Com’era la principessa? Bellissima. Con lo sfondo del bacino di San Marco, affogato nel sole, sembrava uscita da una favola. Aveva ventiquattro anni, un abito blu stretto in vita e occhi azzurri luminosi, così solare e lontana che era perfino strano sentirla parlare. Soprattutto in italiano.

Lady D e San Marco
Diana Spencer, ormai principessa di Galles, quel pomeriggio di maggio del 1985 era a Venezia per il suo secondo viaggio di nozze. S’era sposata a vent’anni, il 29 luglio del 1981, nella cattedrale di San Paolo a Londra con il principe Carlo, primogenito della regina Elisabetta. Ed era stato, come continuavano a ripetere i settimanali di gossip, veramente un matrimonio da favola, preceduto da una storia fatta apposta per la letteratura rosa: c‘erano il solito principe azzurro a cavallo; la complicità di una battuta di caccia alla volpe; il colpo di fulmine (che in questi casi non manca mai) per una delle figlie dei conti Spencer. Non per la più grande però, che già conosceva, ma per la più piccola, Diana, raggiante nella sua splendida giovinezza. Una storia d’amore che somigliava tanto a quella di un secolo prima, tra Francesco Giuseppe d’Austria e la principessa Sissi di Baviera.
Quel viaggio a Venezia giovanissima
Diana era allora poco più di una ragazzina, aveva soltanto sedici anni e Carlo doveva veramente esserle apparso come il principe tante volte sognato. Quello che in alta uniforme, quattro anni dopo, avrebbe fatto di lei un’altezza reale, con tutto il fasto che è di rigore in questi casi, ed una partecipazione planetaria. Il loro sì, grazie alla televisione, era stato seguito in 750 milioni di case; 600 mila persone si erano riversate lungo le strade di Londra ad applaudire la carrozza reale; re e capi di stato di tutto il mondo affollavano i banchi della cattedrale. Diana o meglio ancora Daiana, come nella famosa canzone di Paul Anka, aveva conquistato il cuore di tutti ed era allora tra le donne più ammirate e invidiate del mondo. Senz’altro la più fortunata ( e mai le apparenze ingannarono tanto…) per aver sposato lo scapolo d‘oro di quegli anni: l’erede al trono d’Inghilterra.

Il Bacino San Marco la accoglie con maestosità
Adesso era qui sul ponte del Britannia, il glorioso panfilo reale con cui era arrivata in laguna, ancorato in Riva degli Schiavoni. Già al mattino, pazienti fotografi appollaiati sulle briccole vicino a San Giorgio, erano riusciti a riprenderla col teleobiettivo, mentre assisteva col marito alla partenza della Vogalonga. Ma si trattava di immagini, appunto, prese da lontano. Che non potevano rendere in pieno il suo fulgore di giovane sposa. Era felice? Stando alle indiscrezioni di un impeccabile capitano di fregata, che si era autonominato addetto alle informazioni, pare di si. I due, per tutto il viaggio dall’Inghilterra – diceva- non avevano fatto altro che cercare di star soli come due piccioncini. Forse aveva esagerato, forse qualcuno gli aveva imposto di dire così, ma non c’era motivo, allora, di metterlo in dubbio. Anche perché nello sguardo della principessa non c’era ancora quell’ombra di sottile malinconia, che ne avrebbe poco tempo dopo aumentato il fascino. In ogni modo, adesso, sull’affollatissimo ponte di prua della nave sembrava appena uscita da un giornale di moda. Alta, slanciata come un’indossatrice, i corti capelli biondi che ne esaltavano gli occhi e la parure di zaffiri, l’aria timida che la faceva ancora più bella.
Il protocollo

