La storia la scrivono i vincitori e Gianni de Michelis non è stato un vincente a Venezia. Ha prevalso il no. No-Expo, no-Mose, no-grandi navi, no alla modernizzazione. Il no a prescindere, come ironizzava. Lui invece, qualche volta antipaticamente, era per il sì a tutto. Anche alle discoteche. Ora che il profilo storico del venezianissimo Gianni, si delinea con maggiore obiettività, la critica alla “persona” De Michelis, si fa meno partigiana.
Chi era Gianni

Fu il primo statista europeo a prevedere la caduta del blocco sovietico e del comunismo. Il primo ad aprire le porte alla Cina, prossima potenza mondiale. Il primo a parlare di integrazione europea, attraverso una moneta unica. Lo SME, il sistema monetario italiano, fu votato in Parlamento nel 1979, con il voto contrario del solo PCI. Il partito che aveva a lungo ricevuto direttamente i rubli da Mosca. Non si può dire che Gianni De Michelis, figlio di un pastore valdese, nato nel popolare sestiere di Castello a Venezia, fosse un modello di simpatia per la sinistra. Fu anche il primo politico italiano a leggere settimanalmente l’Economist, ricorda ora con nostalgia il “Dottor Sottile”, Giuliano Amato, da sempre suo estimatore.
Il giovane Gianni
Poco più che ventenne, andava davanti ai cancelli del Petrolchimico a distribuire agli operai volantini del PSI, dove il monopolio culturale della sinistra-sinistra, era assoluto. Lo boicottavano. Lui se ne fregava e dimostrava un coraggio inaudito. Come quando esponenti delle Brigate Rosse, furono sorpresi sopra i tetti di casa sua, a palazzo Barnabò sul Canal Grande. E non erano lì come operai per riparare le grondaie. “La sinistra storica deve cambiare mentalità”, sosteneva visionario. Da ragazzino era inizialmente imbevuto di cultura monarchica.
La politica

Alla fine della sua carriera umana e politica, colpito da 35 azioni giudiziarie e due condanne patteggiate con l’accusa di corruzione (1 anno e sei mesi per le autostrade del Veneto, e sei mesi per la maxi tangente Enimont), è stato demolito da un male invalidante. Lui corpaccione grosso e panzuto, un “avanzo da balera”, come ebbe a dire il giornalista Enzo Biagi. Il coraggio e la coerenza sono sempre stato il suo forte. Qualche volta però si trasformavano in antipatia pura. La caratteristica dei geni incompresi. E Venezia era una città di invidiosi. Alla sua morte, Giuseppe De Rita, fondatore del Censis, disse categorico: su di lui pesò l’invidia verso la persona. Amen.
Un visionario con la vista al futuro
Allora mi azzardo a sostenere che nel ‘900 in laguna, tra Porto Marghera e dintorni, con l’industriale Giuseppe Volpi, l’ingegnere Eugenio Miozzi, il professore di chimica Gianni De Michelis, fu un visionario che anticipò i tempi della cultura post-industriale e dell’innovazione tecnologica. Parlò per primo in Italia di rivoluzione digitale e di “giacimenti culturali italiani”. Termini allora desueti. A Washington l’ambasciatore italiano Boris Biancheri, non ebbe timore a definirlo, il miglior ministro degli Esteri del secolo. L’accordo europeo di Maastricht del 1992, portava la sua firma. Ma erano i tempi di Tangentopoli. Dc e Psi vennero massacrati, altri partiti sopravvissero, ma solo per poco.
La bella vita

Gianni De Michelis, come direbbero i francesi, era un bon-vivant, un pacifico godereccio. Infatti ad appena 22 anni, diventa presidente nazionale dell’Ugi, che non era un’opera missionaria, ma l’unione della goliardia italiana. A 23 anni, la sua ingombrante persona occupava già i vecchi scranni del consiglio comunale di Venezia. Primo Comune in Italia ad aprire al centro-sinistra. Infatti all’epoca, ovvero ai tempi di Amintore Fanfani, si chiamava “Formula Venezia”. Con l’Enel, nascono le prime nazionalizzazioni di gradi aziende. A 27 anni fa già l’assessore, con una delega importante, quella all’Urbanistica, che prima era appartenuta al celebre professore Wladimiro Dorigo. Un grande intellettuale e scrittore. Quello dei primi piani particolareggiati in Italia.
Un carriera in ascesa per Gianni

Gianni fa subito la rivoluzione urbanistica, con piani regolatori all’avanguardia. A 36 anni è già deputato a Roma, dove resterà dal 1976 al 1994. A 39 è già ministro alle Partecipazioni Statali. Con Bettino Craxi al Midas, aveva appena provveduto a rottamare i vecchi socialisti. Nel paese c’era bisogno di aria nuova, sosteneva. Ma questa rottamazione ante-litteram gli procura un sacco di antipatie o forse invidie. Ne sappiamo qualcosa ai nostri giorni. Il sistema del massacro mediatico non cambia negli anni. Come ministro al Lavoro e alla Previdenza sociale (1983-87) operò per il taglio della scala mobile e per la vittoria sul referendum abrogativo promosso dal PCI. Nel 1985 fu fondatore e primo presidente dell’Aspen Institute Italia.
Si interessò sempre della sua città

