
Dice che “il mondo dovrà tornare a Cortina”, che la grande occasione dei Mondiali di Sci del 2021 può far ripartire lo sport e la speranza è che possa ritornare il pubblico, perché senza pubblico si perdono la fantasia e il sogno. Testimonial dei Mondiali, Kristian Ghedina, uno degli assi dello sci azzurro, discesista tra i più forti al mondo, si racconta. Oggi a 51 anni, Ghedina ha un figlio Natan di tre mesi con la compagna Patty Auer che è stata azzurra di sci. Ghedina fa un bilancio della sua vita e anche di uno sport che la pandemia ha bloccato. Non è un problema di neve, nemmeno di piste. Non è un paletto da scartare, né un avvallamento da saltare magari alla sua maniera, con una spaccata, fuori dalle regole ma dentro lo spettacolo.
Ghedina è rinato almeno due volte, uno che ha smesso a 35 anni, il più vecchio nella storia dello sci. Che ha sempre amato la velocità, dopo la neve è passato alle auto. Ma con un rimpianto: “Non ho mai vinto una medaglia d’oro in cinque Olimpiadi”. Ghedina ora ha una scuola di sci. Non una normale in un centro che ha nove scuole, proprio una degli “assi”, ci insegano soltanto campioni.
Come incomincia la carriera di Ghedina?

“E’ merito di mia madre Adriana maestra di sci, la prima donna della scuola di Cortina. Era un orgoglio per lei, sostenevano che fosse una professione esclusivamente maschile. E’ stata lei ad avvicinarmi allo sci, facevo anche hockey come pulcino, mio padre Angelo era presidente dell’Hockey Club di Cortina. Poi mi sono stufato, dovevo sempre tornare a casa a piedi, non potevano venire a prendermi. Allora mi sono dato allo sci, abbiamo la casa verso le Tofane, arrivavo contento con la sacca, mi piaceva molto. Sono sempre stato un po’ scalmanato, come ma madre; mio padre era più tedesco, attento alle regole. A me piaceva tutto quello che era estremo: ero sempre rotto, cadevo dalla bici, dall’albero, dagli sci. Andavo alla ricerca di tutto quello che era adrenalina, anche se non sapevo che era adrenalina; mi affascina e mi affascina tuttora sapere se sono capace di fare una cosa. Era già un buon punto di partenza”.
Insomma, un destino segnato per Ghedina?
“Assolutamente no: ho fatto la trafila, non avevo l’ambizione di diventare un campione, mi piacevano le sfide con i compagni. Fino a 14 anni non ero una “promessa”, anche nei campionati provinciali arrivavo per il rotto della cuffia. Ai campionati nazionali sono andato una volta sola e come riserva. Il momento più importante è quando arrivi ai 15 anni, allora molti si fermano, bisogna fare rinunce, sacrifici; lo sci è uno sport molto fisico devi prepararti bene. E’ molto importante la famiglia, a differenza di oggi che molti genitori al primo risultato pensano che il figlio sia un campioncino e si trasformano in tecnici. Mio padre mi ha aiutato a crescere perché non ha fatto pressione, insisteva molto sullo studio, ma a me la scuola non piaceva troppo. Diceva che la scuola è garanzia di successo e lo sport un’avventura. Mi diceva: “Fai la tua esperienza, ma quando smetti – tanto per me non arriverai da nessuna parte –ti rimetti a studiare”. A 15 anni ho fatto il grande step, sono cresciuto di struttura, fino ad allora era il più piccolino, a 16 anni sono stato convocato in Nazionale”.
Tutto filava liscio…

“Quando pensavo di essere cresciuto è arrivato il dolore più grande della mia vita: ho perso la mamma, è morta in un incidente sugli sci sul Cristallo, è precipitata fuori pista. Dovevo esserci anch’io! Mio padre è rimasto vedovo a 38 anni con tre figli. Avevamo un negozio di lampadari e una ditta di elettricità, c’era il boom edilizio e lavorava bene aiutato da mia madre. Avevano anche comprato la casa. La tragedia ne ha indurito il carattere, era una specie di fuhrer, dovevi solo obbedire, bastava che mi guardasse e avevo già capito cosa voleva. Potevi metterlo a tacere solo con i risultati. E’ così che ha ceduto: “Ti concedo due o tre anni, poi ti metti a studiare. Però siccome è una tua scelta, che io non condivido, ti impegni a fare come un professionista che si alza la mattina presto, si allena e va a dormire presto. Libera uscita solo il sabato e se non torni a casa ti vengo a prendere io”. Mi svegliava ogni mattina ella 6, non saltava un giorno”.
E allora che è nata la leggenda di Ghedina?
“E’ arrivata anche la mia prima vittoria importante. L’anno primo, grazie al successo nella Coppa Europa, ero entrato nella squadra A. Era la stagione 1989-90 e sono salito sul podio nella Coppa del Mondo. E’ la gara che ritorno con più piacere, a Cortina, davanti alla mia gente, il 3 febbraio 1990. E’ un po’ anomalo che un discesista ottenga una vittoria del genere. Fortunatamente non mi sono mai fatto male, questa mia esuberanza mi ha aiutato. Ho vinto e la stampa mi ha messo in contrapposizione con Tomba, scrivevano “il nuovo fenomeno”. La stagione successiva in gara secca ai Mondiali ho ottenuto la mia prima medaglia: l’argento in combinata, in Austria”.
Sembrava che niente potesse fermare l’ascesa di Ghedina, poi l’incidente stradale….

