Di miracoli, in vita sua, Michele Gazich – classe 1969, bresciano di nascita, ma cittadino del mondo – ne ha fatti tanti: violinista di formazione classica, produttore discografico, autore di testi e musiche meravigliosi, amico generoso. Ha suonato dai palchi più disparati, con un manipolo di amici eroi, contro ogni ingiustizia, ogni stupidità. Ha incrociato la propria via con altre tradizioni, fino a farle proprie; ha percorso le strade del globo fino al di là del mare, magari per visitare una tomba, e ancora suonare, suonare.
La sua presenza irrituale, a me molto cara, ne ha fatto una delle poche voci sincere del panorama musicale italiano, senza retorica, con un’energia che buca (come si dice in gergo) e convince una platea sempre più vasta. Il suo essere spesso nella cinquina del Premio Tenco, peraltro senza vincerlo mai, (fosse questa la volta buona!) racconta di una carriera significativa, così come le collaborazioni con autori famosi: songwriter statunitensi come Mary Gauthier (con la nomination ai Grammy Awards per l’album Rifles and Rosary Beads), oppure teatranti d’eccezione come Moni Ovadia.
I miracoli di Michele Gazich

Eppure, tra tutte le produzioni di Michele che ho visto nascere, quest’ultimo album – meditato in quindici anni di lavorazione, con la pazienza di chi sa far emergere i sogni dalla terra – è quello che gli assomiglia di più. S’intitola solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea (proprio così, tutto in minuscole e senza punteggiatura) ed ha avuto una prima uscita live il 21 febbraio al FolkClub di Torino, per essere presentato questa sera alle 17:30 a Roma, alla Sala Curci de La Civiltà Cattolica. Nove canzoni (tutte scritte da Gazich tranne una, Oceano, parole e musica di Fabrizio De André e Francesco De Gregori, costruita – come racconta Cristiano, il figlio di Fabrizio – a partire dalle domande del piccolo, da quella purezza ideativa che hanno solo i bambini).
Due musicisti, Michele e la stupenda Giovanna Famulari, violoncellista e cantante, per un album (strano, ma vero) senza chitarre. Intorno, ruota un mondo che, a nominarlo, pare quanto di più lontano si possa immaginare dalla musica d’autore a cui il mercato ci ha abituato: Haydn, Mozart e Beethoven, la tradizione del classicismo viennese; Goethe e Hölderlin, ma anche Wim Wenders attraverso il ricordo di Solveig Dommartin, e Yves Bonnefoy. Un brano senza parole, materiali sonori per una descrizione dell’anima di paolo f., particolarmente commovente, è dedicato ad un amico di Michele, Paolo Finzi, direttore di A-Rivista Anarchica (a cui ha collaborato anche Gazich), suicidatosi il 20 luglio del 2020.
Arte, poesia e letteratura insieme
Da un titolo all’altro (rigorosamente senza maiuscole – spiega il musicista – «in un (probabilmente vano) tentativo di porre in equilibrio un mondo in cui troppi tendono a darsi la maiuscola»), le tematiche sono quelle consuete, arte, poesia, letteratura, ma c’è una consapevolezza del presente che le rende più che mai attuali: l’incontro-scontro tra Oriente ed Occidente, nella profetica visione di Goethe mentre scrive il suo West-Östlicher Divan, e soprattutto la traccia che dà il titolo all’intero album. Ce lo spiega lo stesso Gazich: «Viviamo immersi in una realtà, in un presente così tremendo e incredibile (cioè difficile da credere) – sostiene – al punto che, almeno per me, è stato ed è più semplice credere ai miracoli».
E di miracoli, piccoli ed enormi, d’improvvise epifanie è costellato il lavoro (una coproduzione Moonlight Records/FonoBisanzio, distribuito da IRD): la voce limpida, cristallina di Giovanna Famulari, le visioni chagalliane, la vicenda di un’anima che migra fino ad un Oriente vicinissimo, quello veneto, e si arrende alla luce chiara delle sue notti; i testamenti drammatici – da Beethoven a Bert Jansch.
Michele Gazich e la grande tradizione

Storie d’amore e bagliori, in una tessitura sonora che mutua echi dalla grande tradizione classica, ma alla fine è solo Gazich, tutta Gazich. Michele che scrive in treno testi, musiche e continua in un altro luogo (lo annota puntualmente, quasi un rito, un diario minuzioso dei pensieri). Michele che continua a fare concerti, nonostante la fatica, perché crede che suonare per la gente, con la gente, abbia un senso, ora più che mai.
«Pensavo a questo album come al mio album postumo, ma poi è stato più forte il desiderio di cantare e di far conoscere queste canzoni. – commenta – Ho creduto che, come avevano aiutato me a vivere per tanti anni, così potessero fare anche per altre persone … Vorrei fornire – puntualizza – anche un’altra chiave di lettura: questo lavoro, fra tutti quelli che ho realizzato, è quello più in aperto dialogo con il femminile. Non è questione d’ipocrite “quote rosa”, ma di anima …
L’album è stato interamente suonato e cantato da una donna (Giovanna Famulari) e da me; due donne (Angela Iussig e Manuela Hüber) hanno curato il progetto grafico; la coautrice del brano centrale dell’album, La resa, è una donna (Sofia Pavan); l’ufficio stampa che farà conoscere questo lavoro, “Strategie di comunicazione” è diretto da una donna, Daniela Esposito… I miei ascoltatori riconosceranno da sé che tutto l’album è innervato e percorso da un’anima femminile, anche alla ricerca di quanto di femminile e fecondo c’è in me, come uomo e come artista».
Il tema di Michele Gazich
Nella trincea in cui ci nascondiamo, solo voci, pianoforte e strumenti ad arco, oltre a scintillanti percussioni psicoacustiche, come le definisce Gazich; il tema dell’andante nel Concerto per pianoforte e orchestra k. 488 di Mozart avvolge le onde del mare, nella piazza di Concordia Sagittaria in cui la donna amata appare all’autore «circonfusa di luce».
Come a dirci che nella trincea in cui troviamo rifugio, tra orrori e paure indicibili, c’è spazio anche per i sentimenti, le carezze, la gioia. In breve, per i miracoli, se solo ci facciamo caso.