Su Netflix, come chissà quanti altri, recentemente ho visto e sofferto un film drammatico che si intitola, in italiano, Le nuotatrici. È la storia di due atlete siriane che, sfuggendo alla guerra civile, si avventurano sulla via dei migranti per raggiungere la Germania: imbarco su un gommone pagato salato e, dopo una tempesta, sbarco nell’isola greca di Lesbo, approdo di tanti disperati e poi proseguimento del calvario in terra ferma. In breve, arrivano a Berlino. Una di loro partecipa ad una gara internazionale di nuoto nella squadra degli atleti profughi: e la loro storia si conclude vittoriosamente.
Quello che convince, nel film, è l’estremo realismo del racconto di quel viaggio della speranza, dominato dalla precarietà di tante esistenze, macchiato dalla brutalità di diversi profittatori: in altre parole, è un episodio della storia della grande migrazione della nostra epoca.
In particolare, ci sono due scene per me indimenticabili: l’incontro delle nuotatrici con i migratori di provenienze e con mete diverse, il loro commovente cercare di capirsi, ciascuno umanamente curioso di sapere con chi sta condividendo un viaggio che può essere fatale: e tu come ti chiami, da dove vieni, dove vai? Parlavano lingue diverse, ma riuscivano a crearne una propria, la lingua della sopravvivenza: era la sconfitta di Babele…. E poi, sul gommone li hanno stipati come sacchi di mercanzia di zero qualità e mandati allo sbaraglio; eppure sentivi la loro solidarietà, la consapevolezza di essere uguali, una famiglia temporanea che arranca tra i flutti o per chilometri nel fango, uno scampolo di umanità con al centro un bambino di pochi mesi, piccola “comunità di destino” come direbbe il grande Edgar Morin.
Questa espressione mi riporta alla nostra realtà, ai suoi rischi e alle sue tragedie
Mettiamola così: noi oggi veniamo non da un luogo come la Siria sotto il tallone di ferro di un autocrate ma da una condizione, quella della pandemia di Covid che dopo tre anni di flagello mondiale proprio in questi giorni è stata ufficialmente dichiarata finita mentre il virus, ahimè, continua ad attaccare e infettarci.
Come i migranti salvati lasciano nella scia dei barconi i dispersi, gli insepolti, così noi sfuggiti al contagio lasciamo migliaia di fantasmi a popolare il nostro passato nel lockdown. Il vivere, allora, è stato per tutti un sopravvivere; chiusi alle relazioni quotidiane, abbiamo consumato il tempo giorno per giorno vivendo nell’attesa allarmata di vedere la vittoria sul morbo. Eravamo isole di un arcipelago in un mare pericoloso: ci siamo parlati dalle finestre, abbiamo perfino cantato e sventolato bandiere; facevamo gesti che venivano da una “forza coesiva” o meglio, dalla consapevolezza che il virus colpiva a caso, e questo ci affratellava nell’angoscia dell’insicurezza. Le nostre storie personali tra disperazione, morte seriale e speranza si sono legate alle storie degli altri creando una bolla di fraternità assediata dalla velenosa narrazione dei no vax.
Un incontro a… fumetti
I cinque giorni del torinese Salone del Libro (18-22 maggio) sono fonte di ricordi per me come per qualunque cronista culturale che un giorno si immerge in una Fiera piemontese, caotica e affascinante, consacrata alla parola scritta in tutte le lingue: nella mia prima kermesse editoriale si addensavano migliaia di visitatori sconosciuti e questa folla mi procurava un senso di spaesamento. Mi bastava incontrare un volto conosciuto se non amico e proprio mentre ero in questo stato d’animo ho visto tagliare la folla la figura massiccia di Hugo Pratt. Mi sarei aspettato un romanziere o un grande editore, ma lui era un grande narratore e amico, e questo mi ha aperto il Salone, il primo della fortunata serie.
Quando i nostri sguardi si sono incrociati, siamo scoppiati a ridere e ci siamo quasi abbracciati forse anche lui si sentiva spaesato? Non importa: era lì, con un libro su Corto Maltese in mano ed è scattata l’intervista. Non ricordo quasi nulla di quel dialogo immersi nel brusio di migliaia di altre voci, ma sapevo che Umberto Eco aveva detto di Pratt: “se desidero impegnarmi leggo Corto Maltese” e Hugo aveva detto “Il mio disegno cerca di essere una scrittura. Disegno la mia scrittura e scrivo i miei disegni”.
Era mia convinzione, allora e ancora oggi, che le sue avventure su oceani e lagune avessero una magia e un valore letterario, e quella mattina, lì a Torino, lo stesso Pratt mi ha chiarito che “io faccio della letteratura disegnata”. Il resto era sottinteso: il famoso fumettaro veneziano era un autore del Salone del Libro.
Barrio reconquistado
(poesia)
Nessuno vide la bellezza delle strade
fin quando spaventoso in fragore
si abbatté il cielo verdastro
in un rovescio d’acqua e di ombra.
Il temporale fu unanime
e detestabile agli sguardi fu il mondo,
ma quando un arco benedisse
coi colori del perdono la sera,
e un odore di terra bagnata
rianimò i giardini,
uscimmo a camminare per le strade
come su un recuperato possedimento,
e nei vetri ci furono generosità di sole
e nelle foglie lucenti
disse la sua tremula immortalità l’estate.
Jorge Luis Borges
Da Tutte le opere, I Meridiani Mondadori 1984