Il declino del ”cafè chantant” e della sua “partecipazione gazzarrosa”, tema dell’articolo precedente, è stato un processo lento, che ha attraversato tutto il periodo della prima guerra mondiale e l’assalto al potere del fascismo. Tale processo interessò particolarmente l’offerta teatrale e musicale che si trasformò nella forma e nei contenuti, pur mantenendo per lungo tempo presenze di grande qualità. In sostanza la graduale modificazione delle proposte teatrali, avanzate dagli impresari per riempire sale sempre più capienti e spesso vuote modificò anche la natura dello spettacolo che progressivamente diventò il varietà. Con l’arrivo del cinematografo fece la sua comparsa l’avanspettacolo e successivamente nacque la rivista. Il varietà è sicuramente l’erede più prossimo del café chantant. Ereditò buona parte dei suoi artisti, dei “format” (diremmo oggi) che lo rendevano particolare e alcuni li sviluppò verso percorsi ancora sconosciuti. Diventarono più importanti e teatralmente significative le parti recitate, dando spazio e celebrità ad attori che hanno avuto una vita artistica molto lunga, ben al di sopra dei generi e delle mode. Mi riferisco, e sarò certamente molto parziale, ad attori come Raffaele Viviani, Ettore Petrolini, Pupella Maggio, a comici e fantasisti come Alfredo Bambi, Mimi Maggio, Angelo Cecchelin, Totò, a cantanti come Armando Gill, Gilda Mignonette, Elvira Donnarumma….
Da buoni spettatori
L’elenco potrebbe continuare ancora molto a lungo. Alcuni nomi li abbiamo già trovati, altri li incontreremo lungo il percorso. Queste parziali citazioni si riferiscono ad alcuni artisti apparsi sui palcoscenici tra gli anni Venti e Trenta, ma il varietà è giunto in varie forme e con vari strumenti (tra cui cinema e televisione) fino ai giorni nostri, continuando a creare nuovi protagonisti.
Tornando alle canzoni, che restano il nostro filo conduttore, esse furono scritte da autori che occuparono posti significativi nel panorama musicale italiano come Bovio, Cherubini, Mascheroni e tanti altri. Tra questi anche i primi “cantautori” che non si chiamavano così, ma scrivevano le loro canzoni e se le cantavano. Uno lo abbiamo già incontrato, Rodolfo De Angelis, sicuramente il più prolifico e ancor oggi più noto. Ma altri hanno spinto ben oltre il loro tempo la propria notorietà: il napoletano Pasquariello, il fiorentino Odoardo Spadaro, l’autore di “Come pioveva” il napoletano Armando Gill.
Il varietà conquista gli spettatori
Il varietà progressivamente dilatò i tempi dei suoi interventi comici e recitativi, modificò l’apparato musicale coinvolgendo orchestrine ed orchestre professionali, ma anche riducendo gli apporti più diretti del pubblico, creò dei racconti teatral/musicali, con lazzi e danze, sempre più lunghi che seguivano un seppur esile filo narrativo, aprendo così la strada al nuovo genere, la rivista.
Il definitivo distacco del teatro di rivista, più semplicemente de la Rivista, dalle precedenti e ancor presenti forme di spettacolo avviene in Italia nella metà degli anni Trenta e raggiunge la sua massima popolarità a metà degli anni Cinquanta con la definitiva decadenza del cafè chantant e dei suoi epigoni e di un genere che non possiamo annoverare in quello che chiameremmo teatro popolare, ma che ebbe una notevole presa in quel pubblico dalla “belle epoque” al secondo dopoguerra, calcando anche palcoscenici generalmente dedicati al teatro colto, alla musica classico-sinfonica o all’opera lirica. Mi riferisco all’operetta, a cui spesso si ispirò il teatro di rivista nella definizione di suoi personaggi. E’ il periodo in cui troneggiano acclamati capocomici e soprattutto adorate soubrettes che danzano, attorniate da ballerini, cantano e recitano.
Un po’ di storia
Fino agli anni Venti l’inizio del teatro di rivista italiano è incentrato su parodie dell’attualità, non come le grandi produzioni francesi o, ancor di più, americane che stupivano e affascinavano per le sfarzose scenografie. Il nostro era un teatro legato soprattutto alla parola, al doppio senso, alla critica spavalda e talvolta licenziosa. Con l’avvento del fascismo con gli altri diritti vien meno anche quello di satira politica, e grandi comici affidano alla loro creatività anche la possibilità di dare vita ad una satira leggera, percepibile dal complesso dei comportamenti sul palco piuttosto che dalle sole battute.
Quest’ affermazione mi riporta ad alcuni ricordi di comunicazione popolare che hanno certamente a che fare con la cultura della relazione che queste forme teatrali di base hanno diffuso anche in ambiti diversi da qualsiasi palcoscenico.
