Il lavoro pittorico di Caterina Margherita è un pensiero che vuole restare in cammino. In mostra alla Made..in Art Gallery di Venezia, in campiello dei Lavadori de Lana (nei pressi di Piazzale Roma), la sua personale Momenti, a cura di Chiara Boscolo, ripercorre gli ultimi dieci anni di questa artista interessante, preziosa sia per le tecniche che utilizza, sia per i contenuti del suo percorso.
Conoscere Margherita

È l’occasione giusta per conoscere le tematiche che la contraddistinguono e il medium, di rado utilizzato in epoca contemporanea: l’artista, infatti, opera ad encausto, metodo antico in cui i colori vengono miscelati alla cera a caldo, permettendo la fusione dei pigmenti e garantendo tinte di particolare lucentezza e stabilità. Si pensi solo agli oltre seicento dipinti ad encausto su tavola rinvenuti nella necropoli di Fayyum in Egitto (tra il I° e il III° secolo d.C.) o alle decorazioni murali, splendidamente conservate, di Pompei ed Ercolano.
Come lavora

Caterina Margherita rivisita la tecnica con una specificità tutta sua, utilizzandola su telai ideati appositamente o su lastre di vetro (che, in questo caso, vengono successivamente montate su light box).
Chi è Margherita

La vicenda artistica di Caterina, che è nata a Londra nel 1979, ma vive e lavora a Venezia, ha radici solide: diplomata in scultura all’Accademia di Belle Arti, ha svolto sperimentazioni in Italia e all’estero, in una sintesi perfetta tra semplificazione grafica e resa scenica.
Momenti

Momenti presenta diversi gruppi tematici di opere su tela: la raffigurazione della fauna che popola l’ambiente lagunare (formidabili meduse, garzette e ratti); visioni di paesaggio, acquatico e montano, tra cui quella, recentissima, che dà il titolo alla personale; uno splendido albero e il suo bozzetto; la serie Vintage chairs, dove l’oggetto-sedia fluttua in uno scenario neutro, senza punti di riferimento; infine, una grande opera dedicata a Bologna, dalle tinte calde.
Il lavoro che c’è dietro
La curatrice, in una Lettera indirizzata all’artista, commenta: «Lavorare con Caterina non è mai piatto e banale o prevedibile, è un continuo scoprirsi ed emozionarsi davanti alle sue opere …». Potremmo aggiungere, con il poeta Silvano Martini (e mai citazione si adatta tanto bene ad un’artista) che «l’esperienza creativa è andare verso qualcosa e, nello stesso tempo, costruire quella cosa stessa».
Guardare oltre Margherita
C’è qualcosa di ancor più profondo della percezione spaziale, nei lavori di Caterina Margherita, qualcosa che li rende unici, come una meditazione. Forse perché è il silenzio il luogo del suo segno. Esiste nelle tele – anche nella più chiara e lucida, nel brillìo delle meduse nell’acqua che la cera agglutina – una zona d’ombra che pare sfuggire alla limpidezza degli strumenti. È lì che il linguaggio di Caterina è spinto a rovesciarsi nell’indicibile; è lì che i suoi encausti generosi si sottraggono alla pura esteriorità. Percepiamo un vuoto, che non è certo assenza di significati, quanto un abbandonarsi al volo, all’Aperto. Ogni cosa – la sedia solitaria, l’uccello, l’albero, l’orizzonte della città – è consegnata al suo assoluto, e percorsa da un tremito che ci commuove.
L’opera

L’opera è corpo dell’artista che guarda, che respira e vola. La mano di Caterina che mischia pigmenti e cera, tempo e spazio, definisce la trama di vene e arterie, l’intesa silente tra il battito del cuore ed il fluire della linfa nell’albero. Il ritmo del suo andare, allora, non è scansione di un ordine logico che osserva e restituisce, ma relazione con quel silenzio, con la dissonanza che è propria dell’umano, con il balzo emotivo e la variazione.
Caterina e Margherita
La visione di Caterina non è il vento che scuote l’albero, qualcosa che giunge dall’esterno, ma il respiro dell’albero stesso; non è la forma del suono, ma il suo principio; non la luce che lo inonda, ma la sua fonte. Nell’incavo del tempo, l’immagine – per lenta fascinazione, nello spessore latteo della cera – racconta i segreti delle cose. Quelli innocenti, l’istante di meraviglia che è pienezza di tutti gli sguardi, ma anche le ombre di ogni nascita, le derive, la ragione incompiuta delle origini. L’istante in cui il fuoco tempra la struttura, e fa la differenza.
Bell’articolo e bellissimi dipinti…quello con la sedia mi ricorda qualcuno…