Covid-19: una pandemia che ci sta rubando il futuro. Da due giorni il cibo mi fa schifo, non ha sapore. A dire il vero nemmeno questa primavera mi sembra quella di una volta con i suoi profumi. Un po’ di raffreddore, sarà quello? Qualche linea di febbre, che sarà mai? Ne ho avute tante di queste magagne che mi sono abituata. Sto guardando la televisione a casa con Mario sul nostro divano preferito e mi sento improvvisamente tutta un sudore.
Le forze mi stanno abbandonando. Sto precipitando in un buco nero senza fondo. La pressione mi stringe il petto e non riesco a far entrare aria nei polmoni. Questa non è la solita infreddata o la solita influenza, mi sta succedendo qualcosa che non ho mai provato prima. La luce scompare sopra di me ed è tutto buio. Improvvisamente sento un ululato. Sarà un animale? Una lotta fra lupi in bosco oscuro? Sarà l’avviso di un incendio?
Non capisco, non capisco e ho paura, perché non ho più il controllo. Percepisco un tormento terribile: scossoni, salti, forze oscure che mi sbattono qua e là da ogni lato. D’un tratto un mostro con un cappuccio verde mi stringe il collo come per strangolarmi. Non respiro e sono in affanno. Vedo lampi ma li vedo anche a occhi chiusi e forse sono solamente nel mio cervello. Mi manca l’ossigeno e non ce la faccio più.
Ho la bocca spalancata e il mostro col cappuccio che mi strangola sempre di più. Ma ecco, un dolore intenso come una lama che mi trapassa la cola. Soffro da morire ma non mi rendo conto né per quale ragione né per quale causa. Il respiro mi manca e mi sento continuamente venir meno ogni energia e ogni collegamento fra anima e corpo. Improvvisamente le mani che mi strangolavano impedendomi di respirare mi lasciano andare. Ho ancora un forte dolore in gola, ma respiro meglio. L’aria arriva, a stento ma arriva. E’ come se fossi davanti a un bocchettone dell’aria condizionata che mi spara direttamente in gola e nei polmoni. Non so dove sono e con chi sono. È un incubo da cui spero di svegliarmi presto.
Claudio Ronco
Inizio cinese?
All’inizio sembrava una questione tutta cinese. Speranza da poco, visto che la storia ci ha sempre parlato di pestilenze (e più recentemente influenze) che venivano da oriente. E infatti il problema non era cinese ma mondiale. Paradossalmente l’OMS ci ha impiegato tre mesi per dichiarare lo stato di pandemia quando ormai era evidente anche dalle chiacchiere al bar che di questo si trattava. Curiosamente il mondo politico e il governo in particolare annaspava in cerca di risposte a domande che tutti si ponevano ma che rimanevano irrisolte.

La scienza
Abbiamo cercato l’ausilio della scienza che avrebbe dovuto essere la più titolata e unico vero riferimento cui guardare, ma dichiarazioni contrastanti e talora sorprendenti di esperti confondevano più che creare rassicurazioni. Da parte di alcuni pur titolati studiosi, si è anteposta talora una effimera visibilità mediatica all’opportuno e prudente riserbo che questa situazione avrebbe richiesto.
Un conto è una discussione fra scienziati e specialisti e un conto è riportare alla gente incertezze, dubbi o arroganti dichiarazioni su un fenomeno sfuggente e insidioso per la sua inusitata natura. Comunicare male cose vere è talvolta peggio che non comunicare o trasmettere solamente mezze verità.
Il futuro che si perde
E così nei primi mesi di quest’anno abbiamo vissuto il caos con continue dichiarazioni e controdichiarazioni, Decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) e ordinanze regionali. Mai come in questo periodo la distanza fra governo centrale e regioni è risultata così evidente, come evidentissima è pure risultata la difformità operativa e sanitaria fra regione e regione.
Futuro e medici
Lo scarso grado di conoscenza del virus era il frutto di una compartimentalizzazione della scienza fra virologi di laboratorio e clinici sul campo? Il basso tasso di contagi al sud nella prima ondata era veramente tale o era solamente il risultato di uno scarsissimo numero di tamponi? La dichiarazione che le mascherine non servivano era dettata da una evidenza scientifica o era un modo per ovviare alla carenza di dispositivi di protezione? Domande lecite cui ognuno di noi ha probabilmente azzardato una risposta senza purtroppo avere una conferma dalla prova del nove.
La mia esperienza
Io mi trovavo a Wuhan in novembre, subito dopo i giochi sportivi militari mondiali e, visitando le strutture ospedaliere peraltro gigantesche, avevo notato un certo grado di sovraccarico delle terapie intensive. Decisi di rimanere in contatto con i colleghi e di farmi aggiornare periodicamente sull’evoluzione della situazione, avendo già conosciuto in passato fenomeni come la SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome) o la MERS (Middle East Respiratory Syndrome) anche se quelle sembrano oggi bazzecole con le loro poche migliaia di morti.
Pandemia e futuro
Le settimane avanzavano e con esse avanzava anche il nuovo e sconosciuto coronavirus. In dicembre il governo cinese dichiarava lo stato di epidemia riportando ufficialmente i casi di Wuhan e passando alle vie di fatto con chiusure e restrizioni. Nel frattempo la ricerca consentiva il sequenziamento del virus definendo geneticamente l’oggi ben noto SARS-Cov-2.

