Invisibili, perché il numero è comunque esiguo rispetto alla popolazione: in Italia le persone affette da Autismo sono oltre 600mila. Secondo l’Osservatorio Nazionale Autismo dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia attualmente si stima che un bambino su 77 presenti un disturbo dello spettro autistico e che i maschi siano colpiti 4,4 volte in più rispetto alle femmine.
La denuncia: ancora al palo la nuova legge sull’autismo

Gabriella La Rovere, medico e giornalista, è madre di Benedetta, che ora ha 33 anni: “La mia vita è cambiata dal giorno della diagnosi della malattia che ha colpito mia figlia, ancora oggi gravi difficoltà permangono – afferma -. I pazienti autistici non sono utili né alle case farmaceutiche né tanto meno alla politica. I genitori, poi, gravati da un dolore profondo e da un quotidiano difficile dove al giorno segue una notte, spesso insonne, non hanno la forza per combattere. Oggi del problema si parla perché giornalisti, personaggi della politica e dello spettacolo hanno messo a disposizione la loro professionalità per combattere battaglie comuni, senza più vergognarsi. I loro figli hanno reso i nostri meno invisibili. Resta il fatto però che la nuova legge sull’autismo, che dovrebbe permetterci di fare un salto di qualità nell’assistenza, è ancora ferma al palo”.
Abbiamo incontrato Gabriella La Rovere* nell’ambito di una campagna di sensibilizzazione promossa da associazione Rete Malattie Rare Odv (https://retemalattierare.it/) che mira a promuovere l’empowerment di pazienti affetti da malattie rare e ultra-rare (due milioni in Italia) e dei loro familiari per un migliore accesso ai servizi e ad una presa in carico globale sul territorio.
Gabriella La Rovere, cos’è l’autismo?

“L’Autismo è un insieme eterogeneo di disturbi del neurosviluppo caratterizzati da deficit persistente nella comunicazione e nell’interazione sociale. Ancora oggi i disturbi dello spettro autistico (dall’inglese Autism Spectrum Disorders, ASD) presentano una complessità di cause tutte da chiarire, sebbene la letteratura recente sia concorde nell’indicare una base genetica e/o l’associazione di fattori ambientali di vario tipo, tra cui infezioni contratte dalla madre in gravidanza, lo status immunologico materno-fetale, l’esposizione a farmaci o agenti tossici in gravidanza e l’età avanzata dei genitori al momento del concepimento. In occasione del 2 aprile, Giornata Mondiale per la Consapevolezza sull’Autismo, la SINPIA, Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, ribadisce l’importanza della diagnosi e del trattamento precoce, così come la necessità di costruire interventi abilitativi personalizzati per ogni bambino e ogni famiglia che se ne prende cura.
Lei è autrice di un libro dal titolo emblematico “Mi dispiace, suo figlio è autistico”(edizioni Gruppo Abele), cosa l’ha spinta a mettere nero su bianco la sua esperienza?

“Il merito è del mio compagno. Era un periodo non facile, Benedetta stava attraversando uno dei tanti momenti di crisi nel comportamento ed io ero sfinita e sopraffatta dal dolore. Una mattina mi ha detto “Perché non scrivi la tua storia con Benedetta?” La proposta mi è sembrata completamente folle, ma avevo bisogno di ritrovare me stessa, di guardare indietro e capire quanta strada avevo fatto, i risultati raggiunti con Benedetta da quella volta in cui un radiologo, guardando la sua risonanza magnetica, disse “Sembra un cielo stellato…è il caso più grave che abbia visto nella mia carriera”. È nato così il primo libro “L’orologio di Benedetta” e poi “Mi dispiace, suo figlio autistico” nel quale alcune notizie in rete e sui giornali mi hanno dato lo spunto per approfondire e riflettere”.
Lei è anche medico, com’è cambiato il suo rapporto con la malattia, dopo la diagnosi di Autismo riscontrata a sua figlia Benedetta?

“La sofferenza di avere una figlia affetta da una malattia rara ha sviluppato ulteriormente la mia capacità empatica che mi è stata utile, non solo sul lavoro, ma nelle relazioni con gli altri. Il 9 settembre 1993, giorno della risonanza magnetica, la mia vita cambiò. Mi trovai di fronte ad una patologia della quale si sapeva pochissimo. L’unica cosa della quale ero certa, grazie ai miei studi, era che, se opportunamente stimolato, il cervello avrebbe potuto creare nuove connessioni sinaptiche in grado di bypassare le zone danneggiate. Ho tanto lavorato su questo diventando nel tempo l’unico medico in Italia con una sola paziente a carico”.
I medici spesso rifuggono da ogni coinvolgimento emotivo, creando però come conseguenza delle difficoltà di comunicazione e relazione con i pazienti, si è data una risposta sulle motivazioni di questo approccio da parte della categoria?

