Il viaggio nell’ancestrale, da poco inaugurata alla Galleria Michela Rizzo di Venezia, è una di quelle mostre che lasciano il segno, sia dal punto di vista del valore estetico, sia per la portata – assoluta, coraggiosa – dei suoi contenuti. È dedicata a due grandi artisti di spicco dell’arte del secondo Novecento, Claudio Costa (mancato nel 1995 poco più che cinquantenne) e Hermann Nitsch, classe 1938, ancora in vita, protagonista dell’Azionismo Viennese, fautore di una forma di Arte Totale con intenti freudianamente liberatori.
Due grandi artisti uniti

L’idea di accomunare i due grandi artisti era venuta, originariamente, al compianto Massimo Melotti, con una delle intuizioni fulminanti che spesso sorprendevano amici, studenti e collaboratori. Così il titolo, quel Il viaggio nell’ancestrale che, dopo la morte del critico e sociologo (avvenuta nella primavera scorsa) il curatore della mostra veneziana Stefano Castelli ha deciso di mantenere, pur concedendosi alcune deviazioni di percorso.
L’interazione tra due artisti diversi

Come possono interagire un artista antropologico come Costa, apprezzato da Arturo Schwarz e da Achille Bonito Oliva e un performer assoluto, Hermann Nitsch, che i più ricordano per le sue azioni forti, per la volontà di disorientare il pubblico fino ad ottenerne reazioni catartiche?
Oltre le opere
Andiamo al di là della bellezza tangibile delle opere esposte: i reperti di epoche diverse, riconducibili alle fasi di ricerca di Costa, dalla costituzione di un Museo di Antropologia Attiva al lavoro di arte-terapeuta nell’ex ospedale psichiatrico di Genova-Quarto; oppure l’indagine sulle performances storiche di Nitsch, con i grandi sudari macchiati di colore, carneficine rosso sangue, ma anche l’analisi di lavori più recenti, in cui la componente materica mantiene la sua valenza drammatica, pur aprendosi alla luce.
Oltre gli stereotipi
Andiamo oltre ogni considerazione stereotipata, al di là della diversità delle vite. Anzi, andiamo all’alba del loro operare, che non significa solo riconsiderarne la radice. Parrebbe trattarsi, anzi, di un legame squisitamente presente. Scrive con intelligenza, non solo didattica, Stefano Castelli, nel bel saggio che accompagna l’esposizione: «L’argomento fondamentale delle opere di Claudio Costa e di quelle di Hermann Nitsch è l’Uomo: entrambi gli artisti, che in questa mostra vengono accostati senza essere costretti in paragoni letterali, riflettono sulla persistenza di questo concetto ampio ma preciso, sulle sfide che l’idea di Uomo subisce, sulle strade alternative che bisogna percorrere perché tale concetto mantenga il suo senso».
L’unione Costa-Nitsch
Così il connubio Costa-Nitsch, la costruzione di un pensiero non necessariamente programmatico, ma differente – quasi un manifesto dal sapore longhiano – assume i tratti di un cambio di rotta. Contro la spersonalizzazione dell’essere, contro i moduli di una scontata supremazia dell’Occidente civilizzato. Esistono gli uomini, circondati dai propri strumenti, immersi nei propri riti, con le proprie pulsioni sia apollinee che dionisiache. Esistono ancora l’amore e la morte, hanno un valore anche le tragiche gestualità, persino non finalizzate ad un utilizzo razionale, calcolato. Esiste l’eccesso.
Due grandi artisti: Costa

Costa ricostruisce memorie individuali e collettive, ricontestualizzandole nei luoghi deputati, scoprendo culture lontane, inseguendo misteri nei codici alchemici o nei meandri della mente umana.
Due grandi artisti: Nitsch

Nitsch, dal canto suo, colpisce il senso comune, agisce con l’affronto (per alcuni insostenibile) della verità corporale, dei suoi umori più intimi. Intervistato alcuni anni fa, l’artista viennese ha condensato in poche battute la passione che ha riversato per decenni nei suoi atti globali: «Oggi, la maggior parte delle persone ha paura della vita quanto teme la morte – ha commentato – Non si vive veramente con intensità».
Due grandi e tante domande
Intensità: quanto è lontana l’onda del reale che accomuna Costa e Nitsch dalla dimensione asettica teorizzata da McLuhan? Quanto ci dovrebbe toccare, far riflettere la permanenza dei loro reperti, ora che la visione del sangue non fa quasi più notizia?
Due visioni che si toccano
Il consistere dell’atteggiamento vitale (e non vitalistico, esibizionista) è forse la chiave per riattribuire all’esistenza umana uno spazio nel mondo. Come a dire, l’ancestrale siamo tutti noi. Con l’attenzione che Claudio Costa porta alla storia di ciascuno, in composizioni di ineffabile eleganza, senza sbavature estetizzanti; nella simbologia da ex voto laico, nelle campiture crude e fantastiche di Nitsch. Nel dialogo tra visioni che si toccano come unità frattaliche, Castelli aggiunge di suo la ricerca del linguaggio corretto da usare. Lo estrae come oro nero dalle menti, convince fino alle viscere.
Grandi!
Grande accoppiata. Indovinatissima! Complimenti!