La città più bella del mondo è disagiata. Non è un ossimoro. È quanto si deduce dalla cronica mancanza di medici. Nessuno vuole lavorare a Venezia, tanto che una simpatica e artistica performance nella facciata della Scuola Grande di San Marco, secolare sede dell’ospedale civile, per attirare medici, ha fatto arrabbiare perfino l’ordine professionale di Napoli. Concorrenza sleale, dicono.
A parte gli scherzi il problema è serio. Alla Ulss n.3 Serenissima, ci sono 44 medici di base che andranno in pensione. Tra centro storico, Mestre e dintorni, oltre la metà supera abbondantemente i 1500 assistiti. Interi quartieri sono in sofferenza. Ora l’invito- spot con tanto di slogan accattivanti (“Dottore, la più bella città del mondo ti aspetta”, oppure, “Portaci la tua professione, a tutto il resto pensa Venezia!”) ha avuto un certo successo con un centinaio di possibili adesioni.
Ma i medici sono pochi in tutta Italia – insistono a Napoli – così viene penalizzata l’offerta per i cittadini del sud. Gli oltre cento candidati che si sono prenotati arrivano dal Brasile, dall’Europa dell’est, dal Medio Oriente.
Venezia disagiata
In generale, è il Nord Italia che soffre di più. Mancano 2.900 medici, entro il 2025 è prevista la pensione per altri 3.400. Le cause di tale mancata programmazione sono antiche, alcune facilmente prevedibili. Siamo il paese europeo con la maggiore età media (48 anni), con la più grave decrescita demografica e dove nascono meno bambini. Addirittura da primato mondiale. Solo in centro storico a Venezia oltre metà della popolazione supera i 65 anni. E dove ci sono anziani l’assistenza medica triplica rispetto alle giovani generazioni. Mancano in ordine di numeri professionisti a medicina d’urgenza, anestesia-rianimazione, medicina interna, cardiologia, psichiatria e chirurgia generale.
Altra causa: la creazione del numero chiuso alle facoltà di Medicina. Pensata nel 1987 dal ministro democristiano Ortensio Zecchino. Iniziativa per cui dovette intervenire la Corte Costituzionale. Nel 1999, ministro Rosy Bindi, con il decreto legge n. 299 divenne realtà. E pensare che ai tempi del ministro Zecchino le facoltà di Medicina soffrivano per un eccesso di iscritti. Nel 1969, sotto la spinta sessantottina, bastava un diploma tecnico per iscriversi in qualunque facoltà. Prima per molte bisognava avere il diploma del liceo classico.
Tutta la sanità disagiata
Fatto sta che a distanza di quasi mezzo secolo, nel 2024, secondo l’associazione Anaao Assomed, ci saranno in Italia 40 mila medici in meno. Altro dato catastrofico: su circa 400 mila medici italiani, solo il 56% ha meno di 59 anni, il 44 più di sessanta. E su cento medici andati in pensione nel 2022, in media nazionale, 10 non sono stati sostituiti (in Campania, Lazio e Sicilia però la media super il 30). Sono dati Agevas, ovvero agenzia servizi sanitari regionali che risponde direttamente al Ministero. A parte i pensionamenti, sono quasi 9 mila i medici che si sono dimessi dal Servizio sanitario nazionale per passare al privato.
Nel monotono dibattito se ha più colpe la destra o la sinistra, Rosy Bindi in una recente intervista ha dato la colpa di questa emergenza nazionale al blocco dei turn over voluto dal Governo Berlusconi nel 2005. Si dimentica però di precisare che tale decreto fu riconfermato dal Prodi 2, Berlusconi 3, Monti, Letta e Renzi.
Altra piaga la situazione dei Pronto soccorso
A livello nazionale mancano 4.200 medici con turni massacranti e alto rischio contenziosi giuridici e aggressioni fisiche. Per lavorare nelle emergenze ci vuole innanzitutto una robusta assicurazione privata. Ricordo all’ospedale di Mestre, dopo ore di coda, un giovane medico stressato mi confessò che l’alto rischio veniva compensato dalla remunerazione a gettone! Con le Coop di riferimento che ci guadagnavano sopra. Più disagiata di così!
In questi ultimi dieci anni sono stati chiusi oltre 100 ospedali (Venezia ne sa qualcosa) ed eliminate 11 aziende ospedaliere. Cancellate 85 unità mobili di rianimazione. In tutto persi 37 mila posti letto negli ospedali pubblici.
Consoliamoci con un’unica buona notizia: la sanità veneta è la prima per efficienza in Italia.