Era nato il 30 ottobre del 1924 al Lido di Venezia, esattamente cento anni fa. Ernesto Tito Canal, era figlio di un artigiano orafo appartenente ad una delle più antiche famiglie patrizie della Serenissima. Privo di titoli di studio, autodidatta, oggi è universalmente riconosciuto, anche dal mondo accademico, come il più importante archeologo del ‘900 sulla laguna di Venezia.
Solo alcuni numeri sulla sua attività, ovvero hobby, perché nella vita lavorativa conduceva un ditta artigiana: 90 mila reperti archeologici nei 50 anni di perlustrazioni lagunari, 730 edifici romani e pre-romani localizzati a due tre metri di profondità nei canali e nelle barene, 175 siti archeologici scoperti. Non è cosa da poco.
Il giovane Tito Canal
Il giovane autodidatta si mosse fin da subito contro la cultura ufficiale dell’epoca, soprattutto dell’Università di Padova, che rifiutava categoricamente la presenza della civiltà romana prima dell’arrivo dei “barbari” nell’alto medio evo, ovvero a partire dal quinto secolo dopo Cristo. Il professor Roberto Cessi, storico di fama, le definiva fantasie lagunari.
Ad aggravare la credibilità di Tito Canal, erano i suoi stretti collaboratori. Il “fagiaroto” buranello, Archimede Diseppi, ovvero pescatore notturno con la lanterna, Amedeo Memo, pescatore vagantivo poi gondoliere, e un tale Barbato, che alla pesca abbinava una conoscenza approfondita dei fondali nella laguna nord. Siamo alla fine degli anni ‘50. Nei momenti liberi Canal, con il suo barchino da pesca, gira dappertutto. “Mi sono dovuti diversi fiaschi di vino rosso, per convincere i pescatori più reticenti”, ammetterà in una divertente memoria televisiva. A Burano lo soprannominavano: “el mato che va in laguna a spender schei per no pescar pesse..”. Lui ci rideva su.
Ma alla fine della sua carriera di archeologo volontario, uscirà un libro fondamentale “Archeologia della laguna di Venezia 1960-2010”.
Le convinzioni di Canal erano basate su una sintesi pratica e teorica tra: conoscenza della laguna e nuovi metodi di ricerca; studi archivistici; approccio antropologico ed ecologico del passato.
Tito Canal riscrive la storia della laguna
Per la conoscenza della laguna, lo stuolo dei pescatori buranelli “assunti” bastava e avanzava. Gli studi comunque erano robusti. L’autodidatta Canal aveva letto i classici che descrivevano i territori venetici: Tito Livio, Strabone, Vitruvio, Plinio il Vecchio, Cassiodoro e Paolo Diacono. Infine l’analisi della Magistratura del Piovego del 1282 che certificava i cambiamenti catastali e delle proprietà. Le notizie dei ritrovamenti del passato erano partite da uno studioso trascurato, Giuseppe Marzemin, che nel lontano 1937, scrisse un opuscolo presto dimenticato “Le origini romane di Venezia”. Infine la tecnologia, il suo punto forte.
Nel suo studio laboratorio di Cannaregio, Canal creò un dinamometro magneto-elastico, per tracciare meglio cosa c’era in profondità. Con i pescatori si serviva di lunghe asticelle di legno. Avviò anche le ricerche con il costosissimo “carbonio 14” che Canal pagava di tasca sua a discapito della ditta.
Provvidenziale fu tra il 1960-61 l’arrivo di una équipe di archeologi polacchi dell’Università di Varsavia
Anche loro, quando arrivarono con tutti i permessi ministeriali a Torcello, vennero derisi e osteggiati dalla cultura accademica locale. Eppure Lech Leciejewicz, Eleonora Tamaczyanska e Stanislaw Tbaczyansky furono i primi a utilizzare ricerche stratigrafiche per stabilire scientificamente a quanti metri di profondità si trovavano i resti antichi. Subsidenza ed eustatismo avevano cambiato e sconvolto nei secoli il fragile territorio lagunare. Canal, aiutò con i propri mezzi e le barche a disposizione i “poveri” polacchi. Provenienti da un paese d’oltre cortina, come si diceva ai tempi del Muro di Berlino. Non avevano grandi dotazioni finanziarie.
Tito Canal e Dorigo
Fondamentale fu nel 1977 l’incontro con il professor di Storia medievale di Ca’ Foscari, Wladimiro Dorigo, già allievo a Padova di Roberto Cessi. Fu un colpo di fulmine. L’accademico si convinse, in situ, che le ricerche dell’autodidatta erano solide e meticolose. Nel 1983 uscì il volume “Venezia origini” che in pratica stravolgeva il pensiero precedente. Nei fondali delle scomparse isole di San Leonardo di Fossamala, Ammiana, Ammianella, S.Arian di cui restavano solo i toponimi geografici, si scoprirono resti di domus romane e pre-romane. In pratica la laguna era abitata da sempre. Collaboratori preziosi per Canal furono i volontari dell’Équipe Veneziana di Ricerca, coordinati da Giulio Pozzana ed Ettore Lagomarsino.
Leggo ancora le polemiche scatenate nel 1991 dal famoso giornalista del Corriere, Nantas Salvalaggio, sulla presunta robustezza delle ricerche di Ernesto Tito Canal. Perfino i Verdi e gli ecologisti lo criticarono e lo derisero.
Ora una cosa è possibile. Ad un secolo dalla sua nascita, Venezia potrebbe dedicarli, una piazza o una via. Non dico un monumento, quello non c’è l’ha nemmeno Giacomo Casanova…