“Finita quella stagione, il 7 aprile, ho un incidente in auto sulla Torino-Milano. Stavo andando a fare una gara, correvo forte quando è scoppiata una gomma. Non ricordo nulla, sono rimasto in coma farmacologico per tre giorni, avevo fratture varie, un edema cerebrale assorbito. Mio padre temeva che non ce la facessi, fortunatamente sono stato soccorso in tempo. Poi piano piano mi sono svegliato, temevo di non poter più tornare allo sci, ma dopo sei mesi avevo l’idoneità per tornare allo sport e a novembre ero in Nazionale con le carte in regola. Ma ci sono voluti quasi quattro anni per ritrovare la vittoria, solo nella stagione 1994-95 ho iniziato di nuovo a vincere ed è stato un crescendo sino al 2000, con grandi risultati. L’ultima vittoria è del 2002 e l’ultimo podio nel 2004. Ho sciato ancora per due anni, mi sono ritirato dopo le Olimpiadi di Torino a 35 anni, un po’ malridotto specie alla schiena che, con le articolazioni, per gli sciatori sono il punto nero. Mi sono ritirato a fatica, ero ancora il decimo nel ranking mondiale e il miglior italiano nella mia specialità. E’ stato giusto smettere, meglio ritirarsi a testa alta. Il problema più grosso è che mi mancava qualcosa, la ciliegina sulla torta. Non ho mai vinto una medaglia d’oro, solo due volte secondo; né una medaglia in cinque Olimpiadi: è sentirsi come la Juventus che va sempre in finale ma non vince la Champion’s. Ma ero allora il più vecchio sciatore della storia, nessuno era stato così longevo”.
Poi dallo sci alle auto, sempre la velocita?
“Avevo la passione delle automobili, m hanno offerto di correre senza spendere. Era la mia passione forse più grande, però mio padre non mi ha mai comprato nemmeno un motorino e quando ho avuto la prima macchina mi ha fatto prendere quella che aveva deciso lui. L’auto dell’incidente era una Passat, tedesca, grossa, potente, ho speso tutti i miei risparmi, ma fortunatamente era solida, ha retto ai colpi. Nella mia nuova vita sportiva mi ha dato una mano Alex Zanardi per entrare nel mondo BMW, Aveva un programma per tornare sulle macchine e competere con auto adattate alle sue condizioni. E’ stato lui a farmi aprire la porta della casa tedesca che mi ha finanziato il campionato. La sera che ho convocato la conferenza stampa per l’addio allo sci, sono partito per la prima gara ufficiale in Francia; per i giornalisti mi sono vestito da pilota e ho presentato la BMW 320”.
Ghedina ma cosa c’entra la famosa spaccata?

“C’entra e come: all’auto ci pensavo da quando il mio sponsor che era la Redbull mi aveva ringraziato per aver tratto una pubblicità incredibile dalla mia spaccata nella discesa libera che aveva fatto il giro delle televisioni di tutto il mondo. Come regalo mi avevano offerto un volo acrobatico o un giro con una Formula 3000, ho risposto che volevo fare una prova nella pista di Adria, una giornata intera con un team professionale: un centinaio di giri, con cambio gomme. Ho girato quasi a tempo di il nuovo record della pista e si è sparsa la voce. Quando è partito il campionato di F3 mi hanno chiamato, ho chiesto consiglio ad Alex e a Patrese che è un caro amico e mi misero in guardia dai rischi altissimi. Ma era una possibilità che si presenta solo una volta nella vita, l’ho sfruttata e ho fatto anche bene. Ho corso sei anni, accanto a piloti come Morbidelli, Martini, Liuzzi. Sono riuscito a stare dietro a uno come Martini che ha fatto 300 gare di F1. E’ stato allora che ho incontrato il mio grande amico Graziano Mamprin col quale lavoriamo ancora assieme, e amici che sono rimasti come Max Dal Corso oggi imprenditore ed editore a Mirano”.
Adesso è tornato allo sci?

“Ora ho una scuola di sci, mi hanno spinto tanti a farlo. Forse potevo ambire alla Nazionale, ma non mi sono mai proposto; se mi chiamassero certo non direi di no. Ho avuto il piacere di essere chiamato da Kostelic e di andare per tre anni a lavorare con lui per le discipline veloci con i croati in Coppa del Mondo. La scuola è nata nel 2014, facciamo una scuola diversa, nuova, con obiettivi più aperti, sport d’inverno e d’estate. Devi avere 14 maestri di sci e un direttore per aprire una scuola. Vendiamo servizi sportivi: bicicletta, fondo, arrampicata, maestri di sci. Non è stato facile, siamo la nona scuola di sci a Cortina. Ma siamo la sola con 4 Campioni: io, la Deborah Compagnoni, Piller Cottrer e Giacomo Kratter. Ora mi ha reso fiero essere stato chiamato a entrare, come testimonial, nella squadra per la candidatura di Cortina ai Mondiali 2021”.
Ghedina è tutto pronto?
“Dovevamo fare le finali come test, dieci gare a marzo per vedere le qualità della pista. E’ saltato tutto, una grande perdita sportiva e anche economica. C’erano molte cose da mettere a posto: le strade prima di tutto ed è un lavoro continuo, un cantiere infinito. Si è mosso tutto, è un treno che è‘ arrivato ad alta velocità, siamo riusciti a prenderlo al volo. Sembra tutto facile, se si guarda da fuori non si vede il lavoro. Il grande punto interrogativo è legato a questo Covid. Si lavora anche per le tribune ma non si sa quante persone potranno starci: metà pubblico? O senza pubblico? Dal 7 al 21 marzo erano previste 120 mila persone che ora saranno forse la metà. Se si fa il Mondiale gli sponsor e la pubblicità ci sono, come la televisione, ma non è quello che tutti abbiamo sognato”.