Gli Stati Uniti d’America, dopo il crollo di Wall Street (1929), che diede inizio a quella che venne definita la Grande Depressione, conobbero anni di disoccupazione che determinarono ingenti migrazioni di popolazione. Verso la metà degli anni Trenta del secolo scorso si rese pertanto necessario da parte dell’amministrazione statunitense procedere alla creazione di un programma volto a combattere la povertà e la disoccupazione. Dorothea Lange (1895-1965), fotografa che aveva aderito alla Straight Photography (fotografia diretta), tra il 1935 e il 1939, venne incaricata dalla Rural Resettlment Administration (RA), organismo federale del rilevamento della crisi economica americana, di produrre reportage sulle condizioni di vita di manovali, operai e immigrati.
A Bassano il lavoro di Dorothea Lange
Un consistente corpus di queste fotografie (circa 200) è ora esposto al Museo Civico di Bassano del Grappa nella mostra dal titolo “Dorothea Lange. L’altra America” realizzata in collaborazione con CAMERA- Centro Italiano per la fotografia Torino.
Un omaggio allo sguardo di una grande fotografa, dopo quello tributato dalla stessa sede a Ruth Orkin con la prima retrospettiva dedicata in Italia a quella importante fotoreporter.
Crisi economica e climatica, povertà, disoccupazione, sradicamento, migrazioni. Temi attualissimi che ci raccontano una realtà in cui siamo nuovamente immersi e che Dorohtea Lange seppe raccontare con occhio lucido e partecipe. Viaggiando per gli Stati Uniti al seguito di tutte quelle persone, uomini, donne, bambini, intere famiglie che abbandonavano tutto e andavano alla ricerca di lavoro. Trovando invece condizioni disumane e disperazione.
Lo stile di Dorothea Lange
Il suo stile incisivo e asciutto, ci restituisce volti scavati, occhi persi, abiti laceri, ricoveri improvvisati con cartoni e stracci. Lande desolate e desertiche, lavoratori chini tutto il giorno sui campi di cotone per una paga di pochi centesimi. Ci restituisce i viaggi a piedi lungo strade polverose e tempeste di sabbia, bambini che si stringono alle madri in un abbraccio che sembra non avere fine. Misere baracche perse nel nulla del deserto. Immagini fortissime in un bianco e nero che lascia decifrare ogni dettaglio. Perché, come recita una didascalia del sobrio allestimento “Per quanto brutto sia, il mondo è potenzialmente pieno di buone fotografie. Ma per essere buone le fotografie devono essere piene di mondo”. E gli scatti di Dorothea Lange sono davvero buoni. Perché il suo sguardo si lascia condurre dalla realtà, da quello che trova sulla sua strada documentando questa realtà durissima semplicemente facendola parlare.
Basterebbe anche solo quella Migrant Mother, famosissima, che offre il logo per il manifesto della mostra. Oppure l’immagine di due uomini visti di spalle che camminano su una strada senza fine dove campeggia, con amara, involontaria ironia, un cartello pubblicitario che reca la scritta “La prossima volta prendi il treno, rilassati”.
Il periodo d’oro
La mostra, a cura di Walter Guadagnini e Monica Poggi, ripercorre il periodo d’oro della carriera della fotografa dagli anni Trenta alla Seconda Guerra Mondiale. Attraverso un’ampia selezione di opere provenienti da diversi nuclei collezionistici che conservano l’opera di Dorothea Lange (tra cui in particolare la Library of Congress di Washington, i National Archives statunitensi). Presenta anche scatti precedenti e successivi, quali la serie mai esposta prima in Italia dedicata ai campi di detenzione per i cittadini nippo-americani segregati a seguito dell’attacco a Pearl Harbor del 1941. In quell’occasione il governo americano istituì la War Relocation Authority (WRA) al fine di deportare circa 110.000 persone di origine giapponese e confinarle in centri di detenzione allestiti in zone abbandonate semidesertiche, allontanandoli dall’area militare della costa pacifica, dove rimasero fino alla fine della guerra.
Chi era Dorothea Lange
Dorothea Lange e il marito, l’economista agronomo Paul Taylor che la seguì durante i suoi reportage, disapprovavano pubblicamente questa operazione e il loro lavoro fu molto controllato e censurato da parte dell’esercito. Non poterono documentare il filo spinato, le torri di guardia e i militari armati all’interno di questi campi. Non poterono nemmeno conservare i negativi delle foto e per questa ragione tali immagini rimasero a lungo inedite e sconosciute. Questi ipotetici “nemici” vengono immortalati in ritratti che ne dimostrano pienamente la conquistata identità americana: leggono fumetti americani, indossano abiti americani, cantano l’inno americano con trasporto. Non sembrano per nulla pericolosi.
La mostra “Dorothea Lange. L’altra America” rimarrà aperta ai Musei Civici di Bassano del Grappa fino al prossimo 4 febbraio, con orario 10.00-19.00.
Per maggiori informazioni visitare il sito:
https://www.museibassano.it/it/mostra/dorothea-lange-l-altra-america