Rigorosamente “a distanza”, le voci corrono e rivelano persone e storie che si somigliano e non sono mai uguali. Una dice, testualmente: “Ci siamo dentro, come in una bolla”, e nel pensiero si forma l’immagine di lumache spaventate che si ritraggono nel loro guscio… E qui parlano due filosofie: ci si rintana in una bolla psichica per ritrovare sé stessi con la forza della ragione, oppure ci si lascia andare al puro istinto, fisico, animalesco mentre fuori impazza l’oscura compagna dei nostri giorni. Come se “le ultime vicende ci abbiano trasportato in una bolla invisibile di istituzione totale” (G. De Rita, Corsera).
Non solo voci, ma altri suoni annunciano un destino, e significano drammi in corso: è l’ululato delle sirene, che sale dalla strada sotto casa o nei dintorni: sono le frequenti autoambulanze che sinistramente urlano, e viene spontaneo pensare “per chi suona”, in quegli attimi, la sirena. Per noi, risponderebbe il poeta, per suscitare la nostra pietas.
Andare in letargo
Ah, potersi sganciare da questo martoriato, infetto e forse immutabile presente: siamo così compressi nell’anima, che il pensiero di uscirne, di errare nel sogno o nella realtà inventata è forte e diffuso. Dice: se ci fosse la possibilità di fare come gli orsi e andare in letargo, la bufera pandemica ci passerebbe sopra senza infettarci. Dormire, sognare forse, risvegliarsi senza paura.
Un pensiero da bambini: diventare invisibili e così evitare di incontrare l’orco-Covid. Anche la letteratura ha narrato questa scorciatoia che aiuta a liberarsi dal peso del tempo in cui si vive: nell’Odissea, Omero racconta l’incontro di Ulisse con il popolo dei lotofagi, così chiamati perché mangiavano il frutto del loto che induceva in loro l’oblio, sollevandoli così dalle angustie del vivere. Un mito antico per una condizione attuale…
La luce, il tunnel
Il saggio Yoda, che vive nell’oltremondo, medita sul mondo terrestre e sul presente, e ci sprona con parole antiche: “Non siete nati con il virus addosso” dice. E ancora: “Non imprigionatevi con le vostre mani”. Pensieri che riguardano il nostro umanissimo e vischioso rapporto con la vita. Parla poco, ma proprio per questo dovremmo ascoltarlo, almeno qualche volta pensando all’epopea stellare da cui proviene. Non parla, il venerando, del suo presente, che è “il futuro più fantastico”: in realtà, le sue meditazioni riguardano solo noi: dal suo sito cosmico ci osserva con discreta empatia e l’epidemia lo trova schierato contro il mostro che ci affligge. “Ho incontrato e combattuto tante forme di vita, anche molto pericolose” dice, “e sono qui, vivo, a ricordarlo. Meditate, umani, meditate!”
Fino a quando…
Comincia nella mente dei cittadini come risultato del tormentone quotidiano: quando finirà questa riduzione della libertà, cioè della stessa nostra vita condizionata, poi la domanda viene fuori: fino a quando? E’ il nostro modo di misurare il tempo, ma l’ora e il giorno sono lontani… La risposta non c’è, o è generica e comunque parla sempre di emergenza. Un vizio nostrano è che mettiamo l’emergenza in ogni ambito, liberata dal suo significato originale. Così ne parla il card. Galantino: “L’emergenza ci pone di fronte, talvolta in modo violento oltre che imprevisto, a un mondo reale che non si lascia chiudere nella nostra capacità di programmazione” (IlSole24Ore).
Un articolo degno di nota che merita senza dubbio la lettura…complimenti!
Come sempre speciale, caro Ivo!
Grazie!