molti critici, è stato addirittura superiore alla Perla Nera ed al Pibe de Oro. Parliamo di Alfredo Di Stefano, il giocatore più completo della storia: il miglior regista quando doveva inventare, il migliore attaccante quando doveva segnare, il migliore agente di se stesso quando doveva discutere l’ingaggio con i suoi dirigenti. Di Stefano è stato il primo calciatore che ha capito che i campioni dovevano monetizzare le loro qualità. A lui, tutti i grandissimi venuti dopo, dovrebbero erigere un monumento per i cambiamenti che ha imposto nel calcio in tutti i settori, dal campo alla scrivania. Ma la “Saeta Rubia” (freccia bionda), come era soprannominato da calciatore, è stato anche un grande allenatore. Ed è sotto questa veste, di grande tecnico e super esperto di calcio, che abbiamo chiesto d’incontrarlo per arricchire la collezione delle interviste impossibili lanciata da http://www.enordest.it. Con un suo sogno. Portare Mancini al “suo” Real.
Di Stefano non solo ha la doppia cittadinanza ma anche un cuore diviso a metà tra l’Argentina, la sua patria, e la Spagna, la terra che l’ha adottato ed eletto re. Per questo, nella nostra chiacchierata, non parleremo solo dell’Europeo appena concluso ma anche della Coppa America, giocata in concomitanza con il trofeo del vecchio continente.
Don Alfredo, contento della vittoria dell’Argentina o deluso dalla Spagna senza Real?

“Felicissimo della mia Argentina e felicissimo per Messi, uno dei più grandi di sempre. L’accusano sempre di non aver mai vinto nulla con la nazionale. Allora a me che dovrebbero dire? Messi ha un talento unico. Vincere poi al Maracanà in casa del Brasile ha un valore doppio.”
E la Spagna? Per la prima volta senza giocatori del Real
“La Spagna non mi ha deluso. Luis Enrique ha rifondato la squadra, che era molto ringiovanita, forse troppo.”
La sua è una critica
“Certo, non mi nascondo. La squadra era troppo barcellonizzata anche nel gioco. Poi a uno come Sergio Ramos non si può rinunciare. Andava portato anche solo per fare spogliatoio. Ed anche altri due madridisti come Nacho e Carvajal erano meglio di alcuni convocati. Poi siamo arrivati in semifinale e va bene così, ma il calcio senza punte non lo concepisco.”
E dell’Italia di Mancini non parla?

“L’Italia è nel mio cuore. Avete meritato la vittoria con un gioco spettacolare e organizzato. Molto bravo Roberto Mancini. Fossi ancora a Madrid farei di tutto per portarlo sulla panchina del Real. Ha tutto per lavorare con le merengues: classe, eleganza, intelligenza, preparazione ed è stato un campeon. Al Real devono lavorare solo i campeones.”
Cosa non l’è piaciuto di questo Europeo?
“L’Inghilterra. Togliersi le medaglie durante la premiazione è un atto antisportivo che andrebbe duramente sanzionato. Loro parlano tanto di fair play ma non lo rispettano mai.”
Quali giocatori l’hanno più impressionata. O meglio quali sarebbero degni di giocare nel suo Real?

“A voi, oltre a Mancini, ruberei tutto il centrocampo: Jorginho, Verratti e Barella. Poi mi fanno impazzire Chiesa e Spinazzola. Anche il portiere è bravo ma abbiamo già Courtois.”
Oggi un giocatore come lei come sarebbe utilizzato? Nel Real o dove?
“Un grande giocatore e allenatore quasi italiano, perché era per metà svedese e per l’altra del vostro Paese, diceva che i campioni, sul campo, lo spazio lo trovano da soli.”
Parla di Nils Liedholm?
“Certo, un grande. Stavo per portarlo al Real quando allenava la Roma.”
Quindi lei, oggi, come si collocherebbe in campo?

“Guardi che il calcio evolve ma non cambia. Comanda sempre chi ha la pelota e chi butta in porta la pelota. Il segreto è avere chi sa usare la pelota e chi la butta dentro. Basta. Detto questo mi fanno ridere quelli che parlano di box to box, anch’io, diversi decenni fa, ero un giocatore con queste caratteristiche, solo che segnavo come un centravanti. Come me, con le mie caratteristiche, c’era solo il vostro Valentino Mazzola.”
Delle altre nazionali chi ha ammirato?
“Damsgard e Dolberg della Danimarca. Il secondo aveva già firmato per il Real poi si è un po’ smarrito. Kean dell’Inghilterra, un altro che poteva venire da noi. Per non parlare di Mpappé. Ha deluso agli Europei ma è un campionissimo.”
Ci dica la verità: ma lei era più forte di Pelé e Maradona?
“A Diego, al quale volevo bene come un figlio, dissi che era il più forte e rimango convinto delle mie parole. Diciamo che avremo potuto giocare tutti e tre insieme.”
Sarebbe stato un Real un po’ sbilanciato

“Noto che non ha studiato. Da ragazzo giocavo nella squadra più offensiva di sempre: il River Plate di Renato Cesarini (quello della zona omonima). Cesarini creò il sistema più offensivo di sempre: la maquina del River composta da 5 attaccanti. Io, Pedernera, Munoz, Labruna e Loustau. Giocavamo con il 3-2-5.”
Era meglio del tiki-taka?
“Ragazzo, non mi faccia arrabbiare.”