“Si aprì la terra e vomitò l’inferno!” Così iniziava un racconto di fantasy, di cui non ricordo l’autore, e così si sono stampate in me quelle parole, passando intatte dalla letteratura all’orrore della realtà, ad un clamoroso e mostruoso fatto di cronaca. Ho pensato con quelle esatte parole alla tragica alba di sabato 7 ottobre quando l’orda dei terroristi islamici di Hamas ha superato il confine con Israele e ha seminato la morte nelle terre di confine già insanguinate da un perenne conflitto in una geografia improbabile chiamata La Striscia, un non luogo, una sacca di umanità assoggettata a un regime islamico paramilitare.
Per la prima volta, una minoranza tribale e terroristica ha attaccato scopertamente una maggioranza iper-tecnologizzata, il nano ha aggredito nel suo territorio il gigante, il primitivo ha sorpreso il moderno dispiegando nell’azione una ferocia che viene da una conflittualità che sembra senza fine e crea angoscia nel mondo. La benzina dell’odio ha alimentato il fuoco di una sete di vendetta che ha partorito una carneficina che non è più guerra ma pogrom (“Prendi quell’ebreo!”).
La furia omicida, belluina si diceva un tempo non sapendo che le belve non uccidono per odio o per vendetta: “Belve umane”. È stato detto: “Chi mastica odio, avvelena l’anima”, e, aggiungo io, il fanatismo religioso fa il resto, fino all’impensabile efferatezza sui bambini, ennesima Strage degli innocenti.
La sorpresa, violenta e universale, ha un risvolto che sa di incredibile, di tragica fantascienza: il blitz è stato condotto con due armi sofisticate, droni e razzi – una vera tempesta – ma sono stati usati anche tanti mezzi del trasporto civile trasformati in strumenti per il massacro: dalle grosse moto sportive ai pic up, dagli aquiloni incendiari ai deltaplani a motore il cui sinistro ronzio li ha fatti somigliare a draghi volanti.
E dal ventre della terra, dal labirinto dei cunicoli di Hamas, sono uscite “forze oscure e criminali” che minacciano anche noi con la loro carica di disumanità, e ci teniamo stretti al nostro “vivere democratico”, custodi di una pace ovunque in pericolo.
Un altro ottobre, lontano (1999)
Chi ha visitato la Terrasanta da turista o in pellegrinaggio, come l’Anonimo, ne ricorda oggi, per contrasto, il grande cielo di puro azzurro, le impronte archeologiche del passato più arcaico ovvero la terra di Canaan, l’entrare a piedi nudi in luoghi sacri come la Moschea e il Giordano, il silenzio in mezzo al lago di Tiberiade ascoltando il racconto evangelico mentre il vento improvviso fa rabbrividire le acque. E poi la traversata del deserto fino a Gerico, fino a raggiungere “la spiritualità” che per Yehoshua coincide con Gerusalemme “forse nel suo nome stesso”, ha scritto Yehoshua. “Esso solo ne è la trama, l’essenza, quel nome è più grande di ogni edificio, di ogni moschea, delle mura e delle chiese” (Il signor Mani, Einaudi 1994).
C’era tregua, in quel lontano ottobre, e il viaggio si è compiuto senza minacce in una geografia sacra e drammatica fino all’urto emotivo nel Museo dell’Olocausto, con il terribile Memorial dei Bambini trucidati dai nazisti. Il pianto – allora come oggi – non lascia in disparte il deposito del tempo, “il crocevia affollato dalla Storia” (G. Ravasi).
E “la bellezza della pace” (W. Veltroni) che ci ha accompagnati per otto giorni nel luminoso autunno del ’99 ha reso ancora più bella e sacra quella terra “amata da Dio”.
La città annodata
Per capire, e un poco anche amare, le nostre città, in particolare quelle in cui viviamo, forse dovremmo leggere o ri-leggere un vecchio libro di Alberto Savinio intitolato Ascolto il tuo cuore, città, ripubblicato con tutta la narrativa dello straordinario scrittore-pittore, nella Biblioteca Adelphi. Il titolo, bellissimo, mi è tornato in mente dopo il tragico schianto dell’autobus sul cavalcavia di Mestre, la sera del 3 ottobre. Mi sono chiesto quanto siamo consapevoli dell’ambiente urbano, della sua geografia (che rinvia alla sua storia), del suo tessuto punteggiato da tanti nodi e snodi…
Da giovane cronista approdato a Mestre dalla provincia, ho raccontato il Cavalcavia come organismo architettonico non solo di servizio alla città ma “abitato”. Oggi forse pochi ricordano che, incorporata al Cavalcavia, c’era la Vempa. Cioè una concessionaria d’automobili con bar, e un altro bar con biglietteria Siamic sulla rampa da Venezia dove fermavano i filobus. Fra il primo e il secondo livello c’era una passerella pedonale usata da chi scendeva alla fermata delle autocorriere provenienti dalla terraferma. E ancora: sotto la struttura multipiano, a livello del suolo, c’erano parcheggiate vecchie automobili e piccole attività artigianali, e trovavano rifugio i clochard e altri disperati.
