L’emergenza COVID-19 ha messo la scienza al centro del dibattito pubblico. Se ne è ampiamente discusso sui social, nei bar, in tv. Argomenti che altrimenti sarebbero rimasti confinati nei corridoi delle università sono diventati i trending topic del momento.Tutti hanno voluto e vogliono dire la propria: chi non lo ha fatto si è condannato all’essere fuori moda e all’irrilevanza sociale. In pochi mesi si è diffusa la passione per la medicina, la biologia, la statistica inferenziale, e adesso ci emozioniamo al suono di parole come immunologia, virologia, infettivologo, idrossiclorochina.
Scienza e società

Mi viene in mente qualche fotogramma di momenti del passato in cui si è visto un po’ d’interesse per argomenti legati alla scienza, ad esempio alcuni sprazzi di dibattito sul metodo stamina o sui vaccini. (secondo me non serve il tuttavia) Ho sempre percepito queste discussioni come fondamentalmente care a nicchie più o meno ristrette della popolazione. E non intendo il concetto di nicchia come un gruppo formato da soli Professori ordinari ed associati, assolutamente, perché spesso abbiamo ascoltato anche la legittima opinione di persone che si sono documentate su fonti più o meno attendibili. Tuttavia, il dire la propria in questi ambiti è comunque rimasto prerogativa di persone che si erano impegnate, mentre gli altri erano fondamentalmente spettatori. Inoltre, gli argomenti scientifici hanno spesso attratto l’interesse generale per ingaggiare duelli personali – scontri titanici come l’ormai mitica diretta Burioni vs. Red Ronnie – o per lo scendere in campo di esponenti politici, piuttosto che per questioni di metodo e di merito.
Da popolo di allenatori a popolo di scienziati

Oggi è diverso. La scienza è argomento caldo e in pochissimo tempo abbiamo effettuato la transizione da popolo di C.T. della Nazionale, di difensori della carbonara dagli assalti di chef foresti e barbari, di arbitri dell’eleganza e del fashion, a popolo di scienziati. Questo, in linea teorica, è una cosa buona: un interesse collettivo per un argomento ne favorisce la diffusione e l’approfondimento. Nutro serie speranze che tanti giovani si avvicineranno a percorsi professionali di ambito scientifico e della salute. Ritengo che sia una cosa buona anche per chi non avesse, magari per motivi di età, questa possibilità: tutti possiamo contribuire a un dialogo più ampio, arricchendo noi stessi e la nostra comunità. In questa prospettiva, sono un fermo sostenitore che la scienza non debba essere argomento d’élite e rifiuto categoricamente la tendenza burionistica a buttare la discussione sul prestigio accademico (prendi 2 dottorati e poi potrai confrontarti con me…). La scienza non la fanno i titoli – esiste una vasta schiera di inventori e scienziati, anche premi Nobel, senza laurea – ma i dati.
Il dilemma dell’alfabetizzazione scientifica
È l’alfabetizzazione scientifica il vero problema: un concetto basilare come il dover usare evidenze replicabili ottenute in condizioni controllate (almeno in certa misura), sembra non essere compreso e diffuso, quasi facesse paura o dovesse essere nascosto. Questo elemento di democraticità e brutalità della scienza viene ingabbiato in barocchismi istituzionali, discussioni poco rilevanti ma estenuanti, inquinamenti ideologici, interferenze emotive. Anche il fatto che la scienza prosegua da sempre attraverso dibattiti e scontri, fino ad arrivare agli epocali cambi di paradigma, sembra essere un concetto estraneo ai più, come se l’accademia fosse sempre stata un corpus compatto che esprime una sola idea alla volta.
Gli specialisti da computer

