Sulla giostra del Tempo
Il virus come “padrone del tempo”? E’ stato detto… Sono pesanti questi giorni che divorano la notte e l’indomani si aprono ancora affamati e di nuovo inghiottono una notte, e via così, mentre passa la vita senza il nostro controllo. Siamo spettatori della Giostra del Tempo, come le stagioni insegnano. Già! Con il virus addosso, anche il tempo privato è diventato pubblico e sfuggente, il passato galleggia nella corrente del grande fiume insieme ad altri rifiuti.
In questi giorni, ci vengono in mente pensieri che sanno di vecchia filosofia. Per esempio, parliamo (poco) e pensiamo (tanto) alla morte quando sono in realtà, fisicamente, i morti che contano, e i loro nomi scandiscono come colpi di gong una lunga, troppo lunga marcia funebre, occulta colonna sonora dei nostri incubi. Fuori, nei campi soleggiati del mattino, il cuculo invisibile intona il suo verso monotono e oscuro.
Proviamo a dire felicità

Si sente affiorare una parola che stride con il contesto: felicità. Non è mormorata ma spinta in alto, per esempio dalla narrazione televisiva, fino a diventare diritto alla felicità, diritto ovviamente negato dal male imperante. Ma lei, questa felicità invocata, dove sta veramente? Ascoltando la città che mormora, si scopre che per tanti concittadini è l’aperitivo al bar o la colazione col cappuccino ogni mattina: cose così, ritualità pura venuta a mancare, vuoto psicologico e sociale. Per altri, sembra un prodotto commerciale in promozione al supermercato: qualcosa che sta fuori da noi. Un terzo la butta in filosofia (Carlo Ossola) quando fa riferimento alle “frontiere dell’io” ovvero allo spazio intimo coltivato come un giardino privato nel quale è possibile gioire senza turbare l’angoscia del dirimpettaio in lutto.

Il vuoto del cuore
Lamento di una madre, registrato in piazza, davanti all’edicola: “Ma che cos’hanno al posto del cuore?” Quel giorno aveva letto i titoli brucianti dei quotidiani. Quella parola, cuore, rimanda al virus che, per mano umana, uccide anche i sentimenti, come per esempio l’appartenenza che dovrebbe coinvolgere il singolo nelle vicende di tutti, “con sentimento” appunto. Invece viviamo troppo lontano dalle tante periferie esistenziali, ai confini della fratellanza. A proposito: emergono dopo settant’anni i ricordi della grande alluvione del Polesine (novembre 1951) quando la Rai aprì i suoi microfoni ad una catena di collegamenti fra la provincia allagata e il mondo. Era una porta aperta tutti i giorni alle voci della solidarietà, ma il suo nome fu Catena della Fraternità.
Voce di primavera

Schiocca nel mattino
una risata
infantile
e vola per la piazza
svuotata dal virus.
Un’eco indolente
replica quella voce
innocente.