“Nina Ticket ricordi? quanti ani ghe gavemo messo…”. Massì, facciamo un po’ di ironia sul ticket di ingresso, motteggiando la famosa canzone di Gualtiero Bertelli del 1966. Così, se non viene da piangere, almeno ridere un po’ sulle contraddizioni politiche a Venezia.
Il ticket ai tempi di Rigo


Era il 1983 quando lo scoppiettante sindaco socialista Mario Rigo (giunta di sinistra Pci-PSI) propose, dopo la felice idea del Carnevale, quella meno popolare di introdurre il ticket d’accesso alla città. Già allora (40 anni fa…) il turismo di massa cominciava a creare intralci e problemi. Si iniziò a parlare di “inquinamento turistico”.
Rigo, suggeriva un ticket di 5mila, 10mila lire (i nostri cinque euro di oggi, la storia si ricicla vichianamente parlando…). E, ricordava l’ex sindaco nel 2018, poco prima di morire: “La cultura del numero chiuso a Venezia era favorevole. Unesco, Italia Nostra, contessa Foscari-Foscolo, avvocato Milner, Alvise Zorzi, ecc”.
Dal ticket alla venicecard


In quello stesso anno, un vero guru italiano della politica, Bruno Visentini, all’epoca consigliere comunale per il PRI, partito repubblicano, lanciò l’idea di uno “status speciale” per Venezia, città fragile e moribonda. Venezia come Montecarlo, con privilegi e sgravi fiscali. Qualche tempo dopo, due docenti di Ca’ Foscari, studiosi di turismo (Paolo Costa, poi sindaco 2000-2005 e Jan Van Der Borg) analizzando i flussi turistici e la fragilità del centro storico, fissarono il limite di sopportazione a 12 milioni di turisti all’anno. Oggi sono tanti di più. I residenti tanto di meno. Proposero, come soluzione, la Venicecard. Ma fu una vera delusione tecnico-operativa.


Durante la prima giunta Cacciari (1993-2000) il vicesindaco Michele Vianello del PDS, ricicciò il progetto con la Venice Connected Card. Con prenotazioni obbligatorie via internet. Altro flop. Il terzo tentativo: VeneziaUnica, non produsse granché.
Ci si mettono in mezzo anche i sottosegretari


Nel 2014, addirittura, il sottosegretario all’economia del ministro Padoan, il veneziano Enrico Zanetti, disse, papale-papale: “Un ticket di ingresso? Perché no. Parlare di pagamento evoca Gardaland, ma la realtà è che l’effetto Venezia come Gardaland già esiste. Con l’aggiunta dell’invasione degli ambulanti abusivi”.
Anche il presidente della Biennale, Paolo Baratta, dieci anni fa, disse la sua, ipotizzando una City tax per la Città. Appoggiato all’epoca dal sindaco Paolo Costa: “È necessario indicare un tetto massimo d’accesso e quindi stabilire un eventuale prezzo del ticket”.


Più incisivo, sempre nel 2014, il sottosegretario Pd Ilaria Borletti Buitoni (governi Renzi, Letta, Gentiloni). “Venezia è un fragilissimo museo a cielo aperto. Una città che sta sparendo. Per questo l’istituzione di un biglietto d’ingresso non mi scandalizza”. Molto più coerente invece il sindaco (2010-2014) Giorgio Orsoni (Pd), che a New York, pressato dalla storica dell’arte Bonnie Burnham, all’epoca potente presidente del World Monuments Fund, che lo richiedeva esplicitamente, si disse contrario al ticket d’ingresso. La Burnham voleva inserire Venezia nei 67 siti storici e archeologici di rilevanza mondiale più e rischio. I tempi cambiano, l’idea del ticket rimane.
Venezia salvata dal Comitato World Heritage


La cronaca di oggi arriva da Riad. La 46esima assemblea del Comitato World Heritage, ha votato all’unanimità, su proposta del Giappone, di non inserire Venezia nei siti a rischio assieme alla Siria, alla Libia e all’Afghanistan…


Qualche veneziano polemico ha già detto la sua. Il sindaco Brugnaro ha amici in Giappone…Ciao core.