Oggi troviamo milioni di persone a discutere sui canali di massa di argomenti che purtroppo o per fortuna necessitano la comprensione di alcuni meccanismi quali metodo, dimostrabilità, controllo, nesso causale, errore statistico, replicabilità, inferenza, revisione da parte della comunità scientifica. Senza una condivisione di queste basi, anche eventualmente per criticarle, le probabilità di capire cosa sta dicendo l’interlocutore sono pressoché nulle. Invece, la diffusa mancanza di comprensione dei fondamentali si ripercuote sul discorso pubblico. Questo accade specialmente nella galassia dei social, all’interno dei quali possiamo individuare alcuni approcci alle tematiche scientifiche che sono evidentemente figli di un’approssimativa conoscenza delle basi.
Ecco alcuni esempi:
1) Lo schieramento, ovvero l’approccio del tifo da stadio. Capita che gruppi di persone, magari per caratteristiche quali l’appartenenza a determinati territori o gruppi, tendano a scegliere un loro paladino e a supportare le sue tesi tramite like, condivisioni e commenti. Questo approccio comporta spesso la polarizzazione verso posizioni estreme e l’aggressività verso chi esprime opinioni diverse, nonché l’abbassamento della volontà di approfondire le basi delle affermazioni che si supportano.
2) La politicizzazione, ovvero l’approccio di piegare la scienza alla società. Ovviamente anche gli argomenti scientifici oggi sono alla base di qualsiasi scelta politica. Pertanto, i diversi schieramenti tendono a propendere verso le teorie scientifiche che possibilmente hanno le ricadute pratiche più gradite alla loro base elettorale (ad esempio aperture piuttosto che chiusure). Le persone, rinforzate dai leader di cui hanno fiducia, tendono quindi a schierarsi e la scienza – per semi-citare von Clausewitz – diventa la prosecuzione della politica con altri mezzi.
3) La teoria del complotto, ovvero l’approccio scettico-cospirazionista. Alcune persone partecipano al dibattito pubblico partendo dal presupposto che la scienza non sia altro che la lunga mano di più o meno identificati individui o gruppi di potere (Big Pharma, Bilderberg, Bill Gates/Soros, Priorato di Sion…). Ovviamente questo punto di partenza comporta un atteggiamento oppositivo e tendente alla falsificazione, non in senso popperiano, di qualunque cosa possa essere detto da uno o più scienziati. Spesso un effetto pittoresco di questa credenza è l’individuazione e l’elevazione di una qualche figura ai margini della comunità scientifica come profeta dell’indipendenza e dell’onestà intellettuale.
4) La sfiducia nelle umane possibilità, ovvero l’approccio apocalittico neo-medievale. Certe persone mostrano una particolare passione nel ribadire che la scienza non serve a niente perché “la gente che ha studiato” non riesce a mettersi d’accordo in mezza giornata su problemi complessi, e spesso emergono opinioni diverse. Questa sarebbe la prova anselmiana che non c’è speranza: la scienza non risolverà i problemi e siamo tutti condannati. Questo approccio spesso si accompagna ad un correlato fideistico tuttavia che come il tubino nero di Coco Chanel si adatta bene a tutto, specialmente al nichilismo.
5) L’esperienziale, ovvero l’approccio SanTommasista neo-medievale. Recentemente salito alle luci della ribalta, viene adottato da individui che considerano l’esperienza personale come unica fonte di conoscenza. Tale approccio affonda le sue basi (un pochino datate), nella tradizione aristotelica, e oggi il contributo delle persone che lo adottano è di proporre alla società la generalizzazione di esperienze squisitamente individuali. Aspetti interessanti di questo approccio sono il sospetto e la tendenza falsificazionista con cui vengono guardati e commentati dati statistici.
Il rischio del ritorno ad epoche buie
Dunque, che fare? Rassegnarci al fatto che la discussione in ambito scientifico abbia due livelli inconciliabili – quello istituzionalizzato degli studiosi e quello pubblico – è inaccettabile per due motivi. Il primo è che il dibattito allargato, anche soltanto per questioni numeriche, influenza la politica e il futuro di tutti. Il secondo è che la scienza soffoca se rimane chiusa nelle torri d’avorio e viene praticata da pochi “eletti” in sdegnoso isolamento. Accettare un abbassamento degli standard qualitativi del dibattito è altrettanto inaccettabile: abbiamo impiegato secoli per allontanarci dalla superstizione e dalla sfiducia in tutto ciò che non è esperienza diretta e in questo modo il genere umano ha realizzato grandi conquiste. Non è tornando indietro che i tempi miglioreranno. L’invito è a praticare la soluzione purtroppo più faticosa: crescere come società, tutti insieme, coltivando il dialogo, la trasparenza e la fiducia
Il ruolo degli scienziati