Stando al protocollo, era il suo primo incontro con la stampa italiana ed i giornalisti intervenuti erano stati selezionati con cura. Per la Rai era stato ammesso soltanto il Tg1, che aveva inviato un giornalista della sede veneziana, un operatore ed uno specializzato di ripresa. Adesso avevano tutti e tre un vistoso pass appeso al collo (che un baffuto sergente maggiore dei marines reali aveva controllato con attenzione prima di farli salire a bordo) e si guardavano perplessi. Va bene per le immagini, ma per il sonoro, a far le cose come si doveva, bisognava per forza agganciare sul vestito della principessa un microfonino. S’era sempre fatto così con tutti e non c’era motivo di cambiare adesso. Perciò, manco a dirlo, l’anziano specializzato che quell’operazione aveva già compiuto centinaia di volte, era partito subito deciso verso di lei per agganciarglielo al vestito.
In Bacino al diavolo la buona educazione
Solo che appena cinque passi dopo era stato bloccato, quasi placcato, dal solito capitano di fregata adesso sull’orlo di una crisi di nervi: “Ma come osate avvicinarvi alla principessa! Fermi dove siete! il protocollo non lo prevede! Dove credete d’essere!” urlava a mezza bocca (che com’è noto è il modo internazionalmente più efficace per rischiare di strozzarsi). Secondo lui la stavamo facendo veramente grossa, infischiandoci della buona educazione e soprattutto del rispetto dovuto ad un componente della famiglia reale: “Nessuno può avvicinarsi alla principessa, continuava, e tantomeno metterle le mani addosso. In Inghilterra, per queste cose (ma ormai nella foga parlava solo in inglese) è d’obbligo usare solo le “giraffe” che mantengono le distanze”.
In Bacino San Marco ormai la brutta figura era fatta
Certo era una brutta figura, da provinciali allo sbaraglio, ma di sicuro non la fine del mondo e quando si lavora, lo insegnavano i vecchi del mestiere, la cosa più importante è non fermarsi davanti agli imprevisti. Anche quelli più antipatici. Perciò, bene o male, avevamo incassato tutto. Come televisioni, per raccogliere le dichiarazioni della principessa Diana a bordo del Britannia eravamo stati scelti soltanto noi e una troupe della BBC inglese e in un modo o nell’altro lo avremmo fatto. Perché, dimenticavo di dirlo, solo di questo si trattava, gli accordi per salire a bordo tra ambasciata inglese e direzione generale Rai erano stati chiarissimi: non si trattava di un’intervista e non erano previste domande. Le altezze reali avevano voluto quell’incontro per ringraziare, naturalmente in inglese, di tutte le calorose attenzioni ricevute al loro arrivo in Italia. Il discorso era già pronto. Punto e basta.
Essere in Bacino quel giorno..
Ormai era pomeriggio inoltrato, il bacino di San Marco regalava uno spettacolo da sogno, sembrava appena uscito da una tela del Canaletto. Ma nelle tradizioni del tg1 di allora da solo non bastava. Bisognava aggiungervi qualcosa in più. Questi erano gli usi della casa e occorreva inventarsi un’idea. Magari qualche parola in italiano da far mettere in bocca alla principessa. Niente di speciale, tipo “mio marito ed io siamo felici di essere qui”. Ecco, quelle semplici nove parole potevano forse bastare, se fosse riuscita a pronunciarle in un italiano decente. Perciò, se il problema delle distanze era stato ormai superato con un lungo manico di scopa (su cui il rassegnato specializzato di ripresa aveva appiccicato il microfono con lo scotch), rimaneva adesso il problema di convincere il nostro capitano di fregata. Poteva smetterla di guardarci in cagnesco, poteva parlare lui con la principessa? In una cornice simile avrebbe fatto una figura splendida con tutti i telespettatori italiani. E per dimostrare la nostra buona volontà avevo già scritto tutto in stampatello gigante su una striscia di carta. Solo quelle nove parole, che non erano nemmeno difficili da leggere. Si poteva fare?
Il mio ricordo con Lady D in Bacino San Marco

Gli angeli custodi dei giornalisti italiani di solito non sono in divisa, soprattutto non somigliano ad un atticciato capitano di fregata della Royal Navy. Ma quella volta è successo. Man mano che parlavo la sua espressione, prima sostenuta, si era distesa; poi si era fatta attenta e alla fine entusiasta. Era evidente che l’idea di un saluto chiuso in italiano, a questo punto piaceva pure a lui. E senza perder tempo aveva preteso il foglietto di carta che tenevo in mano ed era sparito.
Andò così che la splendida Diana, baciata dal sole di Venezia in un pomeriggio di festa, concluse con quelle parole inattese, impreziosite dal suo affascinante sorriso, il discorso di benvenuto. Aveva un bellissimo vestito senza maniche, una parure di zaffiri scintillanti e nella mano destra stringeva una pochette nera. Un attimo prima di finire il suo discorso l’aveva distrattamente avvicinata al viso. Nessuno s’era accorto che aveva dato un’ultima occhiata al pezzetto di carta incollato sopra : “Mio marito ed io siamo felici di essere qui…”