Il critico Nicola Gardini ha scritto che «i libri splendidi sono quelli che ci insegnano un modo di pensare». Questo Canto per la mia terra di Paola Volpato, Vitale Edizioni, 2020, appena ripresentato a Mestre in presenza da Antonella Barina e Lucia Guidorizzi, corrisponde in pieno alla definizione. Curioso che Gardini si riferisse a Pia Pera – meravigliosa figura di scrittrice-giardiniera scomparsa qualche anno fa – che sento così vicina all’anima di Paola.
Una doppia anima in Paola Volpato
Tant’è: splendido l’assunto di base della raccolta, che s’integra alla perfezione con la mostra di Volpato da poco conclusa al Palazzo della Loggia di Noale, Natura Vicina; splendida la forma corsiva del fraseggio poetico, intima e assieme politica, nel senso più puro del termine.
Chi è Paola Volpato
Del resto, Paola è così: libera, inquieta, refrattaria alle ingiustizie. Da sempre si occupa di tematiche di genere e di ambiente, «nell’imperativo categorico – ha affermato in un’intervista – di rovesciare tutti i rapporti nei quali i viventi sono degradati, asserviti, violentati e uccisi». I suoi interventi, le sue performances sui femminicidi sono divenute uno dei simboli della lotta contro la violenza sulle donne.
Cicatrici e ferite
Per la sua terra è, ugualmente, una questione di denuncia: per tutto ciò che l’ha ferita, perché lei se lo ricorda bene il paesaggio che ha scelto di abitare. Un luogo piano, campagna veneta immersa nel verde, bagnata da fiumi e torrenti, ombreggiata da filari d’alberi lungo le rive.
Ora che il paesaggio è torturato da trame di asfalto e linee di tralicci; ora che gli alberi, troppo spesso, sono stati abbattuti per far posto ad un’edilizia senza costrutto né storia o, ancor peggio, a ponti e strade di veloce percorrenza, il canto di Volpato – artista visuale, performer, scrittrice – si leva con toni alti e cristallini. A dirci che il nostro esistere è un coltivarsi reciproco, dell’uomo e della vita arborea; un sentirsi nascere fronde e gemme all’apice delle scapole.
Il progetto di Paola Volpato
Il progetto è grande e profondo, un profumo d’altri tempi, perché «Il fine della vita è quello di vivere in accordo con la natura». La citazione di Zenone di Elea che Paola ha scelto in esergo al catalogo della mostra noalese dice tutto, con naturalezza. Riccardo Caldura, nel bel testo critico che l’accompagna, parla di memoria dei luoghi e di consapevolezza dell’artista, mettendo in luce l’arma decisiva che Volpato utilizza per registrare e comunicare: «La pittura – scrive Caldura – era ed è rimasta il suo luogo privilegiato di lavoro, un lavoro scandito dalla pratica dell’osservare e dal restituire quanto osservato».
La natura e Paola Volpato
Osservare e restituire, in queste opere nate durante il periodo della pandemia, con tutta la forza dell’oggettività, ma filtrata attraverso una lente mitica. Le venature delle foglie, in colori di nostalgia e presenze divine: l’anima del mondo, potremmo dire, l’anima vera delle storie. Veneri in controluce, che emergono da stagni nascosti; animali silvestri, di cui restano i contorni sfumati. Tutto un bosco di pianura che respira, in una dimensione che è «il tempo di prima e di adesso», come canta Paola.
Il libro
I testi della sua raccolta poetica sono altrettanto connotati, forse ancor più precisi, talvolta crudi nell’evidenza, eppure così espressivi da offrirci l’opportunità dell’attenzione, la chiave del mutamento. In queste liriche c’è il ricordo di un tempo silenzioso e largo che appare perduto: quello scandito dai ritmi della natura, senza troppe interferenze; il tempo dei filò e delle storie che vi si narravano la sera.
Paola Volpato ferma il tempo
Un tempo abitato e plurimo che Paola Volpato, coscienziosa ed oggettiva indagatrice, ricorda e si è fatta raccontare. Tuttavia, nei suoi testi, c’è anche la radice di ciò che non può mutare: il nostro appartenere, nonostante tutto, ad una vita più grande, da cui non dovremmo staccarci, pena lo spaesamento, l’angoscia, la solitudine.
Come si descrive
«Fui una selvatica. / – scrive Paola in una lirica, confessione potente e rivelatrice – Lo so perché quando cammino sull’erba / sento salirmi dai piedi / una sensazione di appartenenza / e riconosco le forme, / la forza delle altezze e la spinta della clorofilla, / le vene delle foglie, il carattere della pianta, / la sua pelle.».
Paola Volpato e il suo canto. Lo ascolteranno?
Canto per la mia terra è un trattato di libertà, colmo di riconoscenza: erbario miracoloso che, nonostante l’evidenza dello scempio – «Sono offesa come dinanzi ad uno stupro» scrive l’autrice – è in grado di ristabilire l’empatia necessaria all’apparizione.
Lo fa con parole limpide e musicali, magari solo un elenco di piante dai nomi fascinosi, il richiamo di un’ombra dove l’albero non c’è più, una pozza ormai secca che mantiene l’intenzione della vita brulicante che ha avuto in sé.
Un salto nel tempo
Ci sono passi che ricordano Virgilio e le sue Georgiche, ma anche riti sciamanici, di una sapienza antica. Così, nel canto della selvatica Paola, mentre la vediamo percorrere sentieri poco battuti, negli spazi che circondano la sua casa, il nostro pensiero si apre ad una meravigliosa impermanenza. È il trascorrere, mobile come l’acqua di cui trattiene l’eco, imperturbabile. Chiamarlo infinito, è speranza.
bellissimo articolo che illumina con pienezza la ricerca inesausta di Paola Volpato nel celebrare il paesaggio veneto così spesso violato, intorbidato ed abusato da logiche speculative che calpestano l’eros della Terra e la sua sacralità. La dolcezza dei paesaggi celebrati da Giorgione e da Cima da Conegliano ora disseminati di capannoni e villette geometrili risuonano tutti nella sua amorosa indignazione. Paola Volpato è una grande artista che sa coniugare immagine e parola ricordandoci di rimanere fedeli all’humus, all’umiltà della Terra.
grazie Lucia!
Francesca più si è grandi e più si capisce e tu sei grande!
grazie per il tuo bellissimo articolo
grazie Lucia!
Bellissimo saggio per una bellissima figura di artista!