Fin dalla sua comparsa sulla scena letteraria, nel 2010, con la raccolta di racconti Cronache dalla valle (edizioni Biblioteca dell’immagine, segnalato al Premio Calvino), Antonio G. Bortoluzzi aveva ben chiaro quale fosse il suo universo narrativo, che ha poi continuato a delineare nei romanzi successivi. La montagna intesa non come luogo idilliaco contrapposto alla città o rifugio di pace e serenità dove trovare la propria dimensione immersi nella natura incontaminata, bensì come comunità di persone che lottano insieme, pur negli inevitabili conflitti, per strappare a quella natura, spesso matrigna, il sostentamento, con fatica e tenacia.
La montagna che racconta la vita

Questa realtà, raccontata nelle brevi novelle dell’esordio ricche di personaggi e vicende che ben descrivono, senza alcuna retorica o mitizzazione, la vita difficile e operosa della gente dell’Alpago – dove Bortoluzzi è nato nel 1965 e dove continua a vivere ancor oggi senza averla mai voluta abbandonare – ha preso vigore nelle prove successive, a cominciare da Vita e morte della montagna.
Uscito nel 2013 (sempre edizioni Biblioteca dell’immagine) è un romanzo di fughe e ritorni, in cui affronta proprio il tema di chi, essendosene andato per cercare lavoro in città e con esso il benessere, conosce invece la solitudine di quella vita e si ritrova non solo sradicato, ma deve alla fine riconoscere che le promesse di un mondo “altro” sono state via via disattese rivelandosi illusorie.
Montagna madre di vita

I Paesi alti, titolo del romanzo pubblicato nel 2015 (ancora edizioni Biblioteca dell’immagine), sono lo scenario in cui cresce Tonin, un ragazzino che negli anni ‘50 vive in un borgo sperduto di montagna chiamato le Rive, un piccolo borgo dove vivono solo vecchi, donne e bambini, perché gli uomini sono emigrati in Svizzera. Vecchi, donne e bambini che formano una comunità coesa che cerca di sopravvivere unendo le proprie forze perché solo insieme si possono superare il lungo inverno, il freddo, la neve, la fatica dei campi, le malattie delle bestie e dei “cristiani”.
Tutto questo Tonin lo affronta con gli occhi ingenui dell’infanzia, l’allegria nel godere delle piccole cose, la capacità di sostenere le angherie dei bulletti del paese, i palpiti delle prime simpatie e del primo amore, i silenzi e la durezza di una madre che fa economia anche delle parole, per non dire degli abbracci.
La trilogia della montagna
Questi primi tre libri sono stati chiamati la “trilogia della montagna” nella quale Bortoluzzi ha riportato in luce, facendocelo conoscere dall’interno, con affetto e onestà intellettuale, il mondo ormai perduto delle valli che nella solidarietà fraterna trovava la sua vera essenza, non per bontà d’animo, intendiamoci, le persone sono uguali dappertutto, c’è il buono e il cattivo ovunque, ma per la consapevolezza che solo unendo le forze, dandosi una mano nel momento del bisogno, si poteva sopravvivere in un contesto segnato dalla povertà e dalla scarsità di risorse.

Dalla montagna alla valle
Il romanzo più recente, Come si fanno le cose, approdato a Marsilio e pubblicato nel 2019, sposta il punto di vista. E ci racconta di un sogno accarezzato da due amici, Valentino e Massimo, due operai che lavorano in una fabbrica a fondo valle. Due uomini “stufi marci” della precarietà in cui la crisi economica ha gettato le imprese. Che vivono l’ansia determinata dallo spettro della cassa integrazione e/o del licenziamento. Che sentono sulla propria pelle i rischi determinati dalla scarsa attenzione per la sicurezza sul luogo di lavoro. E che li porta quasi a rivivere una tragedia simile a quella della Thyssen.
La voglia di tornare
Valentino e Massimo sognano di lasciare la fabbrica e di tornare in montagna, ma non a faticare nei campi come i loro nonni e padri. Sognano invece di rilevare un agriturismo e per fare questo ci vogliono soldi, molti soldi. Così decidono di organizzare un furto spettacolare. Complice anche una fatale contingenza (scoprono che in un locale adiacente al loro stabilimento una ditta orafa tiene preziosi di dubbia origine, probabilmente truffaldina).
Un finale a sorpresa
In questa rocambolesca impresa mettono a frutto tutte le loro abilità e il piano procede, con intoppi e imprevisti, fino all’epilogo che tiene col fiato sospeso il lettore fino alla fine.
Un cambio? No!
Un cambio di passo, e felicissimo, questo di Bortoluzzi, che però con i libri precedenti mantiene un filo strettissimo. Quello di aiutarci riflettere su che cosa sia, e sia stata, la montagna. Come vada vissuta e ricordata, come si possa abitarla e viverla oggi che tutto è cambiato.
Riusciranno i nostri eroi a coronare il loro sogno? Beh, per saperlo bisogna leggere il libro.
Grazie gentilissima Annalisa Bruni per questa bella e intensa lettura dei libri e delle storie che ho scritto in questi anni. Un caro saluto a te, e alla redazione di éNordEst, dalle Dolomiti Bellunesi!
È sempre un piacere !
È sempre un piacere !