Filippo Olivetti, responsabile delle infrastrutture per la Confindustria. Persona con competenza e soprattutto sa di cosa si sta parlando quando si tratta di grandi navi in bacino. Cosa che forse pochi sanno, Olivetti è il vettore che ha organizzato il viaggio della River Countess, il famoso battello speronato dalla nave da crociera della Msc. Olivetti, professionista che viene da una famiglia di imprenditori di razza, la Bassani Spa, società di cui lui è amministratore delegato, che nasce nel 1930. Filippo Olivetti è un esperto per quanto riguarda Venezia. Olivetti adesso si occupa di viaggi in tutta Italia e nel Mondo. Ma indubbiamente gli affari sulla città rimangono notevoli e per questo – dichiara in esclusiva a http://www.enordest.it – sarebbe un vero peccato se si buttassero via le grandi navi.
Olivetti, Venezia e le Grandi Navi?

“Il tema Venezia e le grandi navi è senza ombra di dubbio il tema più dibattuto della nostra città negli ultimi 10 anni. Uno dei segmenti turistici più importanti per il nostro territorio, quello delle crociere, vive una situazione di stallo che sembra non trovare risoluzione, nonostante le soluzioni ci siano. Da quella fatidica notte del 13 Gennaio del 2012, in cui la Costa Concordia affondò davanti all’isola del Giglio per colpa di un folle errore umano, ha inizio il periodo più tormentato della storia della portualità veneziana. Una città, Venezia, che da sempre ha basato la sua fortuna e la sua ricchezza sul porto, sulle navi e sui traffici marittimi.
Eppure, i cittadini sembrano non accorgersi che il porto sta pian piano svuotandosi e soprattutto che Venezia è porto e senza porto la città muore. È questo che purtroppo in tanti, troppi, ancora non hanno capito. E non è solo per via dei 20 e passa mila lavoratori diretti che andrebbero persi ma è l’intero tessuto economico del territorio che non potrebbe più sostenersi senza un porto commerciale che funziona a servizio del sistema produttivo del nordest. Senza quello crocieristico che porta in città una fetta consistente di turisti a valore aggiunto, quelli che in pratica lasciano una ricaduta economica importante su tutto il territorio coinvolgendo una filiera di servizi infinita”.
Olivetti, ma è solo un fatto di navi da crociera?
“Sbagliano anche tutti coloro che imputano la crisi del porto ai movimenti ambientalisti, ai centri sociali, ai club delle “contesse” con il palazzo in Canal Grande e più in generale a quella minoranza rumorosa che è riuscita in questi anni a creare un movimento “No Grandi Navi” abilissimo nel portare il problema sul piano internazionale. In realtà sono tante altre le corresponsabilità di questa deriva. A cominciare da una comunità portuale, la nostra, che paga il prezzo di una classe imprenditoriale mediocre che non ha saputo fare squadra. Ma ha preferito farsi una guerra fratricida, al ruolo della politica regionale che ha dimostrato il totale disinteresse per le vicissitudini del porto. E per finire a quello che è forse il motivo principale del fallimento del “sistema porto”. Cioè quello di non essere riusciti a convergere come “comunità portuale” su una soluzione condivisa da tutti”.
Olivetti, Lei viene da una famiglia di imprenditori, la Bassani Spa, che nasce nel 1930

“Bassani è parte della nostra famiglia da tre generazioni. Nel corso degli anni è riuscita ad evolversi nei suoi principali business di riferimento, il turismo e lo shipping, diversificandosi nella varie attività. Da quelle nei servizi come operatore incoming e agenzia di viaggi, di agenzia marittima e spedizionieri, a quelle nel settore armatoriale e nella gestione dei terminal crocieristici, attività da cui siamo definitivamente usciti nel 2016 cedendo le proprie quote dei terminal di Venezia, Ravenna, Catania, Cagliari e Brindisi alla società turca Global Ports Holding, leader mondiale nella gestione di infrastrutture portuali”.
Lei è un esperto per quanto riguarda Venezia
“Io sono un veneziano, nato in questa straordinaria città e consapevole di essere un privilegiato per essere cresciuto nella città più bella del mondo. La conosco bene Venezia. L’ho vissuta profondamente fin da bambino, girando calli e campielli di tutti i sestieri per poi innamorarmi perdutamente anche della sua laguna grazie a un piccolo barchino che mia mamma mi regalò all’età di 16 anni e che mi ha permesso di conoscere la magia delle isole della laguna nord e sud.
Venezia in questo momento così tragico per tutto il mondo, è forse la città che sta soffrendo di più dalla pandemia che ha messo a dura prova tutto il sistema economico della città. Ha poco senso ora recriminare sugli sbagli fatti in passato e legati ad una monocultura turistica. Il Turismo in Italia rappresenta ben oltre quel 15% di PIL che ci vogliono far credere ed è ovvio che Venezia, proprio per il suo ruolo di città più straordinaria al mondo anche dal punto di vista artistico culturale, si sia concentrata negli ultimi decenni per sviluppare le opportunità che l’industria turistica offriva.

