Convivere al tempo del micidiale Covid-19 è necessario e tormentoso, ma un nemico della convivenza così diffuso non c’è stato mai, salvo la guerra. Guardiamoci attorno. Se il tuo vicino è ancora immusonito, scostante, affetto da mutismo ideologico ecc., e insomma più estraneo del solito, prova a usare una scorciatoia psicologica. Lo puoi trasfigurare. Ma sì: prova a pensarlo come uno specchio che il Caso ti ha messo davanti. Adesso riguardalo, e quasi certamente quell’estraneo si trasforma: è una persona-specchio. E dunque? Non puoi negare che ti assomiglia.

Fossili domestici
La casa e le cose, la casa è fatta di cose: la vita quotidiana nello spazio ristretto di poche stanze è anche convivenza con gli oggetti che ci aiutano, servitori silenziosi e docili. Alcuni sono stati ereditati, e per questo hanno un significato diverso dagli altri: sono reliquie di una mamma, di una nonna… Uno scrittore, il turco Orhan Pamuk, ha realizzato un vero e proprio Museo di cose, accorpando i “fossili” della sua esperienza personale. In effetti, venendo a mancare l’ossigeno del tempo, gli oggetti del nostro vissuto si mineralizzano, e diventano “detriti” di una storia.
Buon giorno, altrove
Fra le (piccole) scoperte della quarantena domestica c’è anche quella delle parole. Ci sono espressioni nuove come “collasso”, come “urgenza dell’ora”, “pandemico”, “moderno flagello”, “pestilenza vaporosa” ecc. Pensiamo, anche, a “prossimità”, “sciame virale”, “giornate choc” ecc. E pensiamo, però, ma stavolta in positivo, a una parola che rispecchia la nostra condizione, la truce “coercizione”: non potremmo sostituirla con la più usuale “impegno”? E che dire di un “Buon giorno” augurato al primo che passa sotto casa? Penso al significato di questo saluto nel bellissimo film Miracolo a Milano.
Un granello di polvere
Ci dice l’enigmatico Yoda, l’extraterrestre: “Il vostro sconfinato orgoglio, che è un riflesso o la radice stessa di una certa cultura degli umani, ha ceduto di schianto, senza segnali premonitori. Non vorrete arrendervi davanti a un nemico che nemmeno vedete: è solo un pulviscolo vivente. Sì, il vostro aggressore è un granello di polvere se paragonato, per esempio, al Colosso di Rodi”. Però è infettante, caro maestro della Forza. Non tutti lo riconoscono.

Un fare terapeutico
I mesi oscuri – quelli primaverili! – ci hanno fatto mancare la ritualità, che è intima della vita sociale: si sperava conclusa in state, invece continua dal bar alla strada, dai portici antichi al droghiere, dalla chiesa al teatro, dal supermercato allo stadio, dal museo al cinema, e anche dal ristorante alla gita fuori porta, dalla partita di burraco alla movida… Non contano i giorni e le settimane andati via con l’aggressione del virus: siamo creature nostalgiche e desiderose di incontri, di partecipazione, di scambio. Ci manca il fare insieme, anche perché è terapeutico (Severgnini dixit). Come c’è la catena del contagio, c’è anche la catena della solidarietà. Qualcuno dice fraternità.
Noi ci ricorderemo
Nei primi giorni dell’evento pandemico, molti pensavano, e hanno scritto con piglio fra minaccioso e vendicativo: “Ci ricorderemo di queste giornate e delle nottate di paura e di morte”. Costoro, saturi di rabbia compressa, si preparavano a… cosa? Sarebbe questo il senso della memoria? Qualcuno, però, è meno incattivito e tiene un diario, si fa umile cronista di un flagello universale e della nostra attuale e transitoria “sovranità limitata”. Certo è che la Storia non richiede ai morituri di fare ritorsioni. Solamente per sé, come altri speranzosi e miopi. Il gran commediante dal ciuffo ne è la prova, con i suoi seguaci.