E’ bastato poco perché il calcio ci facesse ritrovare la strada della quasi normalità. Gli spettatori negli stadi sono ancora limitati, ma questi Europei almeno la voglia di stare insieme in piazza o in casa ce l’hanno fatta sentire. E’ vero l’Italia calcistica è tra le poche cose che funzionano da collante sociale, che servono da rivalsa e da riscatto, che ci fanno dimenticare i problemi. La Nazionale è un collante genuino, supera le ideologie, non divide con steccati. Salva tutti, anche la Rai alla quale regala record di ascolti da sogno.

Il calcio come sogno
E un sogno è questa nazionale di Mancini che marcia spedita verso la qualificazione, a punteggio pieno e senza subire gol. Oggi fa la controprova col Galles, il ct mescola un po’ le carte, prova chi non ha ancora giocato, fa rifiatare chi ha speso tanto. C’è anche da tenere conto del caldo che è arrivato violento. Da domani tutto da rifare, intanto si conosceranno gli avversari futuri e poi si potrà fare un discorso più serio.
Aspettando la squadra perfetta. O quasi
Questo avvio è stato per qualche squadra lento, per qualche altra drammatico, ha portato i segni di un campionato ovunque strano per la pandemia. Non si sono viste finora grandi squadre. L’Italia ha mostrato qualcosa di più, ricambi giusti, la “regola del tre”, tre gol a partite, una difesa che non prende reti. Si è vista una Francia meno bella di quanto ci si aspettasse, un Belgio che può sorprendere, un’Olanda che rischia molto e una Germania a momenti alterni. Un Portogallo dipendente da Ronaldo. Poca Spagna, pochissima Inghilterra e nessuna sorpresa. Forse l’Ucraina.

Eriksen crede ancora che ci sia il calcio nel suo futuro
La buona notizia è che Eriksen è tornato a casa. Quando e se potrà tornare a giocare è difficile dirlo. Certo il suo malore in campo è stato un trauma per tutto il calcio, ha mostrato i limiti degli eroi, ha rischiato di trasformare questi Europei in una tragedia che forse avrebbe finito per seppellire la stessa edizione. Il danese ce l’ha fatta, i soccorsi sono stati tempestivi, forse sarebbe stato meglio rinviare la partita e non giocarla un paio di ore dopo. Non sempre lo spettacolo deve continuare.

Italia: il calcio miracolo?
Sono Europei sotto tanti aspetti strani, perché disseminati in mezza Europa, perché annullano il fattore campo, iniziano da una parte e finiscono dall’altra senza che ci sia un senso vero. Si sono aperti all’Olimpico di Roma, si concluderanno a Londra. Dovevano essere gli Europei dell’Italia, potranno diventarlo se l’Italia dovesse riuscire ad arrivare alla finale; da quanto finora si è visto non si tratta di un traguardo impossibile.
E’ il titolo che in 60 anni gli azzurri hanno vinto una sola volta e poi hanno sfiorato con poca fortuna. Gli italiani che hanno buona memoria del calcio ricordano il gol di Riva che sigillò in una notte di giugno 1968 all’Olimpico il titolo europeo italiano.
Toldo paratutto
Tanti ricordano quelle parate di Toldo che prese tutti i rigori in una notte di fine giugno del 2000 e un titolo perso immeritatamente solo perché a qualcuno venne in mente di applicare il “golden gol” che ballò una sola stagione e poi fu giustamente eliminato. E c’è chi rammenta i gol all’Inghilterra di Balotelli allora davvero “SuperMario”. E’ la passione per il calcio che ci fa cucire i pezzi della memoria e colorarli d’azzurro.
Nel calcio non vince sempre il migliore
Certo ci vuole fortuna anche nel pallone che è uno sport imperfetto, non è vero che vince sempre il più forte o il migliore. L’Italia campione del ’68 lo divenne anche perché la favorita Russia fu battuta con una monetina, testa o croce: la lanciò in aria un arbitro svizzero, erano 5 franchi svizzeri datati 1932. Il sorteggio si svolse negli spogliatori del San Paolo di Napoli e forse San Gennaro non si girò dall’altra parte. In finale con la monetina e titolo a rate: la prima partita con la Jugoslavia finì in parità e allora non c’erano tempi supplementari e calci di rigore.
Non c’erano nemmeno le sostituzioni. L’Italia nel bis fu più grande, prima Anastasi poi Riva. Basta leggere la formazione per capire che era una fortissima nazionale. Era il riscatto, appena due anni prima gli azzurri erano stati cacciati dai mondiali inglesi all’urlo di “Corea Corea”. Due anni dopo sarebbero stati i vicecampioni del mondo dopo aver giocato quasi alla vigilia la “partita del secolo”, il famoso Italia-Germania 4-3.

Il tempo è inclemente, non fa sconti
Il dio del calcio si è portato via negli ultimi mesi Maradona, Paolo Rossi, Burgnich e due giorni fa Boniperti. Ognuno di loro ha fatto la differenza quando giocava, ha rappresentato un’epoca del pallone e un modo di giocare. Ma tutti si sono distinti per la capacità di avere stampato sul viso il sorriso del grande calciatore, un sorriso che poteva essere malinconico, romantico, sfrontato, soddisfatto. Ma erano tutti consapevoli che il calcio era e rimaneva il gioco più bello del mondo.

Borges che capii il calcio
Un gioco che come diceva Borges ricomincia ogni mattina in ogni angolo del mondo: “Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per strada lì ricomincia la storia del calcio”. Fin quando ci saranno un bambino e un barattolo o una palla di carta o di stracci ci sarà da sognare.
E il sogno pulito è la sola cosa che ci occorre oggi dopo la lunga quarantena, dopo un dramma che ci ha coinvolto tutti, dopo che per tanti mesi la paura ha dominato anche i sogni.