È la vecchia storia che il coinvolgimento emotivo non consente il giusto distacco per una diagnosi. Penso che ogni genitore possa raccontare episodi nei quali l’assurdità di certe affermazioni dette da specialisti contattati perché esperti luminari lo abbia posto davanti al dilemma se ringraziare con un sorriso e andarsene oppure ribaltare la scrivania dando sfogo alle peggiori parolacce. Accogliere il dolore, rassicurare che ogni caso è a sé stante consente di procedere a piccoli passi, di credere che sia possibile spostare una montagna con un cucchiaino”.
Quali percorsi formativi sarebbe necessario attivare nella facoltà di Medicina e nei corsi di Specializzazione per favorire la comunicazione e la relazione tra medico e paziente?

“Credo che sia assolutamente necessaria una formazione di medici e infermieri sui disturbi dello spettro che faccia parte del corso di laurea come esame chiave per il percorso di studi. Ormai è chiaro che la neurodivergenza è un aspetto dell’essere umano, un altro modo di comunicare e di ragionare. Molti di noi ricordano di un compagno di classe, molto bravo nelle materie scientifiche, che stava in disparte e non sempre rideva delle stupidaggini che si dicevano, oppure quella compagna che aveva difficoltà a leggere, nonostante si trovasse alle medie e cinque anni alle elementari sembravano non aver sortito alcun effetto.
Difficoltà vissute con sofferenza psichica, ma che la presenza di un buon livello cognitivo ha permesso di superare trovando delle soluzioni alternative valide. Il discorso si complica quando il disturbo dello spettro si inserisce in un quadro clinico patologico con deficit cognitivo; allora il percorso di cura deve attivare modalità “altre” di comunicazione e deve essere allargato a tutto il nucleo familiare. Voglio fare un piccolo appunto alla psichiatria moderna che ancora inserisce le persone autistiche adulte tra gli psicotici, abusando di farmaci i cui effetti collaterali vengono “corretti” con altri farmaci”.
Nel caso delle malattie rare uno dei gravi problemi si presenta già all’inizio: restano “orfani” di una diagnosi che arriva spesso con grave ritardo. Qual è il consiglio per medici e pazienti?

“Il consiglio che mi sento di dare ai medici è di studiare, aggiornarsi e soprattutto ascoltare quanto riferito dai genitori perché questi osservano il figlio 24 ore al giorno. Per i genitori invece il consiglio è di procedere un passo alla volta e di ritagliarsi uno spazio che possa essere solo il loro, un giardino segreto nel quale coltivare un’attività artistica che consenta di trasformare il dolore e la fatica del quotidiano in arte. È necessario mantenere la propria identità, non essere solo “il papà o la mamma di una certa persona in una situazione di difficoltà”, che, inconsapevolmente, rafforza il senso di colpa di aver generato un figlio o una figlia malata”.
Lei collabora intensamente al sito “Per noi autistici” di Gianluca Nicoletti, quali obiettivi si era posta all’inizio di questa attività?

“All’inizio il mio intento è stato di smascherare le bufale riguardo metodi proposti da ciarlatani a genitori disperati alla ricerca del miracolo che “curasse” il figlio. Uno per tutte un caschetto con elettrodi che era in grado di calmare il bambino oppositivo al costo di poco più di 1200 euro. Venni contattata tramite social da una informatrice della ditta che, nonostante le avessi detto che ero un medico, continuò ad insistere agendo sulla disperazione di avere una figlia malata.
La notizia rimbalzò anche sul “Corriere della Sera” e la truffa venne smascherata, non senza minacce a me rivolte. Ho anche scritto di disservizi del sistema sanitario nazionale riguardo alcuni farmaci antiepilettici che, di punto in bianco, non furono più reperibili. Ero angosciata perché erano gli unici che in qualche modo controllavano le crisi di mia figlia e pensai alle altre famiglie con lo stesso problema. Ricordo che venne fuori una catena di solidarietà con scatole che altre mamme mi spedirono dalla vicina Toscana. Da un po’ di tempo i miei articoli sono divulgativi, spaziano dalla letteratura alla storia e alla storia della medicina”.
Nel sito “Per noi autistici” lei ha pubblicato vari articoli in cui tratta il tema dell’autismo associato ad altrettante malattie genetiche rare…

