Nel grigio mondo di mezzo, punto di sosta delle anime prima di spiccare il volo stellare, è da poco risuonata la voce di un artista che abbiamo ammirato in vita: Giuliano Scabia, poeta e affabulatore, scrittore visionario e drammaturgo, spirito ruzantino. Era nato a Padova nel 1935 e si è spento a Firenze, la città che lo aveva adottato, l’altra settimana. L’autore di questi pensieri lo rievoca in amicizia come fratello “poeta albero” dai frutti fantastici, e ne ricorda il linguaggio pirotecnico – un italiano ibridato dal dialetto nativo, dalle voci delle creature animali, dai suoni di madre Natura, dal cuore puro di creature magiche. Diceva Scabia che, stando fermi “si è alberi, e si sente il battere della terra – sia il rumore dei passi camminanti sia i terremoti o bombe o motociclette o i piedi della signora morte”. Vai, amico caro, il vento della poesia ti accompagni nel viaggio oltre la Soglia, verso la sognante Foresta pavana. La tua voce è viva, ed echeggia nei nostri cuori.
Dare, donare, donarsi

Sul fronte dell’epidemia, e precisamente nelle strutture vaccinali, si è notata la presenza di volontari: gruppi di rincalzo che danno una spinta all’accelerazione di quell’impresa epocale che è la Guerra al Virus. Già, i volontari, chi sono? Sono un vero e proprio popolo spontaneo, anzi un mosaico umano, e costituiscono una riserva di generosità alla quale la nostra società ricorre nei momenti come questo nostro sotto minaccia mortale. Li distingue il fare: essere volontario è, infatti, un agire, certo basato su un ideale, sulla disponibilità di sé, ma è comunque l’azione diretta e gratuita che li differenzia: come fanno, per esempio, gli Alpini in occasione di catastrofi naturali, e – aggiungo io – come fanno nella vita di ogni giorno tutti gli altri volontari la cui divisa è la propria umanità riflessa nell’altro, con-divisa. Ogni volontario, anche se non si considera tale, è un esempio vivo e virale, ovviamente in senso figurato.

Come semi nel vento
Come semi nel vento, dice il saggio, sono le vostre parole disperse. Nascono da voi, da un punto profondo che non conoscete pur avendo lì le loro radici. Lì si formano e il loro nutrimento lo chiamano inconscio, o anima come direbbe un credente. Le parole che inviamo agli altri e al mondo ci rappresentano, sono costruttive e distruttive, dolci o velenose, torbide o luminose. Perciò dovremmo tutti averne cura perché, dice la tradizione orale cioè voce del popolo, “Uccide più la parola della spada”. E, aggiungiamo con mesto sorriso, chi di spada ferisce…
Danzano nell’aria (poesia)

Siamo come i batuffoli
dispersi dai pioppi nel vento
luminoso del tramonto.
Vitalità effimera li muove
turbolento sciame d’oro
di api febbricitanti
che danzano in controluce
nell’ultimo sfaglio di sole
di questo giorno che muore.
E i nostri pensieri volano
con loro trainati dalla luce.
(Anonimo veneto)
Evito di commentare per paura di essere banale ma, leggo sempre con molto interesse i tuoi pensieri