Le preoccupazioni
Le comunicazioni con i miei contatti continuavano e non suggerivano nulla di buono tanto che il 6 febbraio pubblicai su Lancet un editoriale raccomandando di preparare le nostre terapie intensive ad uno tsunami di pazienti. Pochi giorni dopo reiteravo il concetto su Blood Purification ricordando la massima latina “si vis pacem para bellum”. Il governo era ancora immobile mentre a quel momento nel nostro reparto iniziammo l’uso delle mascherine per medici, infermieri e pazienti attirandoci critiche (seminate il panico!) e reprimende (usate dispositivi a sproposito consumando risorse comuni).
Le carenze
Per non gravare sulle carenze oggettive di questi dispositivi, impiegammo tuttavia materiale generosamente inviatoci dai colleghi cinesi e americani a titolo di dono personale. Non abbiamo sottratto nulla alla società, ma abbiamo invece preservato la fragile e vulnerabile comunità dei nostri pazienti dializzati e trapiantati ottenendo nella prima ondata il risultato di avere zero contagi fra personale e pazienti.
I protocolli
I nostri protocolli con algoritmi di triage specifico e gestione dei pazienti in telemonitoraggio hanno fatto il giro del mondo e sono stati adottati in diversi paesi. Abbiamo spiegato su Lancet e Nature (due giornali scientifici di elevatissimo livello) i meccanismi con cui il virus danneggia non solo i polmoni ma anche i reni ed altri organi. Abbiamo proposto terapie di supporto extracorporeo che sono state adottate in diverse unità di terapia intensiva nel mondo e i cui buoni risultati sono stati riportati recentemente da un lavoro di consenso internazionale.

Futuro o premonizione?
Dagli inizi il nostro atteggiamento non è cambiato e i risultati neppure, tuttavia assistiamo oggi ad un fenomeno di contagi sporadici verosimilmente contratti in famiglia più che nelle sedi altamente controllate della scuola e delle comunità. Nel romanzo “Virus” pubblicato da poche settimane ma che scrissi ormai tre anni fa, anticipavo una situazione simile a quella odierna. La soluzione positiva del problema nel libro viene dagli uomini, dai loro sentimenti migliori e soprattutto dall’amicizia. IL virus ci ha portato via l’ossigeno come ho descritto nella overture del nuovo romanzo di cui ho riportato l’incipit qui sopra. Ma l’ossigeno è solo un elemento della storia. Assieme all’ossigeno il virus si è portato via molti nostri cari e molti rapporti umani lasciando le persone sole a soffrire nei reparti di rianimazione.
Sconforto per un futuro incerto
Ma c’è di più. Il virus ha gettato intere comunità nello sconforto e nella miseria economica strappando e distruggendo progetti e posti di lavoro. Un approccio laico ma pragmatico del premier Johnson in Inghilterra era stato quello di affrontare le morti dovute all’epidemia, come perdite necessarie in nome della sopravvivenza del mondo sociale ed economico. Ma la realtà più diffusa è stata quella di uno sforzo globale con una rincorsa della scienza e della politica alla ricerca di una soluzione sanitaria. Il risultato è stato eccezionale in alcune aree del pianeta fra cui il nostro Veneto, ma intere comunità sono state private non solo della vita corrente e della libertà, ma anche delle risorse necessarie a far sopravvivere i sani e i sopravvissuti.
Le reazioni
Il morale della gente è a terra per le chiusure che, pur necessarie, inducono pessimismo e talora esplosioni di rabbia e intolleranza. La gestione politica così attenta e spesso efficace a livello locale e regionale lascia ampie zone d’ombra a livello nazionale sia in Italia che all’estero. E non può essere che così dato che continuiamo a sentire sui media notizie catastrofiche e deprimenti. Ma la reazione di tutti noi, medici, pazienti o comuni cittadini, deve essere quella della resilienza e dell’ottimismo.

I ricordi
I nostri padri hanno attraversato due conflitti mondiali. Noi abbiamo visto sgretolarsi castelli economici e scatenarsi conflitti finanziari e commerciali, e ora ci troviamo in guerra con un virus che tenta di sottrarci ogni speranza di ripresa e di recupero della normalità. Dobbiamo volere fortemente una ripresa, essere uniti, fare fronte comune. Non c’è spazio per stupide polemiche o posizioni ambigue prese da opinionisti del momento che popolano i talk shows televisivi con la stessa competenza che mia nonna aveva della fisica nucleare.
Il futuro
D’altro canto siamo sicuri di volere una normalità come quella di prima? Perché non usare questa esperienza per creare un progetto di vita migliore? Ovvero non riconsiderare un uso più moderato ed equo delle risorse? Perché non ritornare alla cultura e alla visione etica della vita anziché inseguire modelli effimeri e vuoti? Possiamo certamente influenzare le scelte politiche con una partecipazione attiva ed eleggere rappresentanti che abbiano una statura morale e culturale elevata. Anche se il virus ci ha rubato tante cose, non facciamoci rubare il futuro.
Ho letto con interesse morboso e ho all’interno di me una grande rabbia, siamo mitragliati dalla TV e dalla RAI , da programmi i cui contenuti per tantissima parte hanno come testimonial persone che poco o nulla hanno competenze riguardo il virus , ma fanno solo spettacolo. Questo vale non solo per attori, cantanti, politici, ma anche per medici e scienziati di tutto rispetto la cui competenza, non è nella materia specifica della tipologia di questi tipi di virus.
Mi complimento con il Professor Ronco per la Sua intensa attività e sono perfettamente d’accordo della necessità ‘ della partecipazione attiva ed eleggere rappresentanti che abbiano una statura morale e culturale elevata’.