“Ho riproposto un progetto che avevo presentato in Rai nel 2003 che consisteva in filmati su una malattia rara con interviste ad un clinico esperto nella malattia in questione e al presidente dell’associazione di riferimento; c’era anche un piccolo spazio che raccontava la storia positiva e resiliente di uno dei malati. I filmati vennero trasmessi da Rai Educational. (Di seguito il link che parla di questo RAI Educational: le malattie rare – Superando). Dopo più di 20 anni ho deciso che dovevo riparlarne concentrandomi solamente sulle malattie rare associate all’autismo”.
Può descrivere modelli positivi di comunicazione mediatica realizzata negli ultimi anni? Quali sinergie si potrebbero attivare tra associazioni e a quale tipo di proposte bisognerebbe lavorare insieme sull’autismo?

“All’inizio le giornate di consapevolezza sono state una buona idea per comunicare, riflettere, condividere, progettare, ma nel tempo hanno perso di significato perché sono diventate solo una vetrina per medici e politici in cerca di visibilità. I monumenti colorati di blu non stupiscono né emozionano: i restanti 364 giorni sono di buio. Il nuovo disegno di legge sull’autismo, frutto di un lungo lavoro di ascolto di famiglie, operatori sanitari e terzo settore, è ancora fermo al palo. All’interno ci sono modifiche importanti come permettere al neuropsichiatra infantile di seguire il paziente ormai adulto perché è l’unico che ne conosce la storia clinica e familiare oppure standard seri di accreditamento di strutture che li accolgono in quello che viene chiamato “Dopo di noi”.
Le associazioni sono tante e spesso poco incisive a livello nazionale perché non collaborano insieme, ognuno coltiva il proprio orticello. Non ho visto manifestazioni in piazza, né atti di disobbedienza civile perché i nostri figli abbiano insegnanti di sostegno qualificati, percorsi interni agli ospedali di tutta Italia, affinché non ci sia da attendere ore, possibilità di un inserimento lavorativo ad hoc che dia dignità e senso all’esistenza”
Lei conosce il concorso nazionale “Vi racconto una storia…” promosso da associazione Malattie Rare Odv e giunto quest’anno alla terza edizione. Il concorso ha una sezione dedicata alle poesie e una ai racconti, possono partecipare autrici e autori di opere ispirate al tema delle Malattie Rare e della Disabilità. Pensa che si potrebbero sviluppare delle sinergie nella promozione della partecipazione, vista la sua attività intesa di divulgatrice e scrittrice?

“Sarebbe interessante ricevere racconti anche da scrittori noti che possano attingere alla loro esperienza diretta, indiretta o anche solo frutto di fantasia. Ricordo un bellissimo libro “Mi riguarda” edizioni E/O (1994), un progetto editoriale, innovativo per l’epoca, che raccoglieva contributi di Clara Sereni, Giuseppe Pontiggia, Giancarlo De Cataldo, Ennio De Concini, Isabella Bossi Fedrigotti e altri”.
*Gabriella La Rovere è scrittrice, medico, giornalista. Dal 2015 collabora con il sito “Per noi autistici”, il più importante aggregatore di senso e di cultura sull’autismo in Italia, ideato e diretto da Gianluca Nicoletti.
Ha pubblicato i vari libri, tra i quali: “L’orologio di Benedetta” (Mursia 2014) Premio Giornalistico Argil 2014 per Valori & Umanità, dal libro è stato tratto un monologo teatrale con più di 40 repliche in tutta Italia; “Hello Harry! Hi Benny!” (Mursia 2016), ovvero la corrispondenza tra una ragazza autistica e il suo amico immaginario come nuovo sistema educativo, con la prefazione della prof.ssa Bruna Grasselli e postfazione del prof. Fabio Bocci, docenti di pedagogia e didattica speciale all’UniRoma3; “Mi dispiace, suo figlio è autistico” (Edizioni Gruppo Abele 2019) Premio Speciale Omphalos al XI Premio Città di Grottammare; “Samuel Murhy e io” (Scatole parlanti 2023) Premio “Nuove forme della critica” LXVIII Premio Casentino, Menzione di Merito al XI Premio Letterario Internazionale “Città di Sarzana” e Menzione Speciale II Edizione Premio Maria Francesca Roberti; “L’orologio di Benedetta” (Avio Edizioni Scientifiche 2025) in ristampa.