Per una prima storica volta il karate sarà presente alle Olimpiadi di Tokyo 2020. Una grande gioia anche per chi questa possibilità nella sua carriera non l’ha mai avuta ma ha combattuto perché il karate potesse prendersi la scena nel palcoscenico più importante. Stiamo parlando di Davide Benetello, karateka che nella sua carriera è diventato campione del mondo e, per ben tre volte, campione d’Europa. Dopo aver abbandonato il tatami si è dedicato all’attività da dirigente, togliendosi tante soddisfazioni anche in una veste diversa.
Benetello, lei entra nel mondo del Karate tardi, a 14 anni. Cosa l’ha convinta a continuare?

“È vero, ho iniziato a praticare karate a soli 14 anni però posso dire che lo sport già lo conoscevo, avendo prima praticato altre attività come il nuoto, il calcio e la boxe. Il karate mi ha accolto in un ambiente per me nuovo e, anche grazie al maestro Oggianu, mi sono accorto che ero portato. Pochi anni dopo arrivarono i primi successi e così conquistai subito il mio primo titolo italiano giovanile. Questi risultati mi portarono poi, nel 1991, ad entrare nelle Fiamme Gialle, una tappa fondamentale senza la quale non avrei potuto ottenere dei grandi risultati”.
Il karate sarà uno sport olimpico per la prima volta nella storia l’anno prossimo a Tokyo. Quanto le dispiace non aver mai potuto partecipare ad un’Olimpiade?
“Tantissimo, ricordo che l’anno olimpico noi karateka lo vivevamo sempre con rammarico. Cambierei qualsiasi medaglia vinta, ad eccezione del titolo mondiale, per avere la sola opportunità di partecipare ad un’edizione a cinque cerchi. Purtroppo entrare in un’Olimpiade è molto complicato, per ogni edizione infatti sono presenti 28 sport e, affinché se ne possa aggiungere uno nuovo, è necessario l’abbandono da parte di una disciplina. Dalla prossima edizione Thomas Bach, il presidente del CIO, ha però consentito al paese ospitante la possibilità di proporre, solo per quella edizione, l’inserimento di nuovi sport. Il karate sarà a Tokyo 2020 (anche se si disputerà il prossimo anno a causa del Covid19) e mi fa orgoglio che, facendo parte della Commissione Olimpica della World Karate Federation, abbia contribuito a portare questa disciplina a me tanto cara alle prossime Olimpiadi. Non ci resta dunque che combattere e provare a portarla anche a Parigi 2024”.
Benetello, lei è stato definito “The King of Uramawashi”, come è nato il rapporto speciale con questa tecnica?

“La scioltezza delle gambe, la potenza degli arti inferiori e le gambe molto potenti mi permettevano di essere rapido e corto nella traiettoria, consentendomi anche di piazzare l’Uramawashi in maniera, personalmente parlando, semplice. Ovviamente per poter eseguire il colpo con una certa efficacia sono stati necessari allenamenti lunghi e specifici che miravano al perfezionamento della tecnica. Uno dei miei grandi vantaggi è stato poi l’osare nelle finali, sia europee che mondiali, questo colpo che, grazie all’utilizzo di determinate tecniche di gambe molto spettacolari, nel caso venisse eseguito bene, mi portava tanti punti”.
Secondo lei, che è in questo mondo da tanti anni, è cambiato il karate?
“Come in ogni sport si è cercato di dare un’importanza maggiore a fattori come la prestanza fisica però la tecnica rimane la caratteristica più importante sulla quale una karateka deve lavorare. Una pulizia tecnica, a differenza di alcuni sport, è indispensabile. Basti pensare alle valutazioni che un arbitro deve fare riguardo le caratteristiche dei colpi degli atleti e sul come siano arrivati a bersaglio”.
Benetello, qual è il ricordo più bello della sua lunga ed eccezionale carriera?
“Sicuramente uno dei momenti più importanti è stata la vittoria del titolo mondiale ma ricordo con grande piacere tutte quelle gare in cui, non essendo in un’ottima forma fisica, sono riuscito a vincere usando soprattutto la testa. I momenti più belli che ho vissuto riguardano però la vicinanza degli amici e della famiglia nelle gare più importanti in giro per tutto il mondo. Posso dirmi soddisfatto di quello che è stata il mio percorso nel karate, finito per il venir meno di stimoli e motivazioni. Mi sono infatti ritirato a 34 anni ma, nonostante l’età, ero ancora integro fisicamente e capace di offrire buone prestazioni”.
Come si è trovato nella sua attività da dirigente dopo aver abbandonato il tatami?

“Grazie al mio carattere mi sono immerso in questo nuovo mondo con grande piacere e curiosità. Conosco e parlo bene l’inglese e sono diventato consigliere federale della FIJLKAM (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali). Membro di molte commissioni della World Karate Federation e del Comitato Olimpico Nazionale, dove siamo impegnati per la creazione di una carta dei diritti e dei doveri degli atleti di tutto il mondo di ogni sport. Dopo il ritiro sono stato anche allenatore della nazionale giovanile per tre anni. E ho tenuto molti seminari con squadre di tutto il mondo ma non sono mai diventato maestro in un club e in una palestra mia”.