Un borgo pedemontano, Santa Brigida, che è immaginario, ma assomiglia a tanti paesi del Nord Est. Ci assomiglia, con gli occhi di chi voglia guardarlo con poesia e una penna che incide sulla pietra, graffiante, definitiva. A tratti profetica.
Da Santa Brigida ad Anatolia
Una vicenda scura e nordica, legata al contrappasso; lo scavo introspettivo dei personaggi che prefigura la dimensione di Ananke. Il caso, la necessità, il dolore: tutto ciò è l’ultimo romanzo di Annarosa Maria Tonin, Anatolia, uscito alla fine del 2020 per Digressioni editore, con l’incisiva introduzione di Michele Saran.
Chi è Annarosa Maria Tonin
L’autrice è impegnata e tenera ad un tempo, animata da una sincera, travolgente passione per la storia e le storie che i luoghi raccontano. Divulgatrice e promotrice di eventi culturali, vive a Vittorio Veneto, dove è nata; ha svolto attività giornalistica e di ricerca; è stata docente di materie letterarie ed artistiche. Si dedica alla scrittura letteraria e saggistica, oltre a collaborare con la rivista Digressioni. Questo è il suo quarto romanzo.
Un titolo che non tragga in inganno
Non ci si faccia fuorviare dal titolo: l’Anatolia, nel romanzo, esiste come memoria, come radice fisica di una delle protagoniste e come seme di un tutto. Un sogno, un’eco, un auspicio.
La storia
L’intera vicenda – che ha un impianto profondamente teatrale nella definizione scenica e vive di continui rimandi, di risonanze temporali – si svolge sulle rive del torrente Rujo, tra l’osteria “Ai tre venti”, l’oratorio, la fabbrica, poche case significative, un vecchio deposito di legnami.
La bravura di Tonin con Santa Brigida
Eppure Tonin non ci consegna un semplice quadro di provincia. Anzi. Un passato oscuro allunga le sue ombre nei destini dei personaggi, legati da intrecci parentali o d’anima, in un modo così estremo da ricordare la tragedia greca, il bilanciamento tra bene e male, tra la vita e la morte.
Da un compleanno all’inquietudine
Tutta ruota attorno ad una festa di compleanno che avrà un andamento imprevisto: il focus narrativo è sulle protagoniste – Angelina, Emma, Sofia –, ma le circonda un insieme di comprimari determinanti. Può sembrare una traccia esile, intessuta sulla ricerca di identità personali e collettive, ma il clima, la temperatura che Annarosa Tonin riesce a donarci, incutono riverenza ed inquietudine.
I misteri di Santa Brigida
L’autrice lascia intravvedere la presenza di elementi sovrannaturali – genius loci, riverberi arcani – anche se non sempre s’intendono con chiarezza. Come nella grande tradizione italiana (si può pensare a Paolo Maurensig o, per la sacralità intrinseca, a Carlo Sgorlon), il meccanismo della narrazione è perfettamente oliato, la dinamica dialogica non subisce intoppi, ma è il respiro lirico a strutturare l’intera vicenda.
Il climax
L’ansia crescente, l’attesa dell’evento tragico si mescola all’amore per i luoghi, alla memoria da tutelare, alla condivisione. Con uno sguardo da storica, ed amorevole cultrice del bello, pare che Annarosa si sdrai anch’essa su quella terra, e la ascolti. Terra di chi è andato e di chi resta: non per nulla il romanzo è dedicato a Gabriele Galloni, un giovane grande poeta recentemente scomparso.
Anatolia come un controcanto
Il dettato di Anatolia ha la stessa soffusa partecipazione che Andrea Zanzotto infonde al paesaggio di IX Ecloghe. Gode persino di un controcanto corsivo all’azione, quasi l’occhio e la mente dell’autrice prendessero direzioni diverse. Parole preziose, per forma e contenuto, che arrivano immediatamente al lettore, lo inchiodano al suo ruolo di osservatore ignaro.
Santa Brigida location di un film
Il finale arriva, ed è una formidabile chiusa tutta cinematografica, un lungo piano sequenza all’Andrej Tarkovskij. Si resta con la voglia, ed il brivido di tornare a Santa Brigida.