Venezia, undici settembre 1982, 40 anni fa. L’aereo presidenziale atterra sulla pista di Tessera in perfetto orario. C’è già un sole gagliardo e si preannuncia una bellissima giornata di fine estate. Appena il Boeing smette di rullare davanti all’aerostazione si fanno avanti il prefetto di Venezia ed il direttore dello scalo per i saluti di rito. Per la verità c’è anche una troupe della Rai che dovrà seguire il Capo dello Stato per tutta la giornata. E’ composta da tre persone: un giornalista con il microfono in mano, un operatore con la telecamera sulla spalla destra, uno specializzato di ripresa che regge il grosso registratore. Hanno tre pass identici al collo: uno rilasciato dalla sicurezza presidenziale, uno della prefettura di Venezia, uno della direzione dell’aeroporto. E forti di quei lasciapassare si piazzano sotto la scaletta da dove dovrà scendere da un momento all’altro il presidente Sandro Pertini.
A Pertini piace far sapere cosa fa

Al vecchio leone socialista, Capo di quella Repubblica sognata in tanti anni di carcere fascista, piace farsi vedere. Forse è esagerato parlare di narcisismo, come fanno certi suoi compagni di partito, ma che tenga molto alla luce dei riflettori è fuori discussione. Perché, lo ha ripetuto più volte, è fermamente convinto che gli italiani, abbiano sempre non solo il diritto di sapere, ma anche di seguire dove va e cosa fa il loro Presidente. Anche se si tratta poi, come è il caso di oggi, di una visita privata ( per due mostre a cui tiene tanto: l’antologica del grande pittore veneziano Santomaso e l’altra dedicata ai Mille anni d’arte del vetro). Va da sé, comunque, che con queste premesse, tra lui e la televisione ci sia un particolare rapporto di simpatia conosciuto da tutti. E’ per questo che prima di apparire dal portellone spalancato dell’aereo ha chiesto se la troupe del tg1 è presente. Il consigliere per la comunicazione, che lo segue sempre come un’ombra, gli ha risposto di sì con un cenno della testa. E allora si decide: fa un passo avanti e finalmente appare a braccia spalancate.
Fateci lavorare

Sotto, però, questa volta non c’è nessuno a riprenderlo. Anzi, a dire la verità, c’è invece parecchia confusione. L’operatore è con un ginocchio a terra e tiene la telecamera tra le braccia come una bambina. Un signore in giacca e cravatta, urlando, l’ha spintonato via e l’ha fatto scivolare a terra. Vicino c’è un altro tizio, il giornalista, con un microfono in mano. Lo agita come un martello e visibilmente alterato continua anche lui a strepitare: “ Lei è matto, quella telecamera costa 50 milioni se si rompeva ce la doveva pagare. E’ il massimo! Siamo la televisione di Stato, ci hanno chiamato qui per lavorare, ci hanno imbottito di permessi e adesso ci prendono a spintoni per cacciarci via!”
-Moderi i termini replica l’altro, rosso come un gambero. Sono addetto alla sicurezza del Presidente, se parla ancora la faccio arrestare. Qui non potete rimanere: è proibito!
“E secondo lei il Presidente che scende dalla scaletta da dove lo riprendiamo? Dalla torre di controllo? Ma cerchiamo di essere seri, era tutto già stabilito. Soltanto lei non lo sa…”.
Pertini se ne accorge

Chi ha fatto cronaca, giornale o televisione che sia, conosce benissimo come vanno queste cose: una volta sul campo può capitare di tutto. L’importante però è non perdere la testa. Quel che conta, come spiegava Egisto Corradi, principe indiscusso dei grandi inviati del ‘900, è conquistare “sempre” il servizio e malgrado tutto portarlo a casa. Quella volta però l’asticella della sopportazione aveva superato ogni limite e stava proprio finendo male. “Stava”, dicevo, perché lui, il Presidente Partigiano, dall’alto aveva fatto subito valere la sua autorità, anche se non capiva il perché di quella baraonda. La mano sulla fronte per ripararsi dal sole e vedere meglio, era esploso in un perentorio ”Ma che succede?”, che aveva fatto irrigidire poliziotti e funzionari. Poi, aumentando ancora il tono della voce per superare quel bailamme incomprensibile, aveva cominciato ad agitare freneticamente braccia e mani e a pretendere, spiegazioni. Il più in fretta possibile.
Caro Pertini noi ce ne andiamo

Che il Presidente avesse un carattere fumantino era già scritto nei libri di storia e lo sapevano tutti, che la sua fronte corrugata fosse un segnale preciso di tempesta, anche. Ma nessuno trovava lo stesso il coraggio di intervenire e sulla pista adesso era sceso un silenzio innaturale. Con tutte quelle persone ferme, lo sguardo a terra, imbarazzate più che mai. Poi, dopo una decina di secondi lunghi come un’eternità, il giornalista della Rai (con una tasca della giacca scucita nel parapiglia di prima) era stato il primo a riprendersi: “Succede, Presidente, che veniamo qui per farla vedere a tutti gli italiani e questo signore ci caccia via, ci prende a spintoni, ci vuole arrestare. Avevamo concordato tutto con la sua segreteria personale. Gliel’ho detto e lui niente, gli ho mostrato i cartellini che portiamo al collo e lui niente. Per poco non manda l’operatore all’ospedale a forza di spintoni. Non si fa così, noi andiamo via, mi dispiace Presidente”.
Il colpo di genio

Aveva parlato tutto d’un fiato a voce un po’ troppo alta, non si sa bene se per l’emozione o la rabbia e adesso stringeva le labbra confuso. Forse aveva esagerato, ma – diciamo la verità – non capita tutti i giorni di trovarsi in una situazione simile davanti al Presidente della Repubblica. E adesso, cosa sarebbe successo? Bè, non mettetevi a ridere. Come in una farsa del cinema muto, dopo era accaduto tutto in fretta. Con un gesto imperioso del braccio Pertini aveva rimesso tutti in riga. Il funzionario degli spintoni era improvvisamente sparito; due agenti in borghese avevano aiutato l’operatore a rimettersi in piedi; il direttore dell’aeroporto aveva preso sottobraccio il giornalista cercando di calmarlo. Poi era rientrato di scatto nell’aereo presidenziale.
Pertini concede il bis

Il sole stava picchiando forte quando il Presidente più amato dagli italiani, tre minuti dopo, era riapparso a mani alzate in un saluto sincero a Venezia, apprezzatissimo dai telespettatori in tutti i tg della giornata. La piccola crisi, motivata forse da qualche insicurezza di troppo, era stata velocemente superata grazie al suo intervento fulmineo. Anche perché poi, in fondo, avevano tutti ragione: Il giornalista e l’operatore che erano stati affrontati a muso duro e l’addetto alla sicurezza che nessuno aveva avvertito delle riprese. Così, in ogni caso, il protocollo era stato rispettato nel più perfetto stile Pertini. Che – perbacco! – gli italiani avevano il sacrosanto diritto di vedere sempre dove andava e cosa faceva.