Olivetti si poteva fare di meglio?
“Si certo sicuramente con il senno di poi si fanno tante cose. Ma ora dobbiamo pretendere l’attenzione del governo centrale e cercare di ottenere dei contributi a fondo perduto che permettano alle attività veneziane, oltre alle migliaia di professionisti in partita iva, di superare la crisi. Poi è giustissimo aprire un confronto e discutere di come migliorare le cose in città. Sviluppando un piano a lungo termine su come gestire il turismo nel territorio.
Oggi ci sono gli strumenti tecnologici che possono contribuire ad organizzare la gestione dei flussi in maniera più precisa e ordinata. Io sono sempre più convinto che il turismo a Venezia vada contingentato (in particolare in alta stagione) e soprattutto ritengo che la tassa di ingresso sia una delle cose più giuste portate avanti dall’amministrazione Brugnaro. Venezia è un museo a cielo aperto dove ovunque ci si giri si ammira arte, storia, cultura. E’ giusto che ogni visitatore contribuisca al suo mantenimento e alla salvaguardia di uno dei principali patrimoni artistici mondiali”.
Olivetti, vi occupate di viaggi anche internazionali, ma gli affari sulla città quanto rappresentano? E quanto pesa il Covid?
“Il nostro gruppo si occupa di turismo in tutta Italia è vero ma Venezia rimane il territorio su cui abbiamo investito di più e su cui crediamo si possano sviluppare ancora tante opportunità. Il settore crocieristico rimane per noi non solo quello di riferimento ma dove vogliamo continuare a puntare. E soprattutto a crescere avendo ormai acquisito un know-how specifico che ci consente di gestire navi da oltre 5.000 passeggeri e 2.000 di equipaggio. La crocieristica poi è il segmento con maggior “value for money” di tutta l’industria turistica: in pratica, non c’è vacanza migliore della crociera! Il covid è stato per tutta l’industria turistica una apocalisse a tutti gli effetti.
Non vi è un settore che a livello mondiale sia stato colpito di più da questa pandemia. E le perdite per la maggior parte degli operatori è stata nell’ordine del 90% del proprio volume di affari. Le compagnie di crociera a loro volta ne hanno pagato il prezzo più caro essendo questo settore un business così detto a “capital intensive” dove ogni nave costa più di un miliardo di euro. E questi lunghi 12 mesi di totale inattività sono costati alle 4 big dell’industria (Carnival, Royal, MSC, NCL) decine di miliardi letteralmente bruciati per sostenere navi e strutture organizzative a terra.
Tuttavia, alcune navi sono riuscite a ripartire lo scorso agosto. E sono riuscite a dimostrare che anche in tempi di pandemia la crociera è uno dei luoghi più sicuri. MSC, ad esempio, ha creato un protocollo covid-free. Proprio in questi giorni poi, è notizia che alcune compagnie di crociera si stanno attrezzando per offrire pacchetti crociera che includono il vaccino per chi non è ancora riuscito a farselo somministrare”.
Olivetti, il settore dell’industria crocieristica è importante per tutto il sistema Paese e Venezia essendo un porto capolinea, ha un valore aggiunto?

“Esatto, è proprio questo il motivo principale per cui Venezia non può permettersi di perdere le cosiddette grandi navi. Essere porto capolinea è la vera ricchezza e il vero valore aggiunto per tutto il nostro territorio. Ricordo, ad esempio, che i primi voli diretti da New York a Venezia operati da Delta (seguiranno poi Atlanta e Philadelphia) sono nati proprio per trasportare i crocieristi che si imbarcavano nel nostro scalo. Un porto capolinea permette a tutte le infrastrutture (viarie, ferroviarie e aeroportuali) di lavorare a pieno regime e di svilupparsi. E, al tempo stesso genera una ricaduta lavorativa per una filiera produttiva talmente ampia che vede coinvolte migliaia di imprese e di lavoratori locali.
Venezia si è guadagnata il primato di essere tra i primi 3 porti capolinea del paese grazie a un percorso di sviluppo ventennale e a decine di milioni di investimenti impiegati nella riconversione della marittima che è oggi uno dei fiori all’occhiello dei terminal crocieristici di tutto il mondo. Chi oggi, per meri interessi personali, punta su un progetto alternativo come il terminal Duferco che dovrebbe sorgere sulla diga di Punta Sabbioni non capisce che significherebbe la fine del traffico capolinea a favore di un traffico di transito (navi che si fermano dalle 8 alle 18 per le sole visite guidate alla città) con un impatto economico notevolmente inferiore”.
Come responsabile delle infrastrutture per la Confindustria come vede la situazione?
“La ricaduta economica del business delle crociere per il territorio veneziano si attesta nell’ordine dei 400 milioni di euro l’anno e sicuramente la parte dell’ospitalità ricettiva (hotels) e dei sottoservizi (visite guidate, ristoranti, negozi, hostess, comparto del vetro di Murano, trasporto pubblico, ecc.) ne rappresenta una fetta consistente. Confindustria Venezia e Rovigo ha sempre sostenuto l’imprescindibilità del traffico delle grandi navi per il sistema economico del territorio. Anche avallando in pieno le decisioni prese nel Comitatone del 2017. Che prevedevano la realizzazione di una nuova stazione crociere per le navi più grandi lungo la banchina del canale industriale nord. Quella nella prima zona industriale di Venezia.
Ed è chiaro che la soluzione di un nuovo terminal a Marghera è quella di maggior buon senso. Permetterebbe alle navi di non transitare più davanti a San Marco entrando dalla bocca di Malamocco per raggiungere l’ormeggio tramite il canale dei petroli. Pensiamo solo al fatto che Marghera è la seconda area in Europa, in termini di vastità, da dover essere riconvertita e riqualificata anche con opere complementari alla salvaguardia della laguna. Ma è davvero così difficile per la nostra politica, individuare un piccolo fazzoletto di terra all’interno di questa vastissima area? E dar vita ad una nuova stazione marittima in grado di ospitare le navi di ultima generazione, creando lavoro, occupazione, benessere e compatibilità ambientale?”.