Si deve partire dagli studiosi, che hanno l’obbligo morale di partecipare attivamente alla discussione pubblica e di farsi capire da quante più persone possibili. Tuttavia, gli scienziati devono anche ritrovare l’umiltà di ascoltare e di confrontarsi: se un giovane arriva con dati che falsificano una teoria, si devono vagliare con attenzione i dati stessi e non l’età e la provenienza del proponente. Allo stesso modo, quando una teoria con deboli fondamenti inizia a preoccupare migliaia di persone va affrontata seriamente, non derubricata. L’alfabetizzazione scientifica nel nostro paese lascia a desiderare: c’è anche da chiedersi quanto le cosiddette “élite intellettuali” non abbiano voluto o saputo coinvolgere la popolazione e spargere l’interesse e l’amore per la scienza e la conoscenza.
La partecipazione degli amatori

Dall’altro lato, chi non si occupa primariamente di scienza deve sapere che si trova di fronte a un campo a suo modo democratico ma complesso. Nessuno studioso serio, infatti, potrà mai pensare di comprendere completamente un fenomeno: ciascuno può dare un contributo più o meno importante. È fondamentale che chi si avvicina alla scienza lo faccia con spirito di ascolto, e che accetti di entrare in un discorso che va avanti da secoli e non si conclude mai con un’affermazione definitiva. Non si può prescindere dall’umiltà di considerare la propria esperienza un tassello di un mosaico molto vasto e dalla fiducia nei dati che vengono proposti da terzi (sulla veridicità dei quali tutta la comunità è chiamata a vigilare).
Lo scopo della scienza

La scienza è una metodologia di studio della realtà, con il fine di poter descrivere e prevedere fenomeni, vigilata dalla comunità scientifica. La scienza non è l’unico strumento di conoscenza, né necessariamente sempre il più valido. La scienza non può essere oggetto di fede o fiducia perché è uno strumento in mano ad esseri umani, che possono usarlo efficacemente o maldestramente, per il bene o per il male. La scienza non dà certezze al 100%, al massimo dà probabilità che qualcosa succeda e lavora attivamente per individuare le condizioni in cui le sue previsioni non si realizzano. La scienza non dà risposte: è un metodo per trovarne alcune, che non sono mai totali ma gradini di una scala. La scienza non formula le domande: quelle vengono dalla curiosità delle persone che, sulla base delle conoscenze a loro disposizione, possono formulare ipotesi che poi possono essere scientificamente dimostrate. La scienza può dare una serie di probabilità pro o contro a una determinata decisione, non può essere essa stessa a scegliere. La scienza può vedere un forte disaccordo sui risultati e sulle predizioni, a volte gli studiosi possono anche sbagliare clamorosamente, tuttavia bisogna considerare che le decisioni prese sulla base di inferenze scientifiche tendono ad essere migliori di quelle prese a caso. La scienza può descrivere fenomeni, non può né deve sostituirsi ai valori, alla fede, alle convinzioni individuali e sociali.
Scienza, politica e società

Oggi è facile trovare esempi di questo che siano concreti e noti a tutti: il principale è la necessità di scelta tra salvare vite umane rispetto a punti di PIL. La scienza può dire, sulla base delle conoscenze in evoluzione, quanto rischio si stima in termini di salute delle persone e di possibile perdita economica per ogni giorno di lockdown. Tuttavia, la decisione se chiudere ed eventualmente per quanti giorni è esclusivamente politica, non è la comunità scientifica a scegliere. La profonda attenzione al valore della vita è legata alla sensibilità del nostro tempo e la politica evidentemente ha tradotto in azioni questo sentimento: la scienza non c’entra con la scelta di quale sia il male minore, ma cerca di quantificare la quantità di male da un lato e dall’altro.
Con questa consapevolezza possiamo creare un dialogo che tenga scienza, storia, cultura e valori sullo stesso piano e sviluppare una consapevolezza condivisa su dove stiamo andando e dove vogliamo andare come società.