Dopo l’alluvione del 1966, fu il primo a proporre un sistema di barriere per la salvaguardia di Venezia. Una sua idea di separare la laguna, per non danneggiare l’economia portuale, venne vigorosamente contestata. Nel febbraio del 1989 alla Fondazione Cini, propose Venezia per l’Expo internazionale in occasione dei due secoli 1797/1997 della fine della Serenissima, poi diventata Expo 2000. Venezia era in concorrenza con la tedesca Hannover. In città si scatenò un dibattito, molto divisivo, tra contrari e favorevoli, tra innovatori e ambientalisti, tra contesse e italie nostre, tra si e no. “A questa città manca la capacità di pensare in grande”, disse, Indifferente alla critiche. Fondò all’epoca un Consorzio presieduto da Giulio Malgara, composto da 38 importanti imprese. Fiat, Olivetti, Ibm, Montedison, Gruppo Benetton, Philips…
Ma arrivano i Pink Floyd

Ma il concerto dei Pink Floyd a Piazza San Marco, passato poi alla storia musicale come il concerto del secolo, fu la prova generale dell’affossamento del progetto Expo. 200 mila ragazzi invasero il centro storico. Le immagini della sporcizia in Piazza San Marco fecero il giro del mondo. Per due giorni gli amministratori locali si dimenticarono di ripulire la città. La giunta del sindaco Antonio Casellati si dimise per protesta. Nel mio piccolo contribuii, come giornalista Rai, a realizzare il servizio più scioccante. Ripresi un ragazzo che faceva la pipì sul portone della Basilica. Venni accusato di essere io stesso l’autore della minzione, e dovetti, per non rischiare il licenziamento, far notare al direttore generale Rai, incalzato dallo stesso ministro De Michelis, che io avevo quel giorno i pantaloni chiari e l’orinante con chiaro accento napoletano, un paio di jeans. Mi salvai.
La tortura mediatica
Pochi giorni dopo la trasmissione “Terzo grado” su Rai 3, condotta da Giuliano Ferrara, sottopose l’allora vice-premier ad una “tortura” televisiva. Era il mio servizio da Venezia…. Mannaggia. Con De Michelis mi chiarii solo anni più tardi in auto. Acconsentì di offrirmi un passaggio in macchina fino a Venezia. Non era rancoroso e mi disse che ero stato strumentalizzato e la città era gestita da mezze tacche a cui interessava solo la piccola bottega elettorale.
Addio Expo
A distanza di tanti anni rileggo le critiche di allora. L’Expo avrebbe rovinato Venezia, portando 10/20 milioni di turisti! (e infatti oggi si aggirano sui 20/30 milioni). Bisognava regolare e modificare gli accessi. E infatti il progetto di De Michelis, progettato dall’architetto Franco Bortoluzzi, prevedeva a Tessera un grande Magnete (opera di Renzo Piano) e lo snellimento di Piazzale Roma (oggi punto critico). Nel 1990 il Bie di Parigi (Bureau Internationale des Expositions) pose al governo italiano due condizioni. L’ok del consiglio comunale veneziano e del Parlamento italiano. Risultato due no. Expo sepolta per sempre.
Solo e lasciato solo

È morto povero e abbastanza solo, Gianni De Michelis. Al suo funerale c’erano poche persone, tra cui il fedelissimo Renato Brunetta, oggi ministro. Ricordò nell’occasione lo scrittore e magistrato, Domenico Cacopardo: “Molti hanno cinicamente usato Gianni De Michelis, molti si sono giovati del suo nome per i propri affari. Molti lo hanno dimenticato e tradito. Destino comune a chi come lui ha seminato con generosità il proprio genio politico, la propria capacità strategica, la propria immaginazione”. A Venezia durante il doveroso passaggio in gondola delle autorità in occasione del corteo acqueo della Regata Storica i locali gli gridavano “onto”, unto (per via della sua disordinata chioma) e “deme i schei” (datemi in soldi) storpiando ignobilmente il suo cognome.
Ricordando Gianni e rivalutandolo

Ora un libro lo ricorda a dovere. “Il riformismo di Gianni De Michelis”, a cura di Gennaro Acquaviva, con prefazione di Piero Craveri. È una doverosa riflessione storica sull’ultimo quarto di secolo del Novecento.
E intanto Venezia continua a sopravvivere alle sue contraddizioni. O no?
Sono d’accordo con te, Maurizio!
Bel pezzo, chapeau