Il Veneto celebra in questi mesi, con diverse iniziative, la nascita dello scultore Augusto Murer avvenuta a Falcade (Belluno) nel maggio del 1922. Un artista forte ed emotivo che suscitò, fra i tanti, l’ammirazione e l’amicizia di Andrea Zanzotto che scopriva in lui il “rapporto complesso e misterioso che intercorre fra attività artigianale e l’affiorare dell’attività artistica”.
Il mio rapporto professionale è diventato ben presto amicizia e oggi voglio ricordarlo in un’occasione speciale. Era la primavera del 1985, ed erano gli ultimi mesi di vita dell’artista: a Mestre, in piazza Barche, si inaugurava la sua scultura “Il risveglio”, una allegoria del ritorno alla libertà nel quarantesimo anniversario della liberazione dal lungo “sonno” della dittatura.

Per me, quella scultura dinamica era anche un inno alla resurrezione dell’Uomo dalla schiavitù della morte, un Lazzaro che si toglie di dosso i ceppi della morte…
L’artista era venuto a Mestre per essere presente alla cerimonia che lo celebrava, ma stava in disparte: affaticato dal male che lo minava, si era seduto ai bordi dell’aiuola, con il monumento alle spalle.
Io ero lì “in servizio”. Commosso dalla sua sofferenza, mi sono seduto accanto a lui pronto a raccoglierne le parole di circostanza. Mentre intorno volavano rondini e stormi di parole celebrative, lui meditava in silenzio.
La sua opera in bronzo vive ancora oggi nella Mestre città mobile: Augusto Murer ha creato un corpo senza età – un simbolo – che si protende verso un’alba ideale: è l’estremo messaggio di un generoso artista di questa nostra terra.
Elogio dell’imprevedibile
Sembra un pensiero deviante: “Anche la pace, a volte, richiede lotta. Anche la speranza”. Ma lo scrittore Jostein Gaarder, norvegese, sapeva quello che diceva: la speranza e la pace sono esse stesse una forma di lotta. Del resto, la vita di tanti, se non di tutti, è una lotta senza risparmio. Quel pensiero, volendo, possiamo leggerlo come consapevolezza che tutto può essere e non essere, detto e contraddetto. In una parola, anche l’imprevedibile accade.

Ma noi umani siamo animali calcolatori: stregati dalla matematica della vita quotidiana, vogliamo tutto misurato, pesato, inquadrato e schematizzato. Ci illudiamo che i numeri catturino come una facile preda la Realtà intorno e dentro di noi. Invece è bello e forse anche necessario scivolare nell’indistinto, nei possibili futuri.
Pensierino laterale: ci sono tante dimensioni, quelle note e quelle ipotizzate dalla scienza, dalla fantascienza, dal cuore e dalle religioni (paradiso, per esempio, o inferno o walhalla…) Meditiamo sul fatto che l’imprevedibilità è come l’infinito, e noi ci siamo dentro. Dunque, la pace è lotta? Lo è anche la speranza? La risposta c’è, da qualche parte.
Se la Luna ci parla
Dalla patria di J. R. R. Tolkien non poteva arrivarci messaggio diverso da quello dello scrittore Neil Gaiman che qui trascrivo: “Le fiabe dicono più che la verità. E non solo perché raccontano che i draghi esistono, ma perché affermano che si possono sconfiggere”.

Mettiamola così: inutile aggiungere che siamo circondati da draghi e altri mostri terribili, e che in certi casi, quei draghi dormono dentro di noi. Ma se si parla di fiabe, dove possiamo trovarne in questo passaggio della Storia su di noi? Eppure, ha fatto impressione il recupero di una filastrocca di Gianni Rodari La luna di Kiev (1960) pubblicata da Rcs e Einaudi Ragazzi. Fiabesca è la Luna, che parla e dice: “I miei raggi viaggiano senza passaporto”, anche sopra le macerie dell’Ucraina. E aggiunge: “Faccio lume a tutti quanti”.
Sono appena diciassette versi, il resto è tutto figure – intense, con una sfumatura naif – disegnate da Beatrice Alemagna: destinato dal poeta ai bambini, questo libretto-oggetto suscita una discreta emozione anche in noi grandi, mai abbastanza adulti.
Stellato

(Poesia)
Vie di luce alabastrina
per la tenebra turchina:
ampie strade polverose
e sentieri vagabondi,
attraverso valli e monti,
con crocicchi e svolte e ponti,
con paesi piccolini
e città meravigliose.
E i nostri sogni pellegrini
non si stancano mai d’andare
per la traccia di quei cammini,
con le loro bisacce piene
l’una di dolce male
l’altra di amaro bene:
sempre andare, sempre andare,
tutti verso la stella più bella,
che nessuno sa dove sia,
che non si sa neppure se ci sia…
Diego Valeri
Da Poesie scelte (Mondadori)