L’altra sera è intervenuto in una rappresentazione teatrale sui 60 anni dalla tragedia del Vajont e ha portato la sua testimonianza: aveva vent’anni, era stato mandato come fotografo dal suo giornale di Trento per un attentato nel Bellunese, con dieci, forse venti morti. Si era trovato, dopo una notte correndo in Cinquecento tra i monti, in un’alba livida su una pianura di fango già duro che copriva centinaia di corpi. Non c’era stato nessun attentato, non era crollata nessuna diga come si era temuto, ma l’onda aveva saltato la diga e cancellato paesi e popolazione. Giorgio Salomon si era ritrovato testimone di una delle più grandi tragedie e doveva documentarla. Perché la gente conoscesse e perché non dimenticasse. Giorgio Salomon, trentino, 81 anni ricorda tutto di quei giorni nella valle del Vajont. Dice che insieme i fotografi avevano deciso di non fotografare la morte: niente corpi martoriati, niente cadaveri. L’orrore era già così grande che non aveva bisogno di immagini. Dice: “Ho pensato subito a fotografare la vita.
A Longarone non c’era niente, vedevi solo la terra, tutto spazzato via. La gente non sapeva più orientarsi. In fondo al paese c’era una chiesetta con 60 corpi, erano tutti nudi, spogliati dalla furia dell’acqua. C’è una foto alla quale sono rimasto legato e l’ho fatta per i vivi: raffigura una mamma con una bimba in braccio e il marito che regge una gabbietta con un canarino. Se ne vanno per quel deserto e la gabbia è la sola cosa che è rimasta della loro abitazione. Questa foto ha un seguito: anni dopo è diventata la copertina di un libro nel quale la bambina diventata donna raccontava la storia della sua famiglia, i genitori erano emigrati in Austria dove avevano aperto una gelateria”.
La vita raccontata in un libro
Giorgio Salomon ha raccolto quelle foto e tante altre della sua lunga carriera di fotografo prima e cameraman della Rai dopo. Ed è nato un bel libro: “IL reportage di una vita”, Antiga Edizioni, 200 pagine, 33 euro).
Dopo l’esperienza di fotoreporter specializzato nei servizi sugli attentati in Alto Adige che nei primi Anni Sessanta hanno scosso la regione, Salomon è passato nel 1967 alla Rai di Trento e da qui in breve al Tg1 di Roma. “Ho girato il mondo dal Polo Nord al Polo Sud, dalla Foresta Amazzonica ai deserti asiatici. Per me è stata una continua meraviglia”.
Ha seguito per lavoro la guerra nella ex Iugoslavia, quella in Afghanistan e poi le guerre del Golfo, le guerre civili africane, specie in Uganda dove una volta è stato catturato dai ribelli e poi dai governativi, un mese tra una prigione e l’altra, correndo più volte il pericolo di essere ucciso. “I ribelli mi avevano rilasciato solo a patto che la Bbc diffondesse la notizia che un operatore della Rai era stato sequestrato”. Fu un’avventura lunga e pericolosa, nella quale aveva come compagni un autista, un padre comboniano e un funzionario dell’ambasciata italiana. Finì bene con una fuga notturna verso l’aeroporto e il volo per Roma.
Un incidente che gli salvò la vita
Amante della montagna, pochi giorni dopo la nascita della figlia è partito per una spedizione in Perù, un piccolo incidente durante l’arrampicata lo costrinse a tornare al campo base e questo gli salvò la vita: il capospedizione e un suo compagno nella nebbia si persero e precipitarono. I corpi furono ritrovati dopo giorni di ricerche e rimpatriati a spese del governo italiano.
Molti i riconoscimenti alla sua arte, anche se il premio al quale tiene di più è quello della Colomba della Pace consegnatogli dal Premio Nobel e senatrice a vita Rita Levi Montalcini.
La Colombia
Tra i suoi viaggi più recenti ricorda quello in Colombia dove in un posto dal nome stranissimo, Llorò, ha conosciuto un padre missionario, unico bianco tra indigeni e neri, tanto da essere chiamato il “papa bianco”. Vive in una zona tristemente nota per il narcotraffico e per le miniere d’oro. Egli stesso è arrivato per sostituire un missionario ammazzato dai narcotrafficanti.
Tra gli ultimi servizi quelli per documentare cosa era rimasto dei boschi bellunesi dopo la tempesta Vaja e per raccontare la Marmolada dopo la frana che ha travolto anche molte vite umane.
Un libro che racconta la vita fatta di immagini e passione
Il libro è il racconto di una vita e di una passione per l’immagine che non si è mai sopita. Dalle prime foto degli attentati dinamitardi nel Sud Tirolo, a quelle allucinanti nella valle del Vajont, a quelle drammatiche di Trento allagata nell’alluvione del 1966, la stessa che mise in ginocchio Venezia.
Colpisce tra le foto dal Vajont quella in cui si vede una famiglia di tre giovani con borse e valigie, scortata da due militari in tuta mimetica. Attraversano il mare di fango e lasciano per sempre la valle di Longarone. Sullo sfondo soldati che scavano e raccolgono corpi.
Un reportage
Storiche le foto della contestazione studentesca a Trento, degli scontri con la polizia. Degli arresti delle attiviste del Movimento che protestano per i processi per aborto a Trento. Via via le immagini raccontano la storia. Il muro di Berlino, la protesta delle donne in Iran, le donne di Kabul, i bambini dello Yemen e quelli dell’Uganda.
Uomini e montagne, Salomon fotografa con il cuore. Si capisce quando ama il soggetto da come lo inquadra e dal colore o dalle ombre che sceglie. Il suo è davvero “il reportage di una vita”.
Splendido questo articolo.