Oggi il vento dell’autunno porta laggiù fra i piloni di cemento le prime nebbie e disperde le ombre di ventuno vittime della strada.
Nascondersi non è un gioco
La discussione sulla sorte del murale “Bambina migrante” del misterioso street artist Banksy dipinta sulla facciata d’una casa a Venezia e intaccato dalla salsedine del rio in cui si riflette, ha rimesso in primo piano due argomenti. Quello sugli autori anonimi, cioè “coperti” da uno pseudonimo (è il caso, per restare in Italia, di Elena Ferrante). E quello sul “destino mortale” di opere effimere quali sono, appunto, i dipinti murali (e dunque il caso Banksy, doppiamente coinvolto nella campagna di stampa nazionale).
In poche parole: trovo bella, oltre che legittima, la “resistenza” di uno scrittore alla curiosità dei suoi lettori. Ai quali, volendo essere realisti, si rivela nelle sue creazioni letterarie. Il nascondimento, poi, ha un effetto collaterale che il critico d’arte Vincenzo Trione ha così sintetizzato.: “Nella civiltà dello spettacolo, meno si appare e più si esiste…”.
Lo stesso vale per chi si nasconde dietro il nome Banksy, con l’aggiunta, nel caso della sua “ostinata clandestinità”. Che il dilemma salvare il murale o lasciarlo svanire dovrebbe essere affidato all’autore stesso: ma lui, al rumore mediatico risponde con il silenzio.
Vieni a vedere la luna
(poesia)
“Vieni a vedere la luna:
mai grande come stasera,
ci illumina la via
più della luce regale
del sole al tramonto”.
La tua voce è volata
(calda e urgente)
dalla finestra al cuore
della casa, e al mio.
Tu, aralda della luna,
sei come un filo d’oro
che lega il cielo e noi.
Magia di luce dorata
che apre caldi ricordi:
Lei sempre uguale, noi mutanti.
Anonimo ‘23
Ivo non è solo giornalista e nemmeno solo scrittore . Ivo è animato da Calliope e riesce a raccontare le brutture di questo mondo attuale con una sobrietà che gli è stata donata proprio dalla Musa , o dal Creatore .È un’arte che non.si impara a scuola . O ce l’hai o non ce l’hai . Io sono convinta che solo l’arte potrà cambiare il mondo .
Mi trovo bene nei tuoi “pensieri”, perchè ci trovo sempre qualcosa di famigliare. Non commento quest’ultima guerra, perchè è incommentabile.
Ma ritorniamo su banksy, misterioso artista di cui non si conosce la provenienza, ma le cui opere si incontrano ovunque – ce ne sono di tenerissime anche nella mia Basilea a nord della Svizzera! Un famoso sconosciuto!
E poi la luna, altra apparizione misteriosa, ormai visitata e scoperta, ma sempre lontanissima per noi comuni mortali, e con la sua luce argentea, bellissima, di cui sto raccogliendo foto da ovunque per farle apprezzare sullo STATO del telefonino!
Dai tempi del liceo ricordo una poesia in inglese di De la Mare, “Silver”, che inizia:
“Slowly silently now the moon
goes through the night in her silver shoon …” .
Il nostro compito era di tradurla in tedesco, e il premio per il lavoro migliore era il primo volumone di “The works of William Makepeace Thackeray”, intitolato VANITY FAIR e edito a Londra nel 1880 – volume che ho vinto io, con dedica del nostro professore, uomo timido con grossi occhiali bordati di nero, bravissimo e indimenticabile!
In verità, ammetto che ancora non ho avuto il coraggio di leggerlo tutto, stampato all’antica con lettere minuscole!
Sempre attenta lettrice. I commenti si mescolano alle ricche esperienze personali. Grazie.