Si parte dai cantastorie
Parlando di un comune interesse, quello per i cantastorie dell’area padana, Giampaolo Borghi, etno-antropologo emiliano, ricercatore e studioso di valore, mi ha raccontato che a metà degli anni Trenta a Bologna un imbonitore di verdura che stazionava nel mercato della Piazzola aveva modalità fantasiose ed esplicite di proporre la sua merce: per esempio vendeva il giornale “L’avvenire d’Italia” mangiando pane e cipolla.
Nel periodo successivo al primo incontro di Mussolini con Hitler a Venezia (maggio 1934) espose la foto dell’incontro sul suo banco vendita sopra ad una scatola di biscotti di marca Lazzaroni.
Non una parola, gli oggetti, i gesti parlavano da soli e sono rimasti ben incisi nella memoria degli spettatori se lo ricordiamo ancora dopo oltre settant’anni.
Molte persone hanno riportato che il cantastorie Dario Mantovani, in arte Tajadela di Mantova, in piazza cantava la canzone fascista Vincere facendo dei vistosi passi all’indietro.
Probabilmente quel gesto e quel coraggio hanno sensibilizzato più persone di quante noi riusciamo ad immaginare.
Con Macario diventiamo spettatori
Nel 1930 Erminio Macario fonda una Compagnia di Rivista che porta il suo nome e che resterà in attività fino al 1965. Nel 1937 scrittura Wanda Osiris che al fianco di Macario diventerà la Wandissima.
Contrariamente allo stereotipo di questo genere di spettacolo che presentava donne bellissime, brave nel canto, nel ballo e nella recitazione, Wanda Osiris, a detta della critica contemporanea, non sapeva cantare, non sapeva recitare e non sapeva ballare, ma aveva un appeal ed uno charme che la rendevano unica, inimitabile, affascinante.
Quando appariva sulla scena, magari sulle note di “Sentimental” la platea andava in visibilio. Le ovazioni e lo scrosciare degli applausi duravano minuti su minuti rasentando dei veri record per durata ed intensità.
Gli spettatori premiano il varietà
E non fu un successo fugace, visto il ruolo che aveva in scena. La sua compagnia concluse l’attività con la stagione 1958/59, quando la grande soubrette aveva raggiunto l’età di 53 anni. Nel frattempo compagnie di teatro di Rivista ne erano sorte tantissime, alcune anche di notevole valore. Verso la fine degli anni trenta fondano le loro compagnie artisti che ebbero una lunga e fortunata carriera come Riccardo Billi, Carlo Campanini, Nino Taranto, Carlo D’Apporto; negli anni della guerra e nel successivo terribile periodo postbellico si affermano nuovi personaggi femminili che introducono non solo fascino e bellezza, ma anche e soprattutto notevole statura artistica. Sono le stagioni di Lauretta Masiero, Marisa Del Frate, Bice Valori, Sandra Mondaini, mentre come attori emergono Renato Rascel, Walter Chiari, Gianni Agus, Gino Bramieri, Raffaele Pisu. Sono gli anni dominati dalla fecondità di autori come Garinei e Giovannini e che coinvolgono anche formazioni canore di primo piano come il Quartetto Cetra o il Trio Lescano.
Come veniva gestita
Gestire una compagnia che potesse competere a quel livello era impresa assai faticosa e costosa. La grande rivista durava circa 3 ore ripartite in due tempi.
Era un insieme di siparietti comici, balletti, canzoni, parodie cantate sui motivi in voga ed attingendo all’attualità. Il tutto si snocciolava in una girandola di numeri e di quadri slegati tra di loro, ma quasi sempre piacevolmente accettati e graditi.
Gli allestimenti erano sempre di ottima fattura e di stagione in stagione c’era sempre una aperta disputa tra impresari nel superarsi e nello stupire lo spettatore.
Il lusso , soprattutto con gli spettacoli della Osiris, era una componente essenziale, prioritaria.
Con il varietà gli spettatori aspettano le soubrette
Le formazioni prevedevano un comico, un attore di spalla, una soubrette, uno o più caratteristi, almeno quattro soubrettine, due soubrettine di spolvero, un balletto formato da almeno dodici ballerine ed un supporto di quattro boys.
Una orchestra in buca con tanto di maestro direttore (che il più delle volte era anche l’autore delle musiche), tecnici, direttori di palcoscenico, amministratore di compagnia ed altro. Una bella squadra.
In tempo di guerra e, soprattutto nell’immediato dopo guerra, il teatro di rivista ha rappresentato l’evasione, il sogno, il distacco, per una manciata di ore, dalla cruda realtà quotidiana.
Le grandi invenzioni scenografiche, le 24 gambe 24 modello coscialunga, le esilaranti gags dei comici, gli abiti sfavillanti e sfarzosi delle soubrette edulcoravano il grigiore al quale si era abituati dalla quotidianità.