Non c’è niente da fare, possiamo girarla come ci piace, ma Sanremo siamo noi. Nel bene e nel male. Ci rappresenta alla perfezione, cosa che non sempre ci è gradita. Da 73 anni il Festival racconta l’Italia, segue i tempi, qualche volta li anticipa.
Sanremo vince sempre
Il Festival vince sempre, spegne le immancabili polemiche, si dimostra più forte dei detrattori, più forte degli stessi italiani. Fa ascolti record, ogni anno sembra la fine, poi ricomincia con una sorpresa. La sola cosa che ci unisce come italiani sono la canzonetta e il pallone. Sono la nostra identità nazionalpopolare. L’una e l’altro ci rendono quello che proprio a Sanremo cantava Toto Cutugno: “Un italiano vero”.
Sanremo e le polemiche che non mancano mai

Quest’anno c’è un nuovo mal di pancia, più politico che nazionalpopolare: cosa c’entra Zelensky con Sanremo? Capirei se si indignassero i cantanti per una concorrenza sleale, all’Eurofestival in fondo ha vinto l’Ucraina ma non era certo la canzone migliore. Capita se si vuole premiare il coraggio e non la musica. Ma qui a Sanremo il presidente ucraino non canterà, non ci sarà una giuria popolare che potrà togliere il palco ai favoriti. Semplicemente Zelensky porterà la voce di un popolo e di un paese che sono stati invasi un anno fa, massacrati, bombardati, e che hanno bisogno di aiuto per resistere. Sono il popolo invaso, non l’invasore che è la Russia. Proprio in queste ore l’Europa Unita è a Kiev per confermare il suo aiuto. Per lui sarà una possibilità di mandare un messaggio registrato in nome della libertà del suo popolo, di cogliere per pochi minuti l’attenzione di un pubblico immenso portandolo dallo spettacolo alla realtà drammatica di una guerra in corso e non troppo lontana. Che paura può avere un paese libero di chi chiede di aiutarlo a restare libero?
Ma, si sa, il festival di Sanremo amplifica anche i sussurri, figuriamo le sirene di un allarme antiaereo!
Sanremo siamo noi
E’ così dal primo festival, nel 1951, quando c’era soltanto la radio e le canzoni passavano di finestra in finestra, il giorno dopo le cantavano tutti. “Grazie dei fior” aveva una melodia che entrava in testa, ma “Papaveri e papere” era imbattibile.
Ha proseguito al tempo della tv in monopolio, anche se all’inizio pochi italiani avevano il televisore in casa. Bar, oratorio e sedi di partito si affollavano, la gente si portava la sedia da casa. I testi raccontavano un’Italia ingenua e quasi felice, che si accontentava di casette piccoline in Canadà, canzoni da due soldi, mamme tutte belle, colombe che riunivano gli amanti divisi dalla cortina di ferro.
Il boom con Modugno

Poi è arrivato il boom annunciato da Modugno che volava nel blu dipinto di blu, cuore non faceva più rima con amore, le case ora erano in cima al mondo, di baci ce ne volevano almeno 24 mila, bisognava attendere l’età per amare, ma in via Gluck c’erano già troppo catrame e cemento. Ed era il tempo di Carosello, 60 anni fa: la pubblicità entrava nelle nostre case e ci faceva credere tutti vicini se non alla ricchezza almeno al benessere, tra gelati, camicie di popeline, lavatrici, brandy che creavano l’atmosfera e pulcini neri che, invece, erano solo sporchi.
La tragedia di Tenco

Non ci siamo accorti, nel 1967, del suicidio di Luigi Tenco in una camera d’albergo, dopo che era stato eliminato dalla finale. Ha scritto canzoni bellissime, aveva sbagliato forse quella di Sanremo e il senso della vita per eccesso di sensibilità. Al Festival c’erano tutti perché lo spettacolo deve sempre continuare, e c’erano quasi tutti anche al matrimonio del cantante americano Gene Pitney. Ai funerali di Tenco c’era soltanto Fabrizio De Andrè che dedicherà all’amico una bellissima canzone: “Dio di misericordia/ il tuo bel Paradiso/ lo hai fatto soprattutto per chi non ha sorriso…”.
Ma Sanremo va avanti tutta
Sanremo digerisce tutto, ha accompagnato rivoluzioni, pietre contro i diversi, cannoni pieni di fiori, barche che vanno e altre che tornano sole, periferie senza fermata d’autobus, vite spericolate, uomini soli e amori perduti per i troppi capelli bianchi. Ha visto la realtà con anticipo: l’italiano che cantava con fierezza si è ritrovato in un paese dei cachi, i poveri carabinieri delle barzellette precipitati dalle bombe di mafia in “un paese dove ci tocca farci ammazzare per poco più di un milione al mese”.
C’era e c’è tutto nelle canzonette: gli emigranti, gli eroi e i folli, soprattutto la gente comune

Niente ci racconta meglio delle canzoni che sanno andare oltre la giustizia e la pietà. Le canzoni danno la colonna sonora ai nostri ricordi, li riempiono di parole. Anzi, di fiumi di parole, come cantavano i Jalisse che chissà perché a Sanremo non ce li vogliono più da quando hanno vinto.
Forse certi politici dovrebbero imparare a rispettare la storia comune imparando a memoria le canzoni. In fondo, è la vita che canta. E come si canta? “Basta avere un’ombrela… ti ripara la testa, sembra un giorno di festa”. Insomma, non chiediamo neppure troppo per sentirci allegri.
Abbiamo deciso di seguire per i lettori di www.enordest.it il festival per tutte le serate, con un gruppo di “esperti” che lo racconteranno per voi. Giusto perché sembri sempre un giorno di festa.
La novità
Abbiamo anche un’altra novità: www.enordest.it cresce, ce lo chiedono i risultati e i numeri. Al settimanale che continuerà a uscire la domenica mattina affiancheremo un aggiornamento quotidiano con nuove rubriche e con più notizie. Anche noi siamo un po’ fuori di testa.