Dedicare un libro a uno scrittore che è stato anche un amico, un grande amico, raccontarlo e ricordarlo ora che non c’è più, si trasforma necessariamente in una narrazione doppia che mescola due vite, intrecciando momenti vissuti insieme ad analisi critiche delle sue opere ma anche delle proprie, se queste ultime hanno avuto forti contatti con lui. Roberto Ferrucci ha da poco dato alle stampe per i tipi de La nave di Teseo Il mondo che ha fatto, un lungo, affettuoso, delicato, commovente e dettagliato omaggio critico/biografico a Daniele Del Giudice.
L’amicizia tra Ferrucci e Del Giudice

Quella che li ha legati a doppio filo è stata un’amicizia lunga, nata a metà degli anni ’80 del secolo scorso in una libreria di Mestre, La Don Chisciotte, all’epoca in Via San Gerolamo. Ferrucci era un giovanissimo studente universitario e Del Giudice uno scrittore di undici anni più grande. Un incontro che darà inizio ad un vincolo duraturo e intenso, fatto di scambi intellettuali, di suggerimenti di lettura, di conversazioni, di incontri, ma anche di scherzi, battute, risate, avventure.
Ferrucci allora stava lavorando alla sua tesi di laurea in lettere che avrebbe intitolato La nuova narrativa italiana, Daniele del Giudice e Antonio Tabucchi, che prese forma e contenuti anche grazie al materiale che gli fornì lo stesso scrittore: cartelline color sabbia contenenti recensioni, reportages, interviste, testi di conferenze. Una tale mole di materiali che, per portarli a casa dovettero essere infilati in un grande sacco delle immondizie, «di quelli condominiali, grandi, solidi». Materiali conservati fino ad oggi, preziosissimi per ricostruire, assieme ai ricordi, la figura di uno dei più grandi scrittori italiani contemporanei.
Amico, mentore e consigliere

La narrazione procede come un romanzo e comprende le molte sfaccettature di una figura che è stata, oltre che amico, mentore e consigliere, in lunghi anni di frequentazione. Del Giudice esce, nelle 364 pagine di questo corposo volume, in tutta la sua completezza e complessità di uomo e intellettuale, con tutte le sue passioni, gli interessi e le esperienze più diverse. Non solo la scrittura e la letteratura, ma il volo e l’aeronautica, l’esperienza teatrale alla fine degli anni ’60 in Polonia e Cecoslovacchia per studiare con Grotowsky, il cinema, la tecnologia, i viaggi, l’organizzazione e curatela di quella che fu la più interessante, innovativa e immersiva esperienza culturale veneziana: “Fondamenta. Venezia città di lettori”.
Un festival che Del Giudice diresse per quattro edizioni, dal 1999 al 2003, «un laboratorio permanente sui modi nuovi della lettura, della narrazione e della riflessione saggistica nei rapidissimi cambiamenti d’oggi, sulle forme dell’immaginare e dell’agire, nelle continue emergenze sociali, politiche, geopolitiche» così come ebbe a definirlo l’ideatore stesso (p. 204).
Ferrucci e il suo racconto

Una vita spezzata anzitempo da una feroce malattia che ha iniziato, piano piano, a privarlo delle parole e della possibilità di esprimersi attraverso di loro. Un destino crudele che l’ha colpito proprio lì dove aveva riposto i suoi pensieri e la sua immaginazione, quello che era anche il suo lavoro di scrittore, di critico e di pensatore, quel mondo che ha fatto, come recita il titolo del libro, attraverso la scrittura, che è fatta, appunto di parole. Toccanti sono i quattro capitoli intitolati Di là dall’acqua, oltre gli alberi, nei quali Ferrucci ricorda gli incontri con del Giudice nella struttura, sita alla Giudecca, dove è stato ricoverato per molti anni, gli ultimi della sua vita, incapace spesso di riconoscerlo, dimentico dei suoi libri, assente e distaccato dal mondo e dal suo passato. Incontri sempre più dolorosi man mano che la malattia progrediva e se lo portava via.
Nel continui flaskback e flashforward che ripercorrono la stesura e la pubblicazione dei libri di entrambi, si entra in una sorta di laboratorio costante tra i due scrittori, che, iniziato come un rapporto mestro/allievo, diventa sempre più paritario, fino a trasformarsi in una sorta di involontaria immedesimazione, quando, a causa della malattia, capita che Ferrucci venga invitato a «Essere Del Giudice» (pp. 325 e segg.), vale a dire debba, in qualche modo, sostituirsi a lui nelle presentazioni a cui non può essere invitato per ovvî motivi.
L’autore

Roberto Ferrucci è nato a Venezia (Marghera) nel 1960. Ha esordito nel 1993 con il romanzo Terra rossa. Nel 2007 ha pubblicato il romanzo Cosa cambia, rieditato nel 2021 con la prefazione di Antonio Tabucchi. Nel 2022 ha pubblicato il memoir Storie che accadono, incentrato sulla figura di Tabucchi, libro che con questo Il mondo che ha fatto forma un dittico. È il traduttore italiano di Jean-Philippe Toussaint. Scrive per i quotidiani di “Nordest Multimedia” e su la Lettura del “Corriere della Sera”. Dal 2002 insegna Scrittura creativa alla facoltà di Lettere dell’Università di Padova. Conduce laboratori di scrittura in Italia e Francia. Per Helvetia Editrice dirige la collana Taccuini d’autore.
Roberto Ferrucci, Il mondo che ha fatto, Milano, La nave